A differenza di Matteo e di Luca, Giovanni non racconta la nascita
di Gesù. Più che la storia cerca il senso della storia. L’origine di Gesù si perde
in Dio: “In principio era il Verbo”: siamo trasportati nell’eternità, prima del
tempo e della storia. Quel verbo “era”, ripetuto con forza per quattro volte lungo
le prime righe del Prologo del Vangelo, dice la natura del Verbo: egli
semplicemente “è”, è Dio.
Da quell’essere e da quella eternità, scaturiscono e tempo e
storia: «tutto è stato fatto per mezzo di lui… il mondo è stato fatto per mezzo
di lui» (1, 3.10). Nell’eternità c’è l’essere, lo “stare”, la durata senza fine,
il rapporto d’amore senza ombra. Il Verbo “è”, da sempre e per sempre, saldo come
roccia. Nel tempo c’è il farsi, il divenire, l’accadere, nella caducità delle cose
e nell’incertezza dei rapporti: tutto “diventa”, tutto “viene fatto”, effimero ed
evanescente: «Il principio era il Verbo… e il Verbo era Dio…
Tutto è stato fatto per mezzo di lui…» (1, 3).
Dio ama la sua fragile creatura e si rivolge al Figlio amato
perché dia consistenza all’effimero e lo porti con sé nell’eternità. «Dio infatti
ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui
non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).
Il Verbo, proprio perché costantemente rivolto verso il
Padre, non può non accogliere e condividere la sua proposta. Nel suo infinito
amore cambia posizione: non più rivolto verso il Padre, adesso si rivolge verso
di noi. Noi diventiamo l’oggetto della sua attenzione, della sua cura, del suo
amore. Lascia il Cielo per venire sulla terra: «E il Verbo si fece carne e
venne ad abitare in mezzo a noi» (1, 14).
Il Natale del Cielo si fa Natale in terra.
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