Eppure sulla memoria di Tommaso rimaneva
quella macchia, che lo segnerà per i secoli: Tommaso l’incredulo. Ma il Maestro
non si era rivolto a tutti i suoi apostoli rimproverandoli per essere uomini di
poca fede? Apa Pafnunzio si domandò se non sarebbe stato più aderente alla
verità chiamarlo: Tommaso dalla grande fede.
Non aveva bisogno di proclamare:
“credo”, come il padre del ragazzo indemoniato o come Marta. Gli bastò arrendersi
all’evidenza: la presenza del Risorto. Gli bastò chiamarlo per nome, quello
vero, che ne affermava l’identità più profonda: il Signore, il Dio.
Ogni volta che ripeteva le parole di
Tommaso, apa Pafnunzio si estasiava, rimaneva rapito in contemplazione della
verità fatta persona: Gesù, il Signore, il Dio.
Il Signore, il Dio era totalizzante
e avvolgente, al punto che ad apa Pafnunzio bastava pronunciarne il Nome santo
per sentirsi saziato; la sua preghiera non aveva bisogno di procedere oltre.
Come Tommaso, neppure lui proclamava: “credo”, tanto chiara era l’evidenza.
La fede di apa Pafnunzio, al pari di
quella di Tommaso, non era distaccata affermazione di una verità distante e
freddamente oggettiva, ma adesione totale a una verità che penetrava l’anima
fino a diventare esperienza personale. Il Signore e il Dio si era fatto vicino,
era entrato nella sua vita, era diventato sé – o era lui che stava diventando uno
con il Signore e il Dio? Il Mistero si svelava e diventava suo – o era lui che
stava diventando il Mistero?
Non aveva bisogno di toccare, come
forse neppure Tommaso aveva toccato. Gli bastava avere davanti il suo Signore e
le sue piaghe, segni di un amore concreto e totale.
Apa Pafnunzio passò le ore della
sera davanti all’icona del suo Signore, con accanto Tommaso, e insieme
ripetevano: «Il mio Signore e il mio Dio»
Nessun commento:
Posta un commento