Sarebbe
un fallimento se l’Anno della vita consacrata, indetto da papa Francesco, fosse
celebrato nel chiuso dei conventi, quasi riguardasse soltanto suore, frati,
religiosi, membri degli istituti secolari e tutta quella selva di persone
consacrate dalle mille denominazioni. A volte entrare in questi mondi delle
persone “consacrate” dà l’impressione di entrare in una realtà un po’
misteriosa ed esotica.
Inoltre si tratta di una realtà ritenuta piuttosto marginale: che nella
Chiesa cattolica la vita consacrata ci sia o non ci sia sembra non abbia una
grande rilevanza, ne se può fare a meno. In fondo le persone interessate sono
appena un milione, a fronte di un miliardo e trecento milioni di cattolici.
La vita consacrata viene considerato un elemento positivo, ma a volte
semplicemente decorativo. Difatti i manuali di ecclesiologia, su un 700 pagine ne
dedicano sì o no una decina appena a questa realtà: ci sono cose ben più
importanti di cui parlare.
Ma cosa sarebbe la Chiesa senza Benedetto e Bernardo, Francesco e
Domenico, Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila, Angela Merici e Vincenzo de Paoli,
Giovanni Bosco e Teresa di Calcutta? Cosa sarebbe la Chiesa senza la santità,
senza i carismi di questi grandi santi che continuano ad essere presenti nelle
famiglie da loro generate? Che Chiesa povera, fatta solo di strutture, incapace
di attrarre.
Assieme alla santità, la vita consacrata tocca
la missione stessa della Chiesa. I movimenti religiosi nati dai
carismi sono diventati naturali evangelizzatori. Basterà pensare all’invio dei
Benedettini in Inghilterra, fino alla penetrazione del cristianesimo in Cina e
nel Nuovo Mondo da parte degli Ordini religiosi, all’esplosione missionaria
dell’Ottocento, che si estende dall’Africa all’Oceania, alle missioni artiche.
L’Anno
indetto da papa Francesco potrebbe essere l’occasione per prendere coscienza del
dono che Dio ha fatto e fa alla Chiesa con i carismi. L’annuncio fu dato il 29
novembre 2013, alla fine dell’incontro con 120 Superiori generali, dietro suggerimento
della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica.
Esso
è stato pensato nel contesto dei 50 anni del
Concilio Vaticano II, e più in particolare a 50 anni dalla pubblicazione del
Decreto conciliare Perfectae caritatis
sul rinnovamento della vita religiosa. Iniziato il 30 novembre scorso, l’Anno
è scandito da un calendario ricco di eventi e terminerà il 2 febbraio 2016. Gli
obiettivi sono enunciati nella Lettera apostolica di indizione (21 novembre
2014): 1) guardare il passato con gratitudine, 2) vivere il presente con
passione, 3) abbracciare il futuro con speranza.
Fin dalla prima riga della Lettera
si avverte il coinvolgimento personale del papa: scrive non soltanto come
Successore di Pietro, ma come “fratello vostro, consacrato a Dio come voi”.
Soltanto Francesco, perché Gesuita, poteva presentarsi come papa fratello. Non
si tratta di una “captatio benevolentiae”: tutta la lettera è una sincera
condivisione di gioie, problemi, speranze… Il papa è dentro la realtà dei
consacrati, espressione di tutti loro.
Ma nella sua lettera si rivolge anche ai laici che, assieme alle persone
consacrate, condividono ideali, spirito, missione. Attorno ad ogni Istituto è
infatti presente una ricca pluralità di soggetti. È poi la volta dell’intero
popolo cristiano “perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la
presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno
fatto la storia del cristianesimo”. Si rivolge inoltre “alle persone consacrate
e ai membri di fraternità e comunità appartenenti a Chiese di tradizione
diversa da quella cattolica”, perché anche loro partecipino all’iniziativa
dell’Anno della vita consacrata, e attira l’attenzione anche al monachesimo di
altre religioni.
In una parola è l’invito a vivere questo anno con grande
respiro; un anno che dovrà vederci tutti protagonisti di una realtà che ci
appartiene.
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