“Se in casa c’è un cappone solo, non si cucina a Natale,
ma a Santo Stefano”. Così si diceva una volta a Prato, dove la festa di Santo
Stefano è la più grande festa della città. Anche oggi il duomo si è riempito di
fedeli, attorno ai loro vescovi e a tutto il clero, con tutte le autorità civili
e militari. I valletti e gli armigeri del comune, con i costumi medievali, tamburi,
chiarine e stendardi. Segni di una tradizione che continua e che lega la città
direttamente alle origini del cristianesimo.
Anche oggi il “sasso” è stato portato sull’altare
maggiore per la venerazione, uno degli improbabili sassi con cui venne lapidato
Stefano. Che a quel tempo abbiano pensato di raccogliere i sassi delle
lapidazione per distribuirli alle parrocchie? È piuttosto, come per tante altre
reliquie, soltanto un simbolo che ci ricorda quell’evento immortale del primo
martire.
Mi hanno colpito le parole del nostro santo nel momento
della morte, una riguarda se stesso: «Signore
Gesù, accogli il mio spirito», l’altra quanti lo circondano: «Signore, non
imputar loro questo peccato». Sempre così i santi e i martiri consegnano se
stessi a Dio, senza dimenticare gli altri, volendoli salvarli con sé.
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