Quando penso alla figura del fondatore di un’opera
carismatica nella Chiesa, Istituto o Movimento, mi viene naturale il
riferimento alla descrizione che ne ha dato p. Marcello Zago. Egli ci ha
insegnato a guardare al fondatore, in modo particolare a quello dei Missionari Oblati
di Maria Immacolata, sant’Eugenio de Mazenod, come a: 1. Un santo da imitare,
2. Un fondatore da seguire, 3. Un maestro da ascoltare, 4. Un padre da amare,
5. Un intercessore da invocare.
Ma come facevo a dire queste cose ai Legionari di Cristo
quando la relazione con il loro fondatore è un po’ problematica? Oggi ho tenuto
infatti una lezione alla loro università, allora ho cercato di distinguere bene
tra la persona del fondatore e il carisma. I fondatori stessi sono pienamente
consapevoli di tale doverosa distinzione.
Sant’Angela Marici si considera «insufficientissima, et inutilissima
serva», della quale Dio ha usato per la costruzione di un’opera che rimane di
Dio.
San Camillo de Lellis scrive: «Ho detto essere questo
miracolo manifesto, questa nostra fondatione, et in particolare di servirsi di
me peccatoraccio, ignorante, et ripieno di molti defetti, et mancamenti, et
degno di mille inferni». Se però Dio si è comportato così, scegliendo proprio
lui, è perché egli «è il patrone, et può fare quello gli piace, et è
infinitamente ben fatto». Non vi è quindi da meravigliarsi se «per mezzo d’un
tale instromento habbia Dio operato, essendo maggior gloria sua che di niente facci
mirabilia». «Soffriva quando era chiamato fondatore, e aggiungeva subito: Il
Fondatore è Dio, ed io non sono che un vilissimo strumento».
San Paolo della Croce si sente davanti a Dio «una sporchissima
cloaca». Egli sa, però, come gli altri fondatori, che Dio si serve proprio
degli ultimi per far risplendere maggiormente «le sue infinite misericordie
perché le fà al più gran peccatore». «Oh grande Iddio! — esclama ancora
guardando alle origini della sua famiglia religiosa —. E chi avrebbe mai
creduto che questo puzzolentissimo peccatore dovesse camminare per queste
vie!». Si considerava un «semplice volante» (un postino), che porta la lettera
affidatagli dal padrone.
Il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia
paolina, ha scritto nel tuo testamento: «Sento la gravità, innanzi a Dio ed
agli uomini, della missione affidatami dal Signore; il quale se avesse trovato
persona più indegna ed incapace l’avrebbe preferita. Questo tuttavia è per me e
per tutti garanzia che il Signore ha voluto ed ha fatto fare lui; così come
l’artista prende qualsiasi pennello, da pochi soldi e cieco circa l’opera da
eseguirsi, fosse pure un bel divino Maestro Gesù Cristo». La stessa immagine è
ripresa da Madre Teresa di Calcutta, che si reputava una semplice matita con la
quale Dio scriveva quello a lui piaceva. Chiara Lubich continua in questa
stessa convinzione: «La penna non sa quello che dovrà scrivere. Il pennello non
sa quello che dovrà dipingere. Lo scalpello non sa ciò che dovrà scolpire.
Così, quando Dio prende in mano una creatura, per far sorgere nella Chiesa
qualche sua opera, la persona non sa quello che dovrà fare. È uno strumento. E
questo, penso, può essere il caso mio».
Si sente qui riecheggiare il paolino infirma mundi elegit
Deus (cf. 1 Cor 1, 27), che mette in evidenza la potenza di Dio.
Occorre sempre distinguere tra il dono di Dio – il tesoro, in questo caso il
carisma – e il vaso di creta nel quale esso è contenuto (cf. 2 Cor 4,
7).
Nessun commento:
Posta un commento