Tornare dopo tanto tempo nella casa sul lago dove ho vissuto
per sette anni è stato un po’ un’emozione. Ho colto un piccolo frutto di quel
periodo: 24 giovani religiosi di diversi ordini e nazioni riuniti dal desiderio
di mantenere viva la comunione tra i carismi. È proprio quello per il quale
lavoravamo in quella casa sul lago.
Le cose più belle del mio intervento, sulla concretezza
della spiritualità di comunione, sono emerse dal dialogo con loro.
In un attimo mi è sembrato di rivedere Gesù che chiamava
personalmente, ad uno ad uno i suoi apostoli, per nome, perché ciascuno fosse
legato a lui indissolubilmente, per sempre: “perché rimanessero stabilmente con
lui”. Non c’è comunità se non c’è un legame personale, profondo, con Gesù.
Non rimasero tuttavia entità divise tra di loro, ognuna con
il proprio rapporto personale con Gesù. Egli “fece i Dodici”, li rese una cosa
sola con sé e tra di loro, il “corpo apostolico”.
Mentre li legava a sé, “perché rimanessero stabilmente con
lui”, e tra di loro così da formare un corpo, li mandava nel mondo per
annunciare la parola: la comunità non è ripiegata su se stessa, ma aperta, è missionaria.
Eccoli lì davanti a me i Dodici, oggi ventiquattro!
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