Con alcuni degli ex studenti |
La “Piccola casa della divina Provvidenza” si è svegliata
questa mattina al sorgere di un sole splendente che nel cielo limpido fa
brillare le alpi innevate che abbracciano la città di Torino.
Il convegno, nella mattinata, entra nel merito del tema. P.
Lino Piana, padre della Piccola casa, “racconta” il carisma e la spiritualità
di san Giuseppe Cottolengo, di cui è il 15° successore. Da profondo studioso,
che tra l’altro ha pubblicato le fonti, ci aiuta a cogliere la “parola” e il
messaggio che lo Spirito Santo ha affidato al Cottolengo per la Chiesa.
Come tanti altri santi della carità il Cottolengo era un
uomo dell’azione e non della riflessione, che parlava con i fatti più che con
gli scritti. Eppure sono rimaste alcune parole chiave e detti famosi che
continuano a ispirare i suoi discepoli. Nella formula dei voti del 1834
definisce ad esempio la suore di vita attiva: “fedele serva dei poveri”. Nella
vita contemplativa nella Regola n. 30 per i suoi eremiti invita: “Mente e cuore
devono essere occupati da Dio e da cose spettanti la vita dell’anima”.
O ancora: “La preghiera è il primo e più importante lavoro
della Piccola casa”, “Presenza di Dio”, “Provvidenza”, “Carità, carità”, “i poveri”…
Significative anche le sintesi dei contemporanei o nei
documenti pontifici: si ricordano i suoi “monumenti della carità”; si afferma
che le sue opere mostrano la “veridicità dell’amore di Dio”…
Vi sono anche parole evangeliche particolarmente care al
Cottolengo che ha incarnato con fede carismatica: “Cercate prima il Regno di
Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Non
mancano tanti altri aspetti come il senso della
vita contemplativa, l’anelito crescente alla santità, il senso del
distacco da tutto…
La chiave di comprensione del Cottolengo rimane però l’esperienza del 2
settembre 1827, quando si trovò davanti a una famiglia che vedeva morire
tragicamente la mamma perché nessun ospedale volle accoglierla. Lì, nella condivisione
di quel dolore, avvertì la chiamata a esprimere in modo nuovo l’amore di Dio
per i poveri: “L’amore di Cristo ci spinge…”, nell’abbandono fiducioso alla
divina Provvidenza. Questa parola paolina, interpretata in un modo
particolarmente concreto, tutto personale, è proprio il cuore del messaggio del
Cottolengo.
Suor Elda Pezzuto, vicaria generale delle suore del
Cottolengo, racconta il percorso del carisma del Cottolengo in questi 180 anni.
Sr. Elda che ha fatto la sua tesi sul Cottolengo proprio con me al Claretianum
(qui nella famiglia del Cottolengo ho la gioia di incontrare 4 suore e 2
fratelli tra i miei studenti di una volta).
Il Cottolengo, spiega la suora, si è immedesimato con la sua
opera, si è identificato con essa al punto che oggi quando si dice “il
Cottolengo” si pensa più alle case sparse nel mondo dove la carità diventa
vita, che non alla persona di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, dimostrazione
che il carisma è un’esperienza condivisa, è vita che si diffonde e che ha
saputo ed è ancora capace di coinvolgere migliaia e migliaia di persone,
soprattutto donne, “sintonizzate” con il suo progetto caritativo evangelico, in
vita contemplativa e apostolica.
“La nostra Regola – afferma ancora la suora – è la Piccola
casa!”. La regola, piuttosto che in uno scritto, il fondatore l’ha lasciata in
un’opera. Guardando ad essa si comprende il senso di una vita e il modo di
vivere il Vangelo. La Piccola casa racchiude e custodisce l’ispirazione
carismatica.
Il racconto dei 180 anni si articola in quattro percorsi:
- La
fecondità del carisma del Cottolengo nella Chiesa e per la Chiesa
- La
diffusione storico-geografica
- La
fedeltà al carisma, al primato di Dio, alla carità, alla comunione evangelica
- Il
costante sviluppo in aderenza ai tempi e alla vita della Chiesa.
Nel pomeriggio “fuochi d’artificio”: dai molti istituti che
si sono ispirati al Cottolengo la testimonianza di quanto ha prodotto la
medesima linfa della carità nella sua straordinaria creatività. La comunione
dei carismi, in questo caso è favorita in maniera straordinaria.
Una suora anzianissima, mi ferma e con voce tremante mi
ringrazia per l’intervento di ieri e mi esprime il suo assenso: “Con il nostro
sì a Dio, come quello dei nostri fondatori, possiamo davvero farci santi”. Un’altra,
di mezza età, mi avvicina per dirmi: “Da 45 anni lavoro con gli handicappati.
Ho dato tantissimo, ma anche loro mi hanno dato tantissimo, proprio nella
reciprocità. Vivendo con loro mi sono passate tutte le paure. Loro mi hanno
fatto donna”.
Il saluto che riecheggia costantemente in questa città della
carità è “Deo grazias”. Lo senti ripete da ogni persona che incontri, è il buon
giorno, la buona sera, la buona notte, il grazie, il prego… È la testimonianza
di una grande fede, che vede tutto proveniente dalle mani di Dio, tutto
espressione del suo amore, senza distinzione tra gioie e dolori. È così che la
“Piccola casa” è luogo del sorriso, non del dolore. Profezia di una socialità
nuova, evangelica.
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