Nel mio diario rileggo la visita nel Laos, a Vientiane, il 27 giugno
1991:
Alle 7.00, partenza per Udon Thani.
Viaggio in aereo con il Nunzio. Ho un visto di cortesia per il Laos, come
segretario del Nunzio. Mons. Alberto Tricarico è una persona amabilissima.
Appena mi ero recato da lui per vedere se era possibile andare nel Laos aveva
cominciato ad interessarsi alla cosa. Così in una settimana è stato possibile
fare tutto: ottenere il visto e i vari permessi per la polizia e la dogana.
A Udon ci attende l'autista con la
macchina della Nunziatura. A Nong Khai, villaggio di frontiera sul Mekong,
l'autista sbriga tutte le formalità. Noi restiamo in macchina. Finalmente ci
imbarchiamo sul traghetto. Sono le 10.30 quando raggiungiamo il Laos. Il porto,
con gli uffici di dogana, polizia e frontiera, è costituito da poche baracche.
Poi di nuovo in macchina verso Vientiane. Quando arriviamo alla città stento a
credere che questa sia una città. Più volte domando al Nunzio se davvero siamo
arrivati a Vientiane. Non mi sarei mai immaginato che la capitale del Laos
fosse così misera, senza proprio l'aspetto di città. L'autista mi dice che vede
tanti progressi rispetto all'anno scorso: qualche casa nuova, parecchie
macchine che circolano per le strade.
Arriviamo finalmente alla casa del
vescovo. Mons. Khamsé‚ ci accoglie a braccia aperte, con una esplosione di
gioia. Spuntano le suore, nei loro dimessi vestiti azzurri, anche loro
sorridenti. Salutiamo il parroco della cattedrale (che nomi grossi, per realtà
così umili), un ometto semplice, vedovo, che fino a non pochi anni fa era un
catechista e che Mons. Khamsé‚ ha ordinato sacerdote perché possa almeno
assicurare la messa.
Dalla grossa macchina della
nunziatura spuntano fuori mille pacchi, poi i due vescovi si ritirano, perché
hanno molte cose da vedere assieme e il tempo è prezioso.
Mi introducono in una stanzetta che
sembra un museo di antichità: una vecchia carta geografica del Laos, vecchi
libri su poveri e vecchi scaffali appoggiati a vecchi muri, vecchie poltrone...
tutto dice povertà, pur dignitosa. Il compound è tuttavia carino e tutto
raccolto dalle mura che lo proteggono. Dietro la chiesa la piccola casa del
vescovo costruita da poco. Sul cortile interno si affacciano la casa delle
suore, la casa per il clero, tutta nuova, e la vecchia casa con uffici, alcune
salette, la stanza da pranzo.
Dalla finestra intravedo Tito. Gli
alberi mi impediscono di vederlo bene, ma lo riconosco subito da come cammina.
Esco fuori di corsa e ci abbracciamo. Sembra un sogno poterlo rivedere dopo
tanti anni. Mi sembra che stia bene, anche fisicamente. Non mi sembra per
niente cambiato. Solo che ora è senza l'occhio destro.
Il tempo è poco. Gli consegno tutto
quanto ho portato per lui. Gli racconto di noi Oblati, dei compagni, di tutte
le novità che ci sono in Italia. Poi comincia lui a raccontarmi di sé, degli
anni di prigionia e del lavoro che sta svolgendo adesso nei villaggi, dove la
gente, sempre più numerosa, chiede di diventare cristiana. I nove anni di
prigione, di lavoro e di servizio militare forzati, apparentemente, mi dice,
sono stati anni come vuoti ed è invece lì che tutto ha messo radice. Ma è già
l'ora di andare a dire la messa. Salgo nella stanza di Tito, molto semplice,
per depositare le cose che ho portato. Vedo sul suo tavolo un numero di
"Unità e carismi": sta traducendo in laotiano un articolo di Jesus
Castellano! Scendiamo e celebriamo in quella che è la più antica chiesa di
Vientiane, costruita per i vietnamiti. Oggi è l'unica chiesa aperta. Un
bellissimo crocifisso, fatto arrivare dal Vietnam, domina in tutta la sua
maestosità. È naturale offrire l'Eucaristia per la Chiesa del Laos e per tutti
coloro che hanno dato la vita per questa Chiesa.
Poi a pranzo. Un pranzo in grande stile per festeggiare gli ospiti d'onore! Rimaniamo seduti per due ore, parlando della Chiesa nel mondo, della situazione del Laos, dei sogni per il futuro. La pressione del governo è ancora piuttosto forte. Si è tuttavia allentata in quest'ultimo anno, rispetto al passato. Il vescovo sta facendo richiesta per un nuovo passaporto; il precedente, secondo la versione ufficiale della polizia, è stato smarrito, per questo non potevano dargli il permesso di uscire per andare al Sinodo dei Vescovi a Roma. Pensa di andare un anno nelle Filippine per un reciclage di cui sente proprio il bisogno. Anche Tito chiederà presto il passaporto per lo stesso motivo. Il Nunzio è particolarmente contento; anche lui sente che i due hanno bisogno di un periodo fuori per potersi rifare un po'. Mons. Khamsé‚ mi dice che presto si augura che gli Oblati possano tornare nella sua diocesi. Per il lavoro pastorale spererebbe di avere Oblati dell'Asia. Ma avrà bisogno anche di quelli dell'Europa, specialmente per la formazione dei seminaristi, delle suore e dei quadri diocesani.
Sono le due del pomeriggio. Dobbiamo
già ripartire, anche perché chiudono l'accesso al Mekong molto presto. Saluto
Tito. Siamo stati assieme troppo poco tempo. Ma siamo ambedue contenti. Almeno
l'ho visto, ho visto dove abita, so che sta bene, che è su come sempre!
Il vescovo va avanti con la sua
macchina e ci fa girare per Vientiane così da mostrarci tutti gli edifici che
una volta erano della Chiesa e degli Oblati. L'antica cattedrale è la sede dei
pompieri, l'episcopio è ora ministero per l'igiene, e così via. Ora dobbiamo
congedarci anche da Mons. Khamsé. Per me è stata una rivelazione. Non lo
conoscevo. Non immaginavo che fosse così pieno di vita, così aperto, così
Oblato!
Attraversiamo di nuovo il Mekong.
Entriamo nuovamente nel villaggio di Nong Kai per le ulteriori pratiche, e,
avendo ancora negli occhi Vientiane, mi sembra di entrare in una grande città,
in una capitale! Ed ora quasi 200 km in macchina per raggiungere Khom Kaen,
l'altro aeroporto da cui passerà un aereo per Bangkok. Per strada ci fermiamo a
Udon, per salutare il vescovo, George Yod Phimphisan, un redentorista. Ci
accoglie con molta affabilità. Poi di nuovo in viaggio. Non mi stanco di
guardare attorno: la campagna, le risaie, i bufali d'acqua, i contadini che
arano con l'aratro trainato dal bufalo. Fra l'altro è un pomeriggio bellissimo.
E intanto il colloquio con il Nunzio
continua ininterrotto. Nella mattinata non ha smesso un istante di parlarmi
della situazione della Chiesa nel Sud est asiatico, soprattutto, naturalmente,
nella Thailandia e nel Laos. Ora al ritorno, invece, mi assale di domande sul
Movimento dei Focolari, di cui ha una stima enorme, anche perché ne riceve un
aiuto molto consistente e concreto.
Sono ormai le indici di sera quando
l'aereo arriva a Bangkok. È stato un attimo, troppo breve questo viaggio in
Laos. Appena il tempo per mettervi piede e riabbracciare i nostri. Ma è già
tantissimo. È una grazia insperata, ottenuta anche per le preghiere di tanti.
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