“Se io ho un paese nativo quaggiù,
esso è Roma, dove son nato in Gesù Cristo”. Nato a Cartiglione delle Stiviere, san Luigi Gonzaga, aveva
studiato a Firenze, presso il granduca di Toscana, alla corte di Mantova, a
quella di Spagna, ma ovunque aveva dimorato come straniero. Arrivato a Roma si
sentì a casa. Sono stato a vedere dove abitava.
Le sue “camerette”, uno dei tanti tesori della Roma
nascosta, oggi, nel giorno della sua festa, si sono aperte a pubblico. Dalla
sacrestia della chiesa di sant’Ignazio un piccolo ascensore sale fin sul
terrazzo dell’antico imponente Collegio Romano, ora sede centrale de Ministero
per i beni e le Attività Culturali e del liceo classico statale Visconti. Da
lassù si apre l’elegante cortile porticato a due pieni. Gli studenti vi irrompono
in frotta gridando, quasi a esorcizzare la trepidazione e la paura di dover
affrontare, tra pochi minuti, la seconda prova scritta dell’esame di maturità.
Per supplire alla carenza di
scuole pubbliche, Ignazio nel 1551 aveva
iniziato il collegio in una piccola casa in affitto situata ai piedi del
Campidoglio. Presto coprì tutto l'arco scolastico, dagli studi elementari a quelli
universitari, ponendosi in concorrenza con l’università la Sapienza. Dopo aver
peregrinato per varie sedi approdò a questo nuovo palazzo costruito
appositamente negli anni 1580.
Sopra i due piani nobili delle
aule, la modesta costruzione, quasi una soffitta, ospitava gli scolastici
gesuiti, che studiavano sotto assieme ai laici e agli altri chierici. Si entra
nella grande sala comune, come Luigi Gonzaga e gli altri compagni passavano
insieme i momenti di ricreazione. Lo stesso pavimento a mattoni di allora,
mentre pareti e volta sono state affrescate nel 1700. Tutto attorno i quadri
che narrano la vita del santo.
Il primo lo ritrae bambino,
vestito di bianco, con il giglio in mano, come vuoi l’iconografia classica,
nell’atto di pronunciare il suo voto di verginità, durante il suo soggiorno
fiorentino, nella chiesa della Santissima Annunziata. I quadri che più attirano
la mia attenzione sono quelli che lo raffigurano mentre lava i piatti,
concretezza di vita, e soprattutto mentre si carica sulle spalle l’appestato o
ammalato di tifo per portarlo in ospedale; un ospedale allestito dai Gesuiti in
quella occasione di contagio, ai piedi del Campidoglio, dove ora si trova la
sede dei vigili urbani (una targa lo ricorda ancora…). Ultimo quadro: Maddalena
dei Pazzi vede san Luigi salire al cielo al momento della morte; i due si
sarebbe conosciuti, bambini, a Firenze... Roba da santi!
La sua stanza è trasformata in
cappella, finemente decorata. Il quadro centrale lo ritrae mentre contempla il
crocifisso; dicono sia il quadro che più gli rassomiglia. Si custodiscono
molti oggetti da lui usati, con alcune lettere, manoscritti ed altre reliquie. Due stanze più in là quella dove ha vissuto un altro
celebre santo, di poco posteriore, Giovanni Berchmans… ne parliamo un’altra
volta.
Uscendo, vicino al tetto della
chiesa si intravede l’osservatorio astronomico del celebre padre Secchi, ancora chiuso ai visitatori. Intanto il
cortile interno del Visconti è silenziosissimo, a differenza di poco prima.
Sotto le arcate di ambedue i piani sono state disposti i banchi e gli studenti
sono lì, all’aria, nella bell’ombra, alle prese con Aristotele. Un ambiente che
richiama quello di quattro secoli fa, quando il silenzio era sacro.
Di prima mattina avevo
celebrato all’altare di san Luigi, dove in un’urna si racchiude il suo corpo. L’alto rilievo con
la gloria del santo, disegnato dal gesuita P. Pozzi, che fu insieme pittore,
scultore, architetto, ed eseguito dal Legros, era illuminato dal sole nascente
che ne esaltava il candore marmoreo. Gli angeli gli sorreggono il giglio; altri
gigli sono scolpiti attorno, altri, freschi, sono nei vasi che adornano l’altare:
il segno della verginità, una virtù oggi poco apprezzata eppure preziosa perché
apre il cuore all’amore. Mi domando tuttavia se non si poteva scolpire anche
una palma, almeno una piccola piccola. Sì, la palma del martirio, perché san
Luigi ha dato la vita per Gesù nei fratelli.
Secondo il suo stesso racconto, Luigi Gonzaga aveva sette
anni quando a Firenze, durante la preghiera, sentì un grande desiderio di
donarsi tutto al Signore e disse il suo sì. Da quel sì, espressione
dell’incondizionato amore per Dio, germogliò l’amore per i fratelli, fino a
prendersi sulle spalle l’appestato per curarlo all’ospedale.
Poco prima di morire, in una lettera alla mamma,
scriveva: “Puntiamo
le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei
viventi… Meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia
mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore… dal cielo mi
inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza”.
A commento del blog di ieri una
e-mail: “Grazie perché continui a farci conoscere i santi, c'è
in tutti qualcosa che attira e fa venire il desiderio di imitarli”.
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