La
seconda valenza di quel “sino alla fine” è quella dell’intensità, della
totalità: un amore che non è solo perseverante, ma che cresce fino al dono
estremo di sé. Davvero «nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13), e lui l’ha data! La parola «È compiuto» acquista allora
un significato ancora più profondo, ha il senso della pienezza, della misura
pigiata, scossa e traboccante (cf. Lc
6, 38). Come poteva amare di più Gesù se non arrivando a morire per noi?
Ha dato tutto.
Alcuni
l’hanno seguito anche su questa via di un amore capace di dare la vita. Vengono
alla mente Massimiliano Kolbe che scende nel bunker della morte al posto di un
padre di famiglia, Gianna Beretta Molla che accetta di morire perché il suo
bambino abbia la vita, Shahbaz Bhatti che continua il suo servizio di ministro
per le minoranze, incurante delle minacce, fino ad essere ucciso. L’amore può
chiedere tutto e occorre essere disposti a dare tutto, costi quello che costi.
Siamo
però consapevoli l’amore non può trovare in noi fedeltà e totalità se non ce
n’è fatto dono. Il Signore non ci è solo modello, ma anche causa dell’amore
“sino alla fine”. Il nostro amore può giungere “alla fine” grazie al suo: egli
che ha iniziato l’opera in noi, la porterà a compimento (cf. Fil 1, 6).
Vi è
un’ulteriore valenza di quel “sino alla fine”, e questa riguarda soltanto Gesù.
Il suo amore non termina con la sua morte, ma rimane costante per i secoli.
Prima di salire al cielo ripeterà ancora “sino alla fine”: «Ecco, io sono con
voi sino alla fine del mondo» (Mt 18,
20). Questo sì che è un amore costante, perseverante, attento e premuroso. Non
ci lascia mali, ci segue momento per momento, anche nei momenti più bui e
difficile, di solitudine e di abbandono. Egli c’è, c’è sempre: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò
sino alla fine».
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