Il primo a narrare il Natale di Gesù è stato l’apostolo
Paolo. Ne scrive attorno all’anno 55, ben prima di Luca e Matteo, che composero
i loro vangeli dopo il 70. Nella lettera ai Galati leggiamo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo
Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto
la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (4, 4-5). Nella sua narrazione
non ci sono né angeli, né stelle, né pastori, e neppure indicazioni di luoghi o
circostanze storiche.
In che anno ci troviamo? In
quale regione della terra? A queste domande risponderà l’evangelista Luca. A
Paolo interessa una precisa coordinata storica: è
giunta la pienezza (in greco: “il riempimento”) del tempo. È il tempo di Dio,
quello da lui preparato da tutti i secoli. I tempi precedenti era quelli
dell’attesa, ora inizia il tempo nuovo, definitivo, il tempo della salvezza. La
pienezza del tempo indica il cuore della storia umana: Gesù è il centro della
storia, tutto il creato trova in lui il suo senso e la sua più profonda unità.
La Chiesa, afferma il
Concilio Vaticano II, «crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il
fine di tutta la storia umana… Al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili;
esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri,
oggi e nei secoli» (Gaudium et spes, 11)
Secondo
l’originale greco quel «nato da donna» dovrebbe essere tradotto con «divenuto
da donna». Questa parola a noi richiama il prologo del Vangelo di Giovanni
dove, all’essere del Figlio, si contrappore il divenire di tutte le cose, anche
il divenire della sua nascita nella storia, l’assunzione della natura umana: il
Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo, perché generato da una donna. Gesù
nasce da vero uomo, come ogni uomo, nel concepimento, nel parto, ed ha bisogno di
cure, di attenzioni, di tenerezza, di amore. Ha una madre, anche se Paolo non è
interessato al suo nome e alla sua storia. All’Apostolo preme mettere in luce
la piena umanità del Figlio di Dio. Generato dal Padre da tutta l’eternità e
per tutta l’eternità, è generato nel tempo da una donna, assumendo la carne,
ossia un corpo in tutta la fragilità umana. Dio, scrive ancora Paolo, ha
mandato «il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3), ed entra in un mondo e in
una storia segnati dal male, dal dolore, dalle miserie umane, dalla precarietà
dell’esistenza e dall’incertezza del presente. Il libro di Giobbe aveva parlato
proprio della precarietà dell’uomo nato da donna: «L’uomo, nato da donna, ha
vita breve e piena d’inquietudine; come un fiore spunta e avvizzisce, fugge
come l’ombra e mai si ferma» (14, 1-2).
Gesù è carne della
nostra carne, uomo come noi, ha fame, ha sete, si stanca, prova paura e angoscia,
così come sa godere delle gioie effimere che la creazione e la convivenza umana
gli offrono: la contemplazione della natura, la festa, l’amicizia… Dio, in lui,
potrà amare con il cuore. Potrà conoscere anche la morte.
Paolo non dice
in quale luogo è nato il Figlio di Dio, ma ci fa conoscere che è «nato sotto la
Legge»: è un ebreo, sottoposto alla legislazione mosaica. Se il Figlio di Dio
per nascere uomo ha bisogno di una donna, ha bisogno anche di un padre “legale”,
che gli permetta di nascere sotto una legge. Ancora una volta all’apostolo non
interessa il nome del padre, interessa che permetta a Gesù di inserisci nella
linea dinastica del popolo ebraico: «nato
dal seme di Davide secondo la carne», come afferma nella lettera ai Romani 1, 3.
Infine Paolo
indica la finalità del Natale di Gesù: “perché noi ricevessimo l’adozione a figli”. Lo ripetiamo nel Credo: «Per noi
uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo».
Nella Lettera
a Tito, troviamo un altro annuncio del Natale nel quale non viene più in
evidenza la concretezza e la debolezza della “carne”, dell’umanità di Gesù, ma
la luce che emana da questo straordinario evento di grazia: «È apparsa infatti
la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11), «la bontà di Dio, salvatore
nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4).
Di nuovo, come
in Giovanni, appare l’iniziativa dell’amore di Dio che ha tanto amato il mondo
da mandare suo Figlio. La “bontà” di Dio nel testo greco della lettera a Tito, è
detta philanthrōpia.
La Volgata latina traduce, in maniera significativa, con humanitas: il nostro Dio è “umano”!
Ama per davvero. E manda suo Figlio “che porta la salvezza a tutti gli uomini”.
Possiamo iniziare con gioia
la nostra novena di Natale.
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