Agostino si trovava a Milano, nella tarda estate del 386,
nel giardinetto di casa, sotto un fico, buttato a terra. Sentì dalla casa
vicina una voce sottile: «Prendi e leggi». Aprì la lettera di Paolo ai Romani,
vi lesse il versetto 14, 1 e appena terminata la lettura di quella frase «una
luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si
dissiparono» (Confessioni, VIII, 12,
29, Città Nuova, Roma 1971, p. 195). La narrazione del suo incontro con Cristo
è diventata uno dei testi classici della letteratur religiosa di tutti i tempi:
Le Confessioni.
Le storie continuano. Ognuno di noi ricorda un giorno e un
luogo particolare nei quali ha avuto la chiamata a seguire Gesù, o il richiamo
alla conversione. Il credo più bello che possiamo proclamare è narrare la
storia dell’incontro con il Signore e il cammino che da allora è iniziato, con
sbandamenti, incertezze, arretramenti, conquiste, slanci in avanti… La prima è
stata Maria di Nazareth con il suo Magnificat,
la più grande confessione del più grande incontro con Dio: «Ha guardato
l’umiltà della sua serva… Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente…» (Lc 1, 46-55).
Dio continua a rendersi presente ogni volta che nasce un
bambino e ci dice che la vita è più forte della morte. Ci parla quando cadono
le foglie degli alberi in autunno, sotto le folate del vento, per sussurrarci
che tutto passa. Si affaccia mille volte in una giornata e fa capolino, come lo
sposo nel Cantico dei Cantici: «Eccolo, egli sta
/ dietro
il nostro muro; / guarda dalla finestra, / spia
attraverso le inferriate» (2, 9). Anche l’evento più tragico, la morte,
può essere letto con occhi di fede, come la morte di Lazzaro: era «per la
gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato» (Gv 11, 4).
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