Su mons. Maturino Blanchet
era calato un velo di dimenticanza. Restavano soltanto aneddoti più o meno veri
che facevano della sua persona una macchietta soltanto. In questi giorni è
apparso in tutto il suo spessore morale.
https://youtu.be/kIh3kMV3cgc?feature=shared
Oggi, in cattedrale, un'altra celebrazione di rilievo, con il vescovo che ha tacciato il profilo spirituale di Blanchet. Al termine nella piazzetta laterale della cattedrale, la benedizione di una targa che lo ricorda.
Il vescovo Franco Lovignana ha messo in luce soprattutto due aspetti del suo ministero: il lavoro per l'unità e i richiamo al primato di Dio.
Quando arrivò ad
Aosta, si rese subito conto di come la società e la stessa comunità cristiana
vivessero divisioni e contrapposizioni, eredità dell’ultimo periodo di guerra. La
sua missione di portare le persone a Gesù prese quindi la forma della
riconciliazione e della pacificazione. «Nei nostri rapporti e nei nostri
rapporti con le anime – scrive nella prima lettera al clero – siamo
eminentemente Sacerdoti. Seminiamo con le mani e con il cuore tutto ciò che può
calmare i contrasti... La nostra missione non è strappare ma ricucire; non è
ferire ma guarire... Per questo facciamo opera di pace, di unione, di amore».
Quello dell'unità
rimane un punto fermo nel suo ministero in tutte le circostanze: le
tensioni in Diocesi, che non nasconde, le contrapposizioni politiche ed
elettorali, i disordini sociali legati al '68... Davanti a queste situazioni rifugge dalla polemica, e dicendo la verità, punta sempre a unificare.
Nell'ultimo suo scritto, del 15 ottobre 1968, indirizzato al
clero e ai fedeli insieme, lascia intendere che l'opera di pacificazione e di
comunione era stato un obiettivo programmatico del suo episcopato: «Se mi è permesso
esprimere un desiderio farò mie le parole di S. Paolo ai cristiani di Filippi:
"Abbiate sempre una condotta degna dell'evangelo di Cristo, affinché abbia
a udire di voi che siete saldamente uniti nel medesimo spirito... Agite in tutto
senza mormorazione e recriminazioni... Avrò così un motivo di fierezza per il
giorno di Cristo, che non avrò corso a vuoto né invano faticato"».
Accanto all'unità un
altro punto fermo è il richiamo al primato di Dio nella vita delle persone e
delle comunità. Da questa convinzione scaturisce l'importanza di coltivare la vita
spirituale di pastori e fedeli e di privilegiare gli strumenti della grazia
rispetto a quelli delle iniziative umane. È una costante del suo magistero. Il
primato di Dio, se vissuto, diventa annuncio a un mondo che si allontana dalla
fede cristiana. Così scriveva nella Lettera pastorale dell'11 febbraio 1950:
«Una sola cosa conquista le anime: la santità, vale a dire l'intensità della
vita soprannaturale in noi. Dinanzi ad essa tutto cambia, tutto si trasforma.
La santità fa sì che agli occhi di quelli che guardano a noi, un mistero si
rivela, una presenza nascosta si lascia intravedere. Ed è di quello che i non
credenti hanno bisogno per trovare o ritrovare la fede. Dio conduce a Dio».
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