Ucraina, Lituania, Tailandia,
Polonia, Germania, Austria, Venezuela, Brasile, Malta, Portogallo, India,
Italia. Sono i Paesi dai quali provengono i 30 superiori di seminari per il
corso di formazione che si svolge da anni qui a Vallombrosa. Da tre giorni sono
con loro, in questo cenacolo sacerdotale pieno di luce e di gioia.
Come risuonano bene tra di noi le
parole di Benedetto XVI: “Dio si serve di un povero uomo al fine di essere,
attraverso lui, presente tra gli uomini e di agire a loro favore. Quale audacia
di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre
debolezze, rende degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece
sua…”.
Nessuna enfasi o esaltazione nella
nostra immagine del prete. “Quando esercitiamo il nostro ministero – diceva
Vanhoye durante il suo ritiro alla curia romana – dobbiamo anche offrire noi
stessi in unione con l’offerta di Cristo. Per le nostre persone il sacerdozio
battesimale è più importante del sacerdozio ministeriale”. E il Concilio
Vaticano II: “I sacerdoti del Nuovo Testamento… sono, come gli altri fedeli,
discepoli del Signore… sono fratelli tra fratelli, come membra dello stesso e
unico Corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti.” Il nostro specifico:
ci troviamo in mezzo ai laici “per condurre tutti all’unità della carità” (Presbyterorum Ordinis, 9). O come
ricorda Pastores dabo vobis: “riunire
la famiglia di Dio come fraternità animata dalla carità e condurla al Padre per
mezzo di Cristo nello Spirito Santo” (74). C’è missione più grande e più bella?
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