Esco
al Casello di Sasso Marconi, dove si fermò Antonello Venditti nel suo “Bomba o
non bomba”, con la differenza che io ho trovato tre bellissime comunità. Non
proprio a Sasso Marconi, ma in una delle sue frazioni, Borgonuovo. La zona, ai
piedi dell’Appennino ha un suo fascino discreto. Vicina spicca il santuario
della Madonna di san Luca.
Al
Cenacolo Mariano scopro la prima comunità, le Missionarie dell’Immacolata di
Padre Kolbe, un istituto secolare di giovane fondazione, ormai diffuso in mezza
Italia, California, Bolivia, Brasile, Polonia, Lussemburgo.
Poi
la seconda comunità, i Missionari di Maria. Comunità piccola, soltanto 14
sacerdoti, assieme ad altrettante Missionarie.
Infine
la comunità giovannea. Sì, proprio quella di san Giovanni di cui oggi è festa. A
messa abbiamo letto l’inizio della sua lettera. Ma è proprio sua? Il “noi” della
lettera può essere un plurale maiestatico,
oppure un plurale genuino che fa
riferito a un gruppo. Questa ultima interpretazione, particolarmente
suggestiva, a me sembra la più probabile (seguo gli studi di R.E. Brown, A. Dalbesio,
G. Segalla).
La
lettera è stata scritta alla fine del primo secolo, quando Giovanni il
discepolo prediletto era già morto. I membri della sua comunità non avevano mai
visto, udito, toccato Gesù, vissuto prima che loro fossero nati; come potevano
dire d’averlo visto con i loro occhi, ascoltati con le loro orecchie, toccato
con le loro mani?
Il
discepolo prediletto aveva condiviso con loro la sua esperienza
straordinariamente forte del Gesù storico, con una convinzione ed una efficacia
tale che essi l’hanno fatta propria: essa è diventata esperienza di tutto il
gruppo. I “noi” della lettera non sono testimoni oculari, eppure, da come Giovanni
ha comunicato loro la sua esperienza essa è diventata la loro esperienza e loro
possono dire che, attraverso il discepolo prediletto di Gesù, hanno udito,
veduto, toccato il Verbo della Vita. Come possiamo fare anche noi...
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