Le sue “camerette”, uno dei tanti tesori della Roma
nascosta, oggi, nel giorno della sua festa, si sono aperte a pubblico. Dalla
sacrestia della chiesa di sant’Ignazio un piccolo ascensore sale fin sul
terrazzo dell’antico imponente Collegio Romano, ora sede centrale de Ministero
per i beni e le Attività Culturali e del liceo classico statale Visconti. Da
lassù si apre l’elegante cortile porticato a due pieni. Gli studenti vi irrompono
in frotta gridando, quasi a esorcizzare la trepidazione e la paura di dover
affrontare, tra pochi minuti, la seconda prova scritta dell’esame di maturità.
Per supplire alla carenza di
scuole pubbliche, Ignazio nel 1551 aveva
iniziato il collegio in una piccola casa in affitto situata ai piedi del
Campidoglio. Presto coprì tutto l'arco scolastico, dagli studi elementari a quelli
universitari, ponendosi in concorrenza con l’università la Sapienza. Dopo aver
peregrinato per varie sedi approdò a questo nuovo palazzo costruito
appositamente negli anni 1580.
La sua stanza è trasformata in
cappella, finemente decorata. Il quadro centrale lo ritrae mentre contempla il
crocifisso; dicono sia il quadro che più gli rassomiglia. Si custodiscono
molti oggetti da lui usati, con alcune lettere, manoscritti ed altre reliquie. Due stanze più in là quella dove ha vissuto un altro
celebre santo, di poco posteriore, Giovanni Berchmans… ne parliamo un’altra
volta.
Uscendo, vicino al tetto della
chiesa si intravede l’osservatorio astronomico del celebre padre Secchi, ancora chiuso ai visitatori. Intanto il
cortile interno del Visconti è silenziosissimo, a differenza di poco prima.
Sotto le arcate di ambedue i piani sono state disposti i banchi e gli studenti
sono lì, all’aria, nella bell’ombra, alle prese con Aristotele. Un ambiente che
richiama quello di quattro secoli fa, quando il silenzio era sacro.
Secondo il suo stesso racconto, Luigi Gonzaga aveva sette
anni quando a Firenze, durante la preghiera, sentì un grande desiderio di
donarsi tutto al Signore e disse il suo sì. Da quel sì, espressione
dell’incondizionato amore per Dio, germogliò l’amore per i fratelli, fino a
prendersi sulle spalle l’appestato per curarlo all’ospedale.
Poco prima di morire, in una lettera alla mamma,
scriveva: “Puntiamo
le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei
viventi… Meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia
mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore… dal cielo mi
inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza”.
A commento del blog di ieri una
e-mail: “Grazie perché continui a farci conoscere i santi, c'è
in tutti qualcosa che attira e fa venire il desiderio di imitarli”.
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