venerdì 23 marzo 2012

"Allēlōn" richiede il “tìthēmi”, lo strano verbo per spogliarsi / 4


Dall’Uruguay un invito ad andare avanti con il blog:
«Grazie per la poesia di "primavera"... e soprattutto per quella splendida sequenza di testi che viene a pennello per animare le nostre "piccole comunità" all'inizio del nuovo anno pastorale. Sono piccole, sono poche, di persone semplici, ma se praticano il "suo Comandamento"».
A quelle “piccole comunità” vorrei ricordare il gesto di Gesù subito prima di cominciare a lavare i piedi ai discepoli: si tolse la veste. Giovanni, come al solito, fa il ricercato e non usa un vocabolo così usuale del “togliersi” la veste. No, usa il verbo “tìthēmi” (ci risiamo, il greco!), lo stesso che Gesù aveva usato per parlare del buon pastore che “dà” la vita, lo stesso che aveva usato per parlare di sé, quando aveva detto che la vita non gliela toglieva nessuno, perché egli stesso l’avrebbe data da sé.
Nessuno gli toglie la veste quella sera dell’ultima cena, se la toglie (“tìthēmi”) lui stesso; così nessuno gli toglie la vita, la dona (“tìthēmi”) lui stesso.
Quella “veste” è dunque simbolo della sua vita, della sua gloria, della sua divinità di cui egli si spoglia per essere nudo come noi e condividere la nostra umana povertà, il nostro peccato, la nostra morte.
Quando ci invita a fare come lui, a lavarci i piedi gli uni gli altri, è sottinteso che prima dobbiamo anche noi spogliarci di tutto per farci uno con l’altro, fino a dare (“tìthēmi”) la vita.
Il bello è che finita la lavanda (simbolo del suo servizio estremo fino alla passione e morte), Gesù riprende la veste (il gesto che simbolizza la risurrezione). Ma ora la sua veste (la sua vita, la sua gloria, la sua divinità) non è più come di prima; ora egli si riveste di tutti noi: il suo corpo glorioso ha la pienezza di tutti noi.
Rifare quel suo gesto porta a condividere vita e morte di Gesù, a spogliarsi (“tìthēmi” = donare) e a rivestirci di vita.

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