giovedì 13 gennaio 2022

Per attuare la profezia del Concilio Vaticano II



Si è tenuta la commemorazione dei 50 anni dell'Istituto Claretianum. Mi è stata chiesta la mia testimonianza: 

Agli inizi del 1960 la RAI mandò in onda una serie di interviste e documentari in preparazione al Concilio Vaticano II che avrebbe avuto inizio l’11 ottobre 1962. Ero un ragazzo. Seguii quelle trasmissioni con grandissimo interesse. Suscitarono in me una immensa speranza. Sono cresciuto nel tempo del Concilio. Ho seguito i miei studi di teologia sull’onda del Concilio. Mi sono lasciato forgiare dalla sua utopia, dalla sua passione per l’umanità: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes, 1). Il Concilio mi ha aperto gli orizzonti del dialogo ecumenico, interreligioso, culturale… Ha radicato la mia fede nella Parola di Dio, nella vita liturgica, e mi ha invitato a leggere i segni dei tempi, a condividere la fede con tutti.

Spinto da questo onda, pensai di affrontare il biennio di licenza in ecclesiologia all’Università del Laterano incentrando il mio studio sul mistero della Chiesa che il Concilio descriveva come Popolo di Dio, come comunione. Divorai i commenti della Lumen gentium di Baràuna, Philips, ma anche le opere di teologi che avevano preparato e lavorato al Concilio, come Semmelroth, Hamer, Congar, Rahner, de Lubac…

È in questo contento che seguii con molto interesse il corso di Juan Manuel Lozano sulla teologia della vita religiosa, a commento del capitolo VI della Lumen gentium. Ne fui affascinato. Decisi così di continuare gli studi al Claretianum dove Lozano insegnava. Prolungai quindi di un anno la licenza, preparando la mia tesi sulle origini della comunità della mia Congregazione, fermandomi al periodo tra il 1815 e il 1818. Il frutto del lavoro fu subito pubblicato sulla rivista dell’Istituto, “Claretianum” (1976). Nello scrivere questo elaborato fui seguito da un altro professore che ebbe in me una grande incidenza, Rudolf Mainka. Lozano mi apriva alla metodologia teologica, Mainka a quella storica. Senza dimenticare Augé che combinava in armoniosa sintesi storia e teologia. Avevo così le due principali coordinate che hanno segnato non solo il mio percorso personale di studio, ma l’impostazione stessa dell’Istituto. (…)

Subito dopo la licenza chiesi a Lozano se riteneva opportuno che proseguissi gli studi per il dottorato. Mi rispose che se ne era parlato nel Consiglio dell’Istituto e che ero invitato per l’insegnamento. Fu così che, dal 1977, iniziai la docenza al Claretianum: sono passati 45 anni! Nel 1980 conseguii il dottorato, il primo che veniva conferito dall’Istituto. (…)

A seguire il mio dottorato con fu tuttavia Lozano, che pure aveva accettato l’incarico. Presto infatti egli si trasferì negli Stati Uniti e invano cercai di mantenere il contatto con lui. Mi avvalsi allora dell’amicizia con un altro dei pilastri dell’Istituto, il padre Santiago Gonzalez Silva che benevolmente leggeva il mio lavoro capitolo per capitolo incoraggiandomi e offrendomi i suoi suggerimenti, divenendo di fatto il mio relatore. A lui la mia profonda gratitudine.

Nel 1992 fui nominato professore ordinario. Per sei anni, dal 1983 al 1989, sono stato professore incaricato di Teologia spirituale nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense e successivamente professore invitato nella Facoltà di Teologia della Università Pontificia Salesiana (1991-2000), nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione - Auxilium, allo Studium della CIVCSVA… Tuttavia l’insegnamento al Claretianum mi ha costantemente accompagnato lungo tutta la vita ed è stato quello che ha caratterizzato il mio percorso.

Ho iniziato l’insegnamento al Claretianum con il tema dei carismi, che successivamente ho sviluppato in diversi corsi e seminari, fino a focalizzarmi sulla metodologia di ricerca e di studio del carisma dei fondatori. Ne sono nati tre libri: I Fondatori uomini dello Spirito. Per una teologia del carisma di fondatore, 1981; In ascolto dello Spirito. Ermeneutica del carisma dei fondatori, 1996; Carismi. Vangelo che si fa storia, 2011.

Presto mi fu affidato il corso fondamentale di Teologia della vita comunitaria, precedentemente tenuto da Lozano. Il frutto è uno dei miei libri più riusciti: Koinonia. Itinerario storico-spirituale della comunità religiosa, 1992, con tre edizioni in italiano e due in inglese. Successivamente ho integrato il testo con il libro Esperti di comunione. Pretesa e realtà della vita religiosa (1999), che ha conosciuto numerose traduzioni.

Al Claretianum ho tenuto parecchi altri corsi e seminari, tra cui: l’apporto dei religiosi nel dialogo ecumenico e interreligioso, i documenti del Magistero sulla vita consacrata, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, il valore teologico della Regola, la trasmissione del carisma… Ho partecipato come relatore a convegni, seminari, conferenze semestrali, prolusioni accademiche organizzati dall’Istituto. Sono stato uno dei relatori che più spesso è intervento ai convegni annuali. Tutto questo per dire che ho partecipato concretamente con gioia e senso di gratitudine alla vita accademica dell’Istituto.

In tutto questo ho avvertito una grande libertà. Non ho mai ricevuto pressioni in una direzione o nell’altra. Mi è sempre stato dato campo libero nel metodo e nei contenuti. Segno di una grande fiducia. Penso sia un’altra delle caratteristiche dell’Istituto da ricordare e salvaguardare.

Legate ad essa altre due peculiarità alle quali accenno appena perché tornano, sono sicuro, in ogni testimonianza. Primo il senso di famiglia. I rapporti sono stati sempre sinceri, anche se non sono mancati inevitabili momenti di tensione, ugualmente fecondi. Senza discapito alla serietà accademica, anzi, favorendola. Secondo l’attenzione alla formazione, anche questa senza che venisse intaccata la serietà dell’insegnamento, anzi offrendo ad esso una ulteriore forte motivazione. L’accoglienza di studenti a diversi gradi di inserimento accademico è garanzia di apertura senza pregiudizi.

Una commemorazione non si esaurisce in uno sguardo rivolto al passato, è anche e soprattutto proiezione sul futuro. E qui torno all’evento con il quale ho iniziato: il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per i nostri studenti di oggi è un avvenimento lontano nel tempo e rischia di appiattirsi su un passato senza tempo, confondendosi con il Concilio di Trento, il Lateranense IV… La teologia del periodo successivo al Vaticano II non si è fermata per fortuna ad un’esegesi del Concilio, ha progredito oltre. Eppure quella spinta profetica non ha perduto ancora la sua propulsione e deve continuare a ispirare la riflessione e la prassi.

Il Concilio ha collocato la vita consacrata nel contesto ecclesiale, nella comunione armonica tra tutte le vocazioni, riconoscendone la specificità e l’originalità e suggerendo piste per il suo continuo rinnovamento. Non possiamo dimenticare questo magistero.

Per questo occorre conoscere l’evento. Nel mio insegnamento non soltanto ne ho fatto costante riferimento, ma ho dedicato dei corsi a illustrarne la storia, il significato, i contenuti. Mi auguro che la memoria del Concilio sia tenuta sempre particolarmente viva nell’Istituto, servendosi di tutti gli strumenti possibili.

Il secondo auspicio è che, come si studia la vita consacrata quale evento storico, così la si studi nel suo contesto geografico: non esiste storia senza geografia. Benedetto, Domenico, Francesco, Caterina da Siena, Francesca Romana, Brigida di Svezia, Ignazio, Filippo Neri, Camillo de Lellis, Calasanzio, gli innumerevoli santi dell’Ottocento, da Gaspare del Bufalo, Vincenzo Pallotti, a Giovanni Bosco, quelli del Novecento, da don Orione a Giacomo Alberione, sono passati da Roma, hanno vissuto a Roma, vi hanno lasciato il segno. Eppure i nostri studenti continuano a studiare la storia avulsa dai luoghi della storia, così che questa diventa evanescente, lontana e difficilmente assurge a “maestra di vita”. Perché non consentire loro di approfittare di quello che la “città eterna” offre? È qualcosa di unico! Perché altrimenti studiare a Roma invece che a Manila o a Kinshasa o a Città del Messico?

Mi piacerebbe che alcune lezioni si tenessero per le strade di Roma percorse dai fondatori di tutti i tempi, nelle case dove hanno abitato, nelle chiese dove hanno pregato. Tra l’altro ovunque sono passati o hanno vissuto è fiorita un’arte che rispecchia il carisma. Tutto parlerebbe e sarebbe più vivo. Troverebbe senso anche venire a studiare a Roma.

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