Ieri sera la città ha festeggiato
i suoi patroni Pietro e Paolo con la tradizionale girandola di fuochi di
artificio sparati da Castel Sant’Angelo. Per tra quarti d’ora l’antico castello
– straordinario scenario – era ornato di fantastici effetti di luci. Ma lo
spettacolo più bello era quello dei romani che a migliaia si erano radunati sul
lungotevere, chiuso al traffico, per partecipare alla festa: le persone si
riappropriano della loro città e se la godono tra applausi e gridi di sorpresa
e di gioia. I due grandi santi si meritano una tale festa: due stelle di prima
grandezza nel firmamento della chiesa romana.
Con loro, a seguito dell’incendio
della città, Nerone fece trucidare centinaia di altri cristiani di cui non si
ricorda neppure il nome, quasi una nebulosa uniforme di piccole stelle anonime,
di cui oggi celebriamo la memoria liturgica. Tacito, lo storico romano, attesta
che "alcuni ricoperti di pelle di belve furono lasciati sbranare dai cani,
altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco al termine del giorno
in modo che servissero di illuminazione notturna”. Davanti a tanto orrore,
continua lo storico, “si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di
gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano
eliminati non per il bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un
individuo". Nebulosa? Vesta da lontano. Agli occhi di Dio ognuna di quelle
centinaia di martiri ha un volto e di ognuno egli conosce il nome…
È così della santità. C’è
quella ufficiale, di grandi persone che hanno vissuto una vita degna di essere
da tutti ricordata – stelle nel firmamento della Chiesa – e c’è quella nota
soltanto a Dio, che non ha meno valore, anche se appare come una diffusa
nebulosa.
Quant’è bello il cielo stellato
della Chiesa!