Antoni Bochm, il
nostro vicario generale, ci ha scritto una lettera in occasione del 209°
anniversario della nascita della nostra congregazione quando, il 25 gennaio 1816,
Sant'Eugenio si stabilì nell'ex convento carmelitano di Aix-en-Provence. Padre
Tempier era già lì da qualche giorno. All'inizio erano in tre; gli altri li
avrebbero raggiunti a metà febbraio.
P. Antoni, nello
spirito del Giubileo, ci aiuta a riflettere sulla nostra comunione e su come
essa ci rende pellegrini, portando e dando speranza agli altri. Sottolinea
soprattutto il senso di corresponsabilità. Riprendo qualche frase soltanto:
«Sant'Eugenio di
Mazenod non ha voluto che la comunità degli Oblati fosse una squadra, un gruppo
di persone con la stessa missione e gli stessi ideali, ma ha voluto che fossimo
una famiglia, la famiglia più unita del mondo. Sappiamo bene che in una
famiglia i legami tra le persone che la compongono sono forti, che queste
persone sono responsabili l'una dell'altra, che si prendono cura l'una
dell'altra; c'è l'amore come unica regola, che guida la vita della famiglia.
Nella famiglia si riceve molto, ma si deve anche contribuire alla famiglia.
Nella famiglia, i membri si conoscono bene, vedono gli altri membri e
riconoscono facilmente se vivono nella gioia o nella tristezza e nella
sofferenza; offrono sempre il loro aiuto nei momenti di bisogno. Le nostre
comunità sono invitate a riflettere l'immagine di una buona famiglia.
La responsabilità
dovrebbe essere una delle caratteristiche principali di tutti gli Oblati e dei
membri della famiglia oblata. Non ci sarà una buona vita comunitaria se non c'è
la responsabilità di tutti per tutti e per tutto ciò che costituisce la vita comunitaria.
Dobbiamo essere responsabili del lavoro della comunità, della vita spirituale
della comunità, del contributo alla comunità: responsabili delle cose grandi
della comunità così come delle cose più piccole, che possono sembrare poco
importanti ma che in realtà sono ugualmente importanti e fanno parte della vita
della comunità, come pulire, mettere le cose al posto giusto, comunicare, e
così via.
Come Oblati e come
famiglia oblata, potremmo essere un esempio di come prenderci cura gli uni
degli altri, di come offrire le nostre vite agli altri con amore e devozione,
non vivendo in rivalità e subordinando l'altro, ma piuttosto dando e servendo
l'altro, come Gesù che non è venuto per essere servito ma per servire».
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