«Tutte queste carte che ho scritto valgono nulla se l’anima che le legge non
ama, non è in Dio. Valgono se è Dio che le legge in lei». Queste parole, scritte
da Chiara Lubich il 25 luglio 1949, costituiscono la cifra interpretativa di un
lungo testo nel quale narra la sua esperienza di luce iniziata una decina di giorni
prima e che si protrarrà per un paio di anni. Si tratta di uno dei suoi tanti scritti
ancora inediti.
Da poco il Centro Chiara Lubich e l’Editrice Città Nuova hanno avviato la pubblicazione
delle sue opere, gran parte inedite, come i diari, le conversazioni, le lettere.
Tra queste è in programma una serie di scritti, dal 1949 al 1951, ordinati da
lei stessa, a cui ha dato il titolo di Paradiso ’49. Alcune pagine di questo libro, apparse in varie raccolte, a cominciare dalla
prima opera pubblicata, Meditazioni, sono note, come Ho un solo Sposo sulla terra, Resurrezione di Roma, Guardare tutti i fiori. Bastano questi testi per dare
ragione dell’affermazione che valgono se chi legge ama, è in Dio. È una legge elementare
per la comprensione d’ogni opera: portarsi al suo stesso livello. Per capire il
Paradiso ’49 in maniera adeguata,
è indispensabile condividere l’esperienza di Chiara Lubich e quasi entrare con lei
in quel “Paradiso” di cui il libro dà testimonianza.
Personalmente, la prima impressione che ho provato leggendo questo libro, è
stata di tipo estetico: un linguaggio bello e moderno, semplice e suggestivo, senza
niente di superfluo. Anche nella sua forma il Paradiso ’49 lascia intuire che Dio è Bellezza e bello il suo Paradiso.
Il testo non è tuttavia di facile lettura, sia per la densità dei contenuti,
sia per i molteplici generi letterari che lo compongono: lettere, pagine intime
sullo stile del diario spirituale, annotazioni in vista di conversazioni, articoli
di giornale o commenti alla “Parola di vita”, momenti autobiografici o speculativi,
addirittura una favola. L’esperienza comunque, pur varia, procede come in un filo
d’oro: l’Autrice stessa, nella successione delle tappe illuminative e nelle conseguenti
esperienze, coglie una pedagogia divina, «uno svelarsi di misteri lievi e soavi
come il Paradiso, logici e progressivi come la vita».
Lo scritto non segue un piano prestabilito a priori, si lascia piuttosto guidare
dagli eventi così come accadono, a volte in maniera inattesa. Dio mette a parte
una sua creatura del suo stesso mistero, quasi una contemplazione, una comprensione
e una nuova attuazione della grande storia della salvezza la cui rivelazione è culminata e conclusa con Cristo Gesù.
Leggendo il Paradiso ’49, ho avuto la stessa impressione di quando si decolla con l’aereo. All’inizio il paesaggio scorre veloce e si vedono la
torre di controllo, le piste di atterraggio, i palazzi della città, le montagne.
A mano a mano che si sale, il paesaggio si fa più indistinto. In alta quota sembra
di essere fermi, sotto tutto si muove lentamente, eppure l’aereo è molto più veloce
di quando si alzava in volo. Analogamente il viaggio descritto nell’opera: agli
inizi si coglie facilmente il susseguirsi
dei vari passaggi, numerosi e sempre nuovi. È sufficiente leggere i primi paragrafi (1-48, 384-403), pubblicati
nel libro Il patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich (Città Nuova).
Si è subito rapiti dallo scenario di rara bellezza della natura che, nelle Dolomiti
trentine, fa da sfondo alla grande esperienza, come il tramonto del 17 luglio 1949,
appena il secondo giorno di “viaggio”. Il tramonto richiama la manifestazione del
Verbo avvenuta durante la meditazione nella chiesa di Tonadico alle 6 del pomeriggio:
«Ricordo che, poco dopo, vedendo da una collina che dei raggi di sole, appena tramontato
dietro una montagna di fronte, saettavano verso il cielo, ho detto alle mie compagne:
“Quello e il Verbo: la bellezza, lo splendore del Padre”».
A mano a mano che passano i giorni e i mesi, il volo si fa più alto, penetra nelle realtà di Dio,
della creazione e della storia, colte da una prospettiva particolare: dall’Uno,
dalla Trinità, quasi una conoscenza dal di dentro.
All’inizio del mese di settembre 1949 inizia lentamente la discesa. Si lasciano
le Dolomiti, il Tabor, per tornare “in terra” e guardare, con la luce di lassù,
la realtà di ogni giorno. Il viaggio continua, affrontando le contraddizioni, le
resistenze, i dolori dell’umanità. Nel cielo si è sperimentato il “già” dell’eternità,
pienezza di luce e di gioia. Nell’immersione nella città si prende coscienza del
“non ancora”.
Non è un caso se la prima parola con la quale si apre il libro di Chiara Lubich
è “Abbà, Padre”. Eccoci nel seno del Padre, nel “Paradiso”: è il decollo, l’inizio del grande
viaggio. L’ultima parola con la quale si conclude è “uomo”. Eccoci in terra, con
tutto il “Paradiso” dentro: siamo atterrati. Dentro rimane un’unica passione: portare
il cielo in terra, la terra in cielo, superando la dicotomia tra il “già” e il “non
ancora”.
Gustare il Paradiso ’49
«Ho avvertito uscire dalla mia bocca
spontaneamente la parola: “Padre”. E in quel momento mi sono trovata in seno al
Padre».
Il “viaggio in Paradiso” inizia quando lo Spirito Santo pone sulle labbra la
parola “Padre”. Così Gesù ci ha insegnato a pregare: non una formula, ma la scoperta
di essere amati da Dio al punto da essere davvero suoi figli. E dove possono abitare
i figli se non nella casa del Padre?
ho visto l'articolo nel suo blog "Viaggio in Paradiso e ritorno" e ringrazio di cuore tutto quello che dice, siccome c'è un numero 1, spero ci saranno altri articoli. Non sò proprio perchè questo scritto mi sembra un regalo per me, mi riempie l'anima di gioia e le parole non bastano per poter esprimere quello che voglio dire. Spero poter trovare tutti questi scritti di questi anni che possono far avere una visione più completa di tutta questa bellezza. GRAZIE e aspetto gli altri articoli
RispondiEliminaMaria Grazia Guerini