Il Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012 è sotto il segno del pronome reciproco greco: «allēlōn», l’un l’altro. Lo troviamo nel titolo stesso (nella forma plurale di «allēlous») costituito dalla citazione della lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni gli altri» (10,24)
Il papa vuole portare al «cuore della vita cristiana: la carità». Questo significa, scrive il Papa, che “la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale».
A differenza di quanto aveva fatto nella sua prima enciclica Deus caritas est, nel Messaggio per la Quaresima, la carità è colta nella dimensione tipicamente cristiana della reciprocità. Il novum del cristianesimo non è, infatti, l’amare Dio (tutte le religione lo insegnano), né l’amore al fratello (tutte le religioni conoscono la «regola d’oro»); il novum – così lo ha chiamato Gesù – è la reciprocità dell’amore, racchiuso proprio in quel pronome: «l’un l’altro».
Al cuore del messaggio di Gesù vi è proprio il comando di amarsi gli uni gli altri. Esso appare già nel primo scritto ispirato del Nuovo Testamento, la prima lettera ai Tessalonicesi, dove Paolo prende atto della realtà dell’amore fraterno presente nella sua comunità; non c’è bisogno che egli scriva qualcosa al riguardo, perché «voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri» (4,9); per questo aveva innalzato la preghiera al Signore che «vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti» (3,12).
Nella seconda lettera sempre ai Tessalonicesi nota che l’amore reciproco tra di essi va crescendo (1,3). I membri delle comunità cristiane si amano perché sono membra gli uni degli altri (Rm 12,5; Ef 4,25), e di conseguenza devono avere cura gli uni degli altri (1 Cor 12,25). L’amore reciproco dovrebbe essere l’unico debito tra cristiani (Rm 13,8) e mantenere il primo posto tra di loro (Gal 6,10).
Paolo fa riferimento al comando dato dal Signore durante l’ultima cena. Giovanni lo riporta quattro volte nel suo Vangelo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (13,34; 13,35; 15,12; 15,17); lo riprende poi per ben sei volte nella sua prima e seconda lettera – «Questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri» (1 Gv 3,11; 3,23; 4;12; 2 Gv 1,5) –, motivandolo, come nel Vangelo, con l’esempio dato da Dio che è Amore (1 Gv 4,7; 4,11).
Perché da un Dio che è amore scorga non soltanto il comando di amare Dio e il prossimo, come nelle altre religioni, ma anche e soprattutto quello dell’amore reciproco? È proprio qui il novum del comandamento di Gesù, quello che lui ha portato dal Cielo (per questo lo chiama «suo»): il comando dell’amore reciproco è l’espressione della reciprocità d’amore che si vive in Dio stesso, perché Dio è Comunione, è Unità nella reciprocità d’amore tra le Tre divine persone: è Trinità.
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