La settimana scorsa (4-6 febbraio) si è tenuto il consueto incontro annuale dei religiosi al Centro Mariapoli di Castelgandolfo. Sempre un momento di festa e di profondità, di comunione e di riflessione sulla vita consacrata. Ne è emersa la vocazione tipica della vita consacrata: la profezia e in particolare la profezia della fine: l'unità.
Nella Lettera apostolica per
l’Anno della vita consacrata papa Francesco ha scritto ciò che si attende dalle
persone consacrate: «che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza
la vita consacrata è la profezia.
La profezia è vedere e aiutare a
vedere con gli occhi di Dio. Leggere e giudicare la storia a partire dal
progetto di Dio sulla storia. Far sì che la storia umana cresca fino a
coincidere con la storia di Dio. Per far questo occorre conoscere la storia di
Dio, conoscere Dio, esserne dentro, farne parte: è il cuore della vita
consacrata: “Dio, Dio, Dio”.
Profezia è essere rivolti verso
il popolo per parlare di ciò che si è contemplato nell’essere rivolti verso
Dio, conoscere la storia umana, esserne dentro, farne parte: è l’invito del
papa: vicinanza alla gente, uscire, periferie, i poveri, la carne dell’altro… È
il cammino percorso in ogni forma di vita consacrata, che nasce sempre dalla
condivisione della “compassione” di Gesù al vedere le folle.
Per noi essere profeti significa
capire e condividere il sogno di Gesù, il suo testamento, la sua ultima preghiera:
“Che tutti siano uno”. Vivere perché il suo desiderio penetri nella storia
umana, così che la storia di incammini verso il suo compimento: Dio tutto in
tutti, nell’unità trinitaria. Aiutare la Chiesa a compiere la propria missione
di sacramento universale di unità degli uomini tra di loro e con Dio.
Essere profeti significa aver
compreso che l’unità è il disegno di Dio e il compimento della storia, che
tutta la creazione è incamminata verso l’unità.
Essere profeti significa spendere
la propria vita per questo compimento. Questa la nostra fede, il nostro Ideale,
l’anelito, il perché della nostra vita.
Il capitolo VI della Lumen gentium, dedicato ai religiosi, è
stato letto soprattutto alla luce del capitolo V, sulla universale vocazione
alla santità, così che la vita consacrata è stata compresa come espressione
della santità della Chiesa.
Non è invece stato letto alla
luce del capitolo VII, che parla dell’indole escatologica della Chiesa.
Come religiosi dovremmo far
vedere la meta ultima, il cielo, il Paradiso, Dio: è il ruolo di segno escatologico proprio della vita consacrata, la sua profezia.
Anticipare il Cielo sulla terra, farlo vedere possibile, informare tutto dell'unità trinitaria: come in cielo, così in terra.
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