Il primo Natale si celebra in
Cielo, in seno alla Santissima Trinità. Il Figlio è generato dal Padre da tutta
l’eternità, nel soffio amoroso e vitale dello Spirito Santo. È la realtà dell’amore
costante che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre, nello Spirito Santo.
L’inizio del Vangelo di Giovanni
mostra il Figlio com’è “in principio” e come è da sempre e per sempre, prima di
prendere carne e venire ad abitare in mezzo a noi: “Il Verbo era rivolto verso Dio,
il Padre… Egli era, in principio, presso Dio, il Padre” (cf. 1, 1).
Il Verbo è. Semplicemente è,
sta alla presenza del Padre, rivolto verso di lui, come attratto e incantato dal
suo infinito amore. Uno stare non statico, ma dinamico, fatto di lode, gratitudine,
amore. Il Padre gli parla ed eternamente lo genera con la sua parola; il Figlio
lo ascolta, accoglie la sua parola, risponde, in dialogo d’amore: è la Parola del
Padre, vita della sua vita. Gesù ai discepoli dirà soltanto le cose udite da lui
(cf. Gv 8, 26.28), così come lui gliele ha dette (cf. Gv 12, 50; 14,
24).
Una volta sulla terra, il Figlio
di Dio continua il rapporto con il Padre che ha in Cielo. Di notte, al mattino presto,
in pieno giorno, era solito uscire in luoghi solitari per immergersi nella preghiera.
Se vogliamo comprendere il suo “stare rivolto verso il Padre” di tutta l’eternità,
dobbiamo guardarlo mentre qua sulla terra sta in preghiera: vive in terra come in
cielo.
Come pregava? Cosa diceva? Ogni
sua preghiera inizia con la parola: “Padre”: «Ti benedico,
o Padre, Signore del cielo e della terra…» (Mt 11, 25-26); «alzò gli
occhi e disse: “Padre, ti ringrazio…”» (Gv 11, 41; cf. 12, 27); «Alzati gli
occhi al cielo, Gesù disse: “Padre…”» (Gv 17, 1.11.21.24.25); «Padre, perdona
loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46).
Quando Gesù prega chiama Dio
per nome: Abbà, Padre. Non è una parola, è la realtà della sua vita, la consapevolezza
della sua figliolanza e del rapporto che lo lega al Padre. È la parola che esprime
la sua origine, il suo “Natale”: nasce dal seno del Padre, dal suo amore generante.
Gesù è venuto anche noi, come lui, potessimo essere generati dal Padre. Dà a noi il suo stesso Padre, come rivela a Maria Maddalena subito dopo la resurrezione: «Salgo al Padre mio e Padre vostro…» (Gv 20, 17). Gesù ci comunica anche il suo Spirito Dio perché per mezzo suo possiamo gridare “Abbà! Padre!», come ricorda Paolo ai Galati (4, 6) e ai Romani (8, 15). Gesù ci fa figli con lui Figlio e ci orienta come lui verso il Padre, fino a poter essere anche noi “presso il Padre, rivolti verso il Padre”.
È il 24 agosto 2016. Sono sul
Monte degli Ulivi con un gruppo di amici. Insieme scendiamo nella grotta nella quale,
secondo la tradizione, Gesù avrebbe consegnato ai discepoli la preghiera del Padre
nostro. Lo cantiamo e ho l’impressione di vedere Gesù che prende la mia mano destra
e dall’altra parte Maria che prende la mia sinistra, e insieme ai miei amici mi
orientano verso il Padre. Lo Spirito Santo è lì che ci sospinge mettendo sulle nostre
labbra la parola, “Padre”. Posso dire “Padre” con i fratelli e le sorelle che sono
accanto a me. Quando in silenzio entriamo nella vicina chiesa del Pater Noster sento
che la preghiera rivolta all’unico Padre ha saldato per sempre tra noi i legami
di fraternità. Siamo tutti insieme orientati verso il Padre, in cammino verso di
lui.
Ogni volta che diciamo “Padre”
egli si pone accanto a noi, in mezzo a noi, fratello tra i fratelli, “primogenito
fra molti fratelli” (Rm 8, 29), e ci fa guardare insieme il Padre, ci conduce
al Padre, ci fa sperimentare la sua misericordia, la sua provvidenza, la sua vicinanza
amorevole. Ogni volta che diciamo “Padre” ci inoltriamo nell’intimità con il Padre,
nella fiducia in lui, nella consapevolezza di essere da lui amati perché suoi figli,
i suoi bambini, siamo da lui generati. È il nostro Natale.
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