Per la quarta volta mi
accingo a raccontare la stessa storia. Perché? Perché raccontare storie è
sempre bello. Non so se lo sia anche per chi ascolta. Lo spero. Io comunque non
rinuncio a raccontare. Vediamo se l’inizio (provvisorio) del nuovo libro può
piacere. Il soggetto è subito evidente.
Marsiglia, 27 ottobre 1802. Caro padre, vorrei poterti
esprimere i sentimenti di gioia, misti ad apprensione e ansia, alla vista della
madre che mi attendeva sulla banchina, dopo sette anni di dolorosa separazione.
Vorrei poterti dire dei suoi caldi abbracci e baci, pari a quelli con i quali
tu, lo zio Fortunato e lo zio Luigi mi avete lasciato quando sono partito da
Palermo. In questa fredda serata il vostro affetto mi scalda ancora. Quanta
gratitudine per la premura senza pari con la quale avete voluto accompagnarmi
fino all’ultimo momento. Saliti con me sul veliero, vi siete assicurati che
fossi bene alloggiato nella cabina, mentre lo zio Luigi, da buon ammiraglio di
vascello, ha voluto raccomandarmi al capitano Reinier. Per quest’ultimo fatto,
devo essere sincero, mi sono un po’ risentito, quasi non fossi ormai buono a
badare a me stesso, ma ho visto anche in questo un gesto di attenzione e di
premura, che mi ha fatto immenso piacere. Vi ho sempre davanti agli occhi,
immobili sulla banchina, mentre la nave si allontanava. Eravate venuti per
farmi sentire meno duro il distacco della partenza e invece le vostre lacrime mi
ha lacerato il cuore d’un dolore acuto, che la lunga traversata lentamente ha tramutato
in persistente nostalgia. Le mie lacrime hanno continuato a velare il futuro e a
impedirmi di gustare la gioia del ritorno in patria.
Dicevo che vorrei renderti partecipe della stessa premura e
dello stesso affetto da parte della mamma, appena mi ha visto arrivare. Ma non
è così. Non c’era ad attendermi. Non c’era nessuno da Aix, neppure la zia,
neppure la nonna, neppure un parente di Marsiglia. E pensare che hanno tanto
insistito perché tornassi. Nessuno. Non c’era nessuno ad attendermi. Torno in
patria e nessuno mi accoglie. Mi sento ancora più straniero e continuo a rimpiangere
Palermo. O meglio, rimpiango voi, gli amici, i Cannizzaro. Mi sento stringere
il cuore dalla solitudine e dall’angoscia.
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