Chiesa della Missione ad Aix |
Eugenio
de Mazenod ha nutrito un desiderio sempre crescente di santità. L’ha desiderata
per sé e per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva
condurre le persone ad essere prima ragionevoli, poi cristiani e infine
aiutarli a diventare santi (cf. Prefazione). L’ha desiderata per gli Oblati, che
supplicava: «In nome di Dio, siamo santi» (18 febbraio 1826). Ha creato la
comunità oblata come un luogo di santificazione, ha abbracciato la vita
religiosa come mezzo efficace di santificazione, ha scelto la missione come
ministero nel quale santificarsi e santificare. Ha compreso e costantemente
sottolineato l’intrinseco legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da
raggiungere la santità.
200 anni
fa, il 1° novembre 1818, i Missionari di Provenza, al termine del ritiro,
seguito al primo Capitolo generale, fecero per la prima volta l’oblazione, una via concreta per raggiungere
la santità. Due testimoni del tempo, Suzanne e Moreau, descrissero la
giornata memorabile di quel giorno.
Dalle tre del mattino i membri del Capitolo sono
già svegli. Prima delle quattro sono già in cappella, prostrati davanti all’altare,
preparandosi al più bello, al più amabile di tutti i sacrifici.
Dopo aver invocato i lumi dello Spirito Santo con
il canto del Veni Creator, il
superiore rivolse una commovente esortazione all’assemblea. Era dolce, e
versammo lacrime di gioia nell’ascolto di quelle parole che sembrava ci fossero
rivolte direttamente da Nostro Signore Gesù Cristo attraverso le labbra dell’amato
padre.
Una volta terminata l’esortazione, il padre,
rivestito degli abiti sacerdotali, si prostra ai piedi dell’altare, prende un
cero nella mano destra, e dice a voce alta e intelligibile: “Nel nome di Nostro
Signore Gesù Cristo, alla presenza della santissima Trinità, della santa
Vergine Maria, di tutti gli angeli e di tutti i santi, di tutti i miei fratelli
qui riuniti, io, Carlo Giuseppe Eugenio de Mazenod, faccio professione,
prometto a Dio e faccio voto di castità e obbedienza perpetua. Faccio parimenti
voto di perseverare fino alla morte nel santo istituto e nella società dei
Missionari detti di Provenza. Così Dio mi aiuti. Amen”.
Comincia poi la messa […]. Al momento della
comunione, mentre il superiore teneva nelle mani il Corpo adorabile del nostro
divin Salvatore, avanzammo uno dopo l’altro, con in mano un cero acceso, e
pronunciammo i nostri santi voti con un sentimento di gioia ineffabile. […]
Si sarebbe detta una di quelle assemblee dei primi
fedeli che si riunivano un tempo nelle catacombe, a lume di candela, nelle
tenebre della notte, per cantare le lodi di Dio, lontani dagli idolatri.
Dopo la messa il Superiore generale intonò l’inno Te Deum in azione di grazie. Poi
tutti i membri della comunità si recarono all’altare della santa Vergine per
mettere sotto la sua protezione i santi impegni che avevano appena contratto.
Si misero anche sotto la protezione di tutti i santi recitandone le litanie.
Con quanto slancio ci abbracciammo tutti, una
volta tornati in sacrestia! Che effusione del cuore! Quanta tenerezza! Quale
commovente affetto! Ora, ci dicevamo, siamo fratelli; ora siamo una cosa sola!
Ora ci amiamo veramente!
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