«Maestro buono, che cosa
devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi
chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo».
«Una cosa sola ti manca:
va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e
vieni! Seguimi!».
«In verità io vi dico: non
c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o
figli o campi per causa mia e per causa del vangelo, che non riceva già ora, in
questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e
campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc
10, 17-30).
Quello sguardo Pietro non lo
avrà mai più dimenticato, come non dimenticò quello che gli rivolgesti nel
cortile del sommo sacerdote dopo il suo rinnegamento. Non lo dimenticò Levi, quando
ti presentasti al banco delle imposte, né Zaccheo, quando Gesù lo scorse arrampicato sul fico. Nel suo sguardo si concentra e si trasmette l’amore
eterno con cui ha pensato e amato ogni singola persona. Esso giunge in un
momento preciso, che resterà impresso per sempre nella mente della persona
guardata, ma viene da lontano, carico di una conoscenza coltivato a lungo
prima dell’incontro.
In quel momento Gesù ha
davanti qualcuno a cui da sempre ha pensato, per il quale il Padre ha preparato
un futuro di gloria. Finalmente può rendergli nota la sua vocazione, puoi
rivelargli che su di lui c’è un progetto di vita: una vocazione. Così lo
sguardo si fa parola: «Vieni, seguimi».
Per Matteo la persona che Gesù
guarda e che ami è un giovane, per Luca un notabile, per Marco è semplicemente
«un tale», una persona qualsiasi, con la quale ognuno di noi può identificarsi.
La strada che apre davanti
all’uomo che gli è dinanzi non è quella di una scelta morale giusta, già
iscritta nel suo cuore. Chiede qualcosa di più, di andare dietro a lui.
Nell’Antico Testamento si
seguiva soltanto Dio e la sua legge. Se Gesù chiede di seguirlo è perché è Dio
e il tuo vangelo è legge di vita.
Con la domanda «Perché mi
chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo», velatamente Gesù invita a
credere che è Dio, giustificando così la pretesa: «Seguimi!». Il cristianesimo
non è una morale, è una Persona.
Per poterlo seguire pone una
condizione irrinunciabile: lasciare tutto, o meglio, condividere quanto si
possiede con i poveri, perché nessuno sia più tale. Il cristianesimo non è
povertà, ma comunione dei beni. La ricchezza non condivisa diventa idolo,
trascina con sé arroganza, strapotenza, piaceri, superbia, corruzione,
facendoci credere onnipotenti. Siamo chiamati a scegliere tra l’idolatria
della ricchezza con il suo triste corteo, e l’adorazione del vero Dio.
Per correre incontro a Gesù occorre essere leggeri. Ma siamo
talmente invischiati nei piaceri e nei beni della terra, che pare impossibile
staccarsi da affetti e averi per seguirlo. Sì, ci è impossibile.
Ma a Gesù niente è
impossibile. Quello sguardo è troppo forte e penetrante, la chiamata troppo
ferma e sicura per non trascinarci nel cammino dietro a sé verso quella vita
eterna che quell’uomo gli aveva chiesto. Nella sua generosità il dono supera
addirittura la domanda, offrendo la pienezza di vita già da questa terra. Se
tutto mettiamo in comune e scegliamo Gesù come nostro unico vero bene, egli colmerà
la nostra vita contraccambiando il povero nostro dono con il centuplo,
facendoci sperimentare la bellezza della comunione nella comunità cristiana.
Continua a guardarci
con sguardo carico d’amore.
Rivela ancora il progetto di
Dio su di noi.
Incantaci con la tua
bellezza,
con la bontà del tuo essere
Dio.
Continua a chiamarci alla
tua sequela
con voce più potente d’ogni
altro richiamo,
capace di rendere possibile
l’impossibile scelta
di condividere tutto,
per avere te come unico
tesoro,
così che fiorisca, su questa
nostra terra,
una fraternità nuova e
solidale,
la famiglia dei figli di
Dio.
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