domenica 21 ottobre 2018

Per noi uomini e per la nostra salvezza




Quando il cielo era poche spanne sopra la terra era facile per Dio affacciarsi e guardare quanto accadeva quaggiù in basso, interessandosi delle creature. Vedeva se osservavano le sue leggi oppure no, se rispondevano al suo amore; si curava delle persone, ad una ad una; guidava il suo popolo, sapeva se camminava rettamente o se si perdeva dietro ad altri dei che tali non erano…
Agli uomini bastava alzare la testa all’insù per parlare col loro Dio; era vicino e poteva ascoltare con facilità la loro voce.

Ma è bastato elevarsi con gli aerei di linea sui quindicimila metri per vedere scomparire le persone. Quando poi le navicelle spaziali si sono posizionate in orbita attorno alla terra questa è apparsa come una splendida piccola palla azzurra che si può quasi tenere in una mano e sono scomparse anche le città. Poco più in là si dilegua anche il sistema solare e se ci allontaniamo qualche milione d’anni la nostra galassia diventa un puntino e poi nemmeno quello, in un universo di infiniti universi. Quel minuscolo uomo non è più neppure un pulviscolo, come non lo è più la terra, né il sistema solare, né la galassia della Via Lattea.
L’uomo s’è perso, non è più niente.

Ho pensato a tutto questo oggi, ascoltando Gesù che nel Vangelo dice d’essere venuto per dare la propria vita in riscatto di molti. Ma da dove è venuto? E tra tutti questi spazi infiniti senza più spazi, cosa gli interessa quel pulviscolo di Terra sparita tra milioni di galassie? Che gli interesserà poi quel niente di niente di me perduto tra i milioni d’anni luce?
Eppure ci credo. È venuto per me: “per noi uomini e per la nostra salvezza”, come abbiamo recitato nel credo. Una realtà grandissima, più grande dell’universo senza fine, che merita una gratitudine altrettanto infinita.


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