Quel 16 luglio 1949, dopo aver chiesto a Gesù Eucaristia di
“patteggiare unità” sul suo nulla d’amore e sul nulla d’amore di Igino
Giordani, Chiara Lubich si trovò nel seno del Padre, con «la netta impressione
d’esser immersa nel sole: vedeva sole dovunque: sotto, sopra, in giro ed
attendeva nuove illuminazioni per abituare l'occhio suo a scorgere tutti quanti
vi abitavano». Gli apparve «come una voragine immensa, cosmica. Ed era tutto
oro e fiamme sopra, sotto, a destra e a sinistra». Era una realtà infinita,
eppure non si sentiva persa, aveva l’impressione d’essere a casa.
Il giorno
successivo, 17 luglio, comprese la bellezza del Verbo, espressione del
Padre dentro di Sé. Quando uscì dalla chiesa il sole era appena tramontato e i
suoi raggi saettavano da dietro una montagna. Ecco il Verbo, esclamò, è lo
splendore del Padre!
Mentre il Cielo le si rivelava accadde un evento inatteso:
«Il Verbo sposò in mistiche nozze l’Anima». Era un’esperienza provata da altre
donne prima di lei: Geltrude di Helfta, Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena,
Caterina de’ Ricci, Maria Maddalena de’ Pazzi. Esse raccontano di angeli e
santi che vengono a fare da testimoni alle nozze dello Sposo che mette l’anello
al dito della sposa.
«Per te come è avvenuto?», chiesi a Chiara un giorno mentre
stava leggendo gli scritti di quel periodo. «Il Verbo sposò in mistiche nozze
l’Anima», mi rispose ripetendo quanto aveva appena letto negli scarni appunti.
Tutto qui? Tutto qui. Essenziale e lapidaria come Teresa d’Avila quando,
narrando la sua esperienza simile, scriveva: «Soltanto questo si può dire: che
l’anima, o meglio il suo spirito, diviene una cosa sola con Dio». Anche Chiara
era divenuta una cosa sola col Verbo suo Sposo.
Un’esperienza simile a quelle di altre mistiche, ma con una
particolarità di rilievo: il Verbo sposa l’Anima, con la A maiuscola. Chiara vive
un’esperienza ecclesiale, si sente espressione di tutto un gruppo, avverte di
essere Chiesa. «Il Verbo – scrive in maniera esplicita – sposò l’Anima in veste
di Chiesa». È il ritorno all’idea biblica di Dio che sposa il suo popolo, di Cristo
che sposa la Chiesa. La grande tradizione l’aveva ben compreso. «Dio – scrive
ad esempio san Bernardo – ha fatto e patito tante cose non per un’anima sola,
ma per raccoglierne molte in una sola Chiesa, per formarne un’unica sposa» (Sermone
LXVIII sul Cantico dei Cantici).
Mentre le mistiche nozze nella storia della spiritualità
cristiana sono spesso avvertite come un’esperienza individuale, in Chiara esse
sono un’esperienza di tutto il gruppo di anime fuse in unità, fatte Chiesa.
Nell’unica Anima sposata, le singole anime possono poi dirsi, anche personalmente,
sposate. È il battesimo portato alla sua piena espressione, dove l’immagine
sponsale dice la piena trasformazione in Cristo.
Nei giorni successivi a quel 17 luglio Chiara prese gradatamente
coscienza che, grazie a questa profonda unione, lo Sposo rendeva partecipe la
sposa della propria eredità. La “dote” che egli portava in dono era nientemeno
che “tutto il Paradiso”.
Iniziò così per Chiara il “viaggio di nozze”. Per mesi lo
Sposo fece conoscere alla sposa ciò che ormai le apparteneva, le fece conoscere
il Paradiso attraverso i suoi stessi occhi. La sposa, così ella scrive, «ama,
vede, desidera ciò che ama, vede, desidera lo sposo». «Sposo mio dolcissimo –
la sentiamo esclamare –, troppo bello è il Cielo e Tu come un divino Amante,
dopo le Mistiche Nozze..., mi mostri i tuoi possessi che sono miei». Sembra di
ascoltare il grido di Giovanni della Croce: «Miei sono i cieli e mia la terra,
miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli Angeli sono
miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me,
poiché Cristo è mio e tutto per me. Che cosa chiedi dunque e che cosa cerchi,
anima mia? Tutto ciò è tuo e tutto per te» (Orazione dell’anima innamorata).
Ma anche la sposa deve portare al suo Sposo una dote.
Poiché quelle di Chiara sono “mistiche nozze” in dimensione ecclesiale, la dote
non sarà qualcosa di personale o di intimistico (le proprie facoltà o la propria
santità). Lo Sposo esige come dote nientemeno che l’intera creazione. Solo un
soggetto collettivo può portare in dote (essere espressione di) tutta la
creazione.
Un’esperienza così altamente mistica richiede l’immersione
nella realtà materiale: è l’invito a entrare nel mondo del lavoro, della
politica, della vita sociale e familiare per assumerla pienamente nella sua quotidianità.
Tutto il contrario di un’evasione spiritualista.
È così che negli ultimi anni di vita abbiamo sentito Chiara
Lubich far proprie le parole di Jacques Leclercq, espressione del suo più
profondo desiderio di sposa: «Verrò verso di te, mio Dio… Verrò verso di te con
il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia». (Continua / 3)
Gustare il Paradiso '49
«Solo ora, dopo che
le nostre anime… sono Chiesa…, possono dire, sia in unità con le altre, sia
individualmente…, di essere spose di Cristo».
Anche il grande teologo Congar scriveva che «Tutte [le
persone cristiane] sono spose, ma esse sono viste e volute tali da Dio in
quanto membra della Sposa che è la Chiesa». Soltanto nell’unità – un cuore
solo, un’anima sola – si può giungere a quella pienezza d’unione con Dio che unicamente
la Chiesa può possedere e dare.
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