Due giorni a Brescia, ospiti in una splendida villa di inizio 1900, con alcuni dei nostri Oblati del Nord Italia, per riflettere insieme sulla nostra spiritualità missionaria.
La nostra ascesi non sono le penitenze, i digiuni, le veglie dei monaci. Sono sul terreno dell'evangelizzazione, frutto del donarsi agli altri, del mettersi a totale servizio delle persone doti, tempo, energie, senza mai risparmio. Pronti a rinunciare ad esprimersi in maniera brillante per lavorare con lingue stranieri, che mai saranno possedute alla perfezione, ad adattarsi a cibi e usi diversi, a prendere la malaria, a cambiare di luogo e di ministero, distaccati dalle persone amate e dal bene fatto…
Anche le notti dei sensi e dello spirito dell'Oblato avranno le connotazioni tipiche dell'apostolo. Possono essere occasionate dal senso del fallimento, dall'insuccesso apparente o reale, dalla percezione della propria inefficienza, dalla sfiducia in se stessi, dalla stanchezza. Davanti alle nuove sfide dell'evangelizzazione ci si può sentire inadeguati, non sufficientemente preparati. Si possono veder crollare le opere costruite con tanta passione, venire meno le persone che ci avevano seguito. Un'obbedienza improvvisa può rimuovere da un campo nel quale si era lavorato con amore e con frutto... Ad una certa età si vedono venire meno le forze e ci si sente incapaci di operare come si era fatto fino ad allora... Il lavoro apostolico è purificato e con esso l’apostolo stesso.
Come per Gesù anche per noi può venire la prova suprema, quella della fede, fino a non sentire più la vicinanza di Dio. Egli sembra allontanarsi dall’orizzonte fino a scomparire. Partiti con slancio per portare la fede, ci si può trovare senza fede.
Ma non è questa è la via seguita da Gesù? Per togliere il peccato del mondo si è fatto lui stesso peccato. Per donarci Dio e farci dio si è fatto senza Dio. L’efficacia del ministero missionario raggiunge il suo culmine proprio nel momento dell’impotenza, quando non si può fare altro che assumere il negativo in sé e attorno a sé, con l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, addossandoselo. Si comprendono in maniera nuova alcune parole della Scritture: il tesoro del ministero di Cristo «in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2 Cor 4,7).
Si sperimenta anche la forza della risurrezione: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,10). «Mi affanno e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (Col 1,29). «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13).
La necessità della santità per la missione è sempre stata affermata con chiarezza. Meno sviluppata è l'idea che la missione stessa contribuisce alla santità del missionario. La santità dell’uomo apostolico si costruisce nel costante dono di sé che la missione richiede, nell'amore e nel servizio concreto per i fratelli ai quali egli è inviato. Andare ai poveri vuol dire andare al Signore. Per andare al Padre occorre passare attraverso l'umanità di Cristo, così per andare a Cristo occorre passare per il fratello con cui Cristo si identifica: è la logica dell’incarnazione. Gesù si identifica con chiunque è nel bisogno, sia esso affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere. Tutto ciò che avremo fatto a qualsiasi persona è fatto a lui (cf Mt 25, 31-46).
L'azione diventa fonte di contemplazione in una stupenda circolarità. Si parte da Cristo e si va al fratello e qui di nuovo ci si incontra con Cristo e si ritorna al Cristo.
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