Tre giorni per commemorare
Mons. Maturino Blanchet: li merita, perché è stato un pastore che ha guidato la
diocesi di Aosta in tempi difficili….
Lo storico Alessandro
Celi ha disegnato un grande ritrattato del suo episcopato. Nella prima lettera
indirizzata ai preti traccia il suo programma di cui si comprende tutto lo
spessore se lo si colloca nel periodo dei forti contrasti dell’immediato dopo
guerra: «La nostra missione non è strappare ma rammendare; non è ferire ma
guarire. La nostra conquista è collocare le anime nel cuore immortale di Gesù
Cristo. Per fare questo, lavoriamo per la pace, l’unione e l’amore. Nello stile
evangelico, i miti sono i maestri. Teniamoci fuori e al di sopra delle correnti
politiche, per potere occasionalmente consigliare, illuminare, instillare nei
fedeli i principi della dottrina cristiana».
E l’anno successivo:
«Una raccomandazione che vorrei ripetervi: avere più fiducia nei mezzi
soprannaturali che nei nostri mezzi. Una messa celebrata con spirito di fede;
il breviario recitato con attenzione e devozione nelle vostre chiese deserte;
un rosario detto col cuore all'altare della Vergine; un de profundis recitato
con devozione nei vostri cimiteri, otterrebbe per la vostra parrocchia più
successi soprannaturali, di tutte le vostre capacità e il vostro saper fare».
Poi naturalmente il
professor Alessandro Celi ha ripercorso il lavoro pastorale…
Da parte mia ho parlato
di lui come Oblato. Ho raccontato la sua storia. Proprio la sera prima dall’Archivio
di stato di Torino mi era arrivato finalmente, ormai inaspettato, il Ruolo
matricolare del suo servizio militare: ha interamente fatto la prima guerra
mondiale, in un ospedale da campo in zona di guerra sul Carso. Credo che quella
sia stata una scuola unica di umanità… Poi superiore dello scolasticato di san
Giorgio, superiore provinciale… Sempre con un senso di inadeguatezza, nell’umiltà
più profonda.
Lontanissimo da
quello che oggi si chiama “politicamente corretto”, era schietto, sincero,
attaccato alla terra – quella fatta di campi, vigne, bestie, irrigazioni – e attento
alle persone. Timido, con un tocco di pessimismo, sinceramente consapevole dei
propri limiti, fiducioso nella misericordia di Dio, abbandonato all’Immacolata.
Una volta diventato vescovo
è rimasto profondamente attaccato alla Congregazione: visitava le case oblate
in tutta Italia per ritiri, ordinazioni… Ogni volta che andava a Roma era ospite
della casa generalizia, compreso tutto il periodo del Concilio. All’inizio si
sentiva solo, perso, nell’episcopio, senza comunità. Alcuni Oblati si sono poi
alternati a vivere con lui…
Leggendo le centinaia di lettere che ha lasciato si vede la profondità di relazione che aveva con
tanti, a cominciare dai suoi superiori, in modo particolare con il superiore
generale: gli racconta della neve, delle primavere, gli manda una forma di
taleggio di 10 kg spiegandogli come si deve conservare…, ma gli racconta anche
della morte della mamma e del vuoto che ha lasciato nella sua vita…, lo invita
a riposare ad Aosta…
Muore il 9 novembre
1974. Oggi è l’anniversario, 50 anni. Aveva 83 anni di età e 65 anni di
oblazione. Stando all’ultima lettera conservata nel nostro archivio di Roma, muore
in un grande buio interiore, provando il “deserto”, le lacrime… Se è morto
così, è morto come Gesù in croce. E noi gli siamo grati che abbia seguito il
suo Signore fino in fondo, nella completa oblazione di sé, Oblato autentico.