Su Roma scende la sera. L’antica basilica di san Clemente si svuota dei turisti e ritrova la sua vocazione di luogo di preghiera, nel silenzio. In mezzo alla navata centrale, nella schola cantorum con i solenni monumenti in pietra, siedono pochi fedeli in attesa della messa. Il grande ambone di marmo che si erge su due rampe di scale torna ad essere il luogo dal quale si proclama la parola di Dio. Ridonata alla liturgia, la basilica sembra far splendere di colori nuovi il grande mosaico dell’abside, un canto alla redenzione, al Cristo crocifisso, Signore della storia e della creazione, albero di vita, sorgente della acqua della grazia, attorniata da dodici colombe, gli Apostoli. Tra i tralci della vite-acanto trovano posto, come frutti maturi i Padri e Dottori della Chiesa – Girolamo, Agostino, Ambrogio e Gregorio – ma anche tanti altri minuscoli personaggi, un pastore che bada al suo gregge, una donna che dà il becchime ai polli, ed anche petali di fiori diversamente colorati, aironi, colombi, palmipedi, volatili di ogni specie… tutto è fecondato dalla Croce.
Il alto Gerusalemme e Betlemme (la legge antica e la legge nuova), i quattro evangelisti, i profeti Isaia e Geremia, Pietro e Clemente da una parte, Paolo e Lorenzo dall'altra. Pietro indica Cristo a Clemente con le parole: "Contempla, o Clemente, (il Cristo) che ti ho promesso".
Cosa non c’è in questo mosaico…
Questa sera la basilica silenziosa e orante mi ha mostrato la realtà profonda della Chiesa. “Paragoniamo la Chiesa di Cristo a questa vite”, dice con chiarezza l'iscrizione alla sua base del mosaico. Mi lascia intravedere come il ritorno del paradiso terrestre e l’anticipazione di quello celeste.
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