Appena lo vide uscire dal convento, lo invitò a seguirla lungo il breve sentiero
che porta al torrente Fersina. Si fermò sulla panchina rossa lungo l’argine e gli
fece cenno di sedersi accanto a lei. «Sai dove siamo?», gli chiese. Igino Giordani
avrebbe potuto risponderle che erano a Tonadico, sulle Dolomiti, seduti su una panchina
rossa al sole del primo mattino, ma intuì che lei stava per raccontargli qualcosa
di importante. Doveva essere accaduto qualcosa durante la messa alla quale poco
prima avevano partecipato nella chiesa di Sant’Antonio, lì a due passi.
Appena il giorno precedente, lui le aveva confidato il desiderio che lentamente
aveva maturato da quando, la prima volta, l’aveva vista arrivare nel suo ufficio
a Montecitorio e aveva ascoltato l’esperienza evangelica di lei e del gruppo natole
attorno a Trento.
Fino ad allora Giordani aveva invidiato la “allegra brigata”, cioè gli uomini
e le donne d’ogni condizione che nel 1300 avevano seguito Caterina da Siena.
Avrebbe voluto essere nato in quel tempo ed essere uno di loro. Ora, proprio
lì in Parlamento, si era trovato finalmente davanti la persona che da tanto tempo
attendeva. Fu così che dopo solo pochi mesi da quel primo incontro, il 15 luglio
1949, le chiese di “legarsi stretto”, come facevano i seguaci di santa Caterina,
proponendo di farle voto di obbedienza perché lo guidasse nella via della perfezione.
Chiara Lubich invece gli aveva risposto di lasciare a Dio l’iniziativa di un legame
come lui intendeva. Che fosse Gesù Eucarestia, ricevuto insieme alla messa dell’indomani,
a stipulare tra loro un “patto d’unità”. Gesù, venendo in lei come in un calice
vuoto, avrebbe patteggiato con Gesù in lui, che doveva porsi nello stesso atteggiamento
di totale apertura e disponibilità. Così era avvenuto: su lei “nulla”, fattasi “vuoto
d’amore” per accogliere Gesù- l’Amore, e su lui, “nulla” come lei, era rimasto soltanto
Gesù. I due erano diventati un unico
Gesù. L’Eucaristia aveva operato in pienezza ciò per cui è stata istituita.
Al termine della messa entrambi erano usciti di chiesa, Chiara per andare a
casa, Giordani nel convento dei frati per una conferenza. Ma lei si era sentita
spinta a ritornare in chiesa.
Ancora una volta avrebbe voluto rivolgersi a Gesù chiamandolo per nome, ma non
le era possibile pronunciare quella parola. Si ripeteva per lei l’esperienza dell’apostolo
Paolo: «Non vivo più io, vive in me Cristo» (Galati 2, 20). Era lei Gesù, immedesimata con lui, e Gesù non può chiamare se stesso.
Così, dalla bocca di Chiara era uscita la parola con la quale Gesù pregava: «Abbà,
Padre». Non era soltanto una parola, era una realtà. Era stato lo Spirito a metterle
sulle labbra quel nome (Romani 8, 15). Così si
era trovata come in un’altra dimensione, nel “seno del Padre”, come diceva lei:
«Ero, dunque, entrata nel Seno del Padre, che appariva agli occhi dell’anima (ma
è come l’avessi vista con gli occhi fisici) come una voragine immensa, cosmica.
Ed era tutto oro e fiamma sopra, sotto, a destra e a sinistra. (…) Era infinito,
ma mi trovavo a casa».
Sulla panchina rossa Chiara, prima di narrare a Igino Giordani lo straordinario
fatto accaduto, gli rivolge la domanda: «Sai dove siamo?». Forse un altro avrebbe
detto: «Sai dove sono?» e avrebbe parlato della propria personale percezione di
essere nel seno del Padre. Chiara invece usa il plurale, “sai dove siamo?”, perché
quell’evento era avvenuto dopo il patto d’unità con Giordani. Le due anime loro
erano diventate un’anima sola, quella di Cristo, ed era quest’unica anima a essere
entrata nel seno del Padre.
Lei, per una grazia d’ordine carismatico, ora “sa” dove essi si trovano; lui
ancora non lo sa. Ma Chiara, proprio lì su quella panchina, lo rende consapevole.
Il giorno seguente coinvolge nello stesso patto d’unità le sue compagne, e comunica
loro, come prima a Giordani, le nuove contemplazioni. Annota lei stessa: «Descrivevo
così perfettamente ogni cosa alle focolarine che anche esse “vedevano” nella stessa
maniera», rese partecipi delle realtà del Cielo che si andavano svelando giorno
dopo giorno.
L’esperienza mistica che sta avvenendo non è soltanto di una persona, come avveniva
nel passato per figure come Angela di Foligno e Teresa d’Avila, ma di un gruppo.
Come racconta Chiara: «Ho avuto l’impressione di vedere nel Seno del Padre un piccolo
drappello: eravamo noi».
Quel 16 luglio 1949, a Tonadico, il “noi” era costituito da un piccolissimo
gruppo di persone. Anche oggi ognuno può entrare a far parte di quel “noi”. Quel
modo particolare di “vedere” e di “sapere” la vita di Paradiso è stato dato a Chiara,
per una grazia mistica, per introdurre tanti altri in quella medesima realtà, rendendoli
consapevoli di “dove siamo”. (continua / 2)
Gustare il Paradiso ’49
«E noi non eravamo più noi, ma Lui
in noi: Egli Fuoco divino che consumava le nostre anime diversissime in una terza
anima: la sua: tutta Fuoco».
È il prodigio che opera l’Eucaristia anche oggi, quando entra in persone disposte
a vivere tra loro il comandamento dell’amore reciproco. Ognuno fa spazio all’altro,
nel dono totale di sé – come Gesù nel suo abbandono in croce –, e in questo spazio
prende posto Gesù che, col suo amore – il Fuoco –, trasforma tutti in sé, un unico
Gesù: egli vive la nostra vita e opera in noi.
La prima puntata:
Grazie, profondamente sentite, per il suo blog - sempre cosi ricco-, ed in particolare per postare questa serie sul "Paradiso del 49".
RispondiEliminaChe lo Spirito Santo ci aiuti ad "entrare" sempre di piu "nell'Anima" del "Noi-Cristo", secondo l'esperienza del Paradiso 49.
Cordiali saluti dal Messico. Miguel Novak