giovedì 16 maggio 2024

L’avventura che iniziavamo

 

Il blog di ieri ha suscitato ammirazione: “Che bella storia…”. “Che bel ricordo…”. Ha risvegliato anche ricordi in più di un lettore:

“Quante ne hanno passato con queste guerre maledette. Mio padre le ha fatte tutte e due. Nella prima guerra aveva solo 18 anni e nella seconda aveva 4 figli piccoli e l'hanno richiamato perché lavorava nella posta ed era obbligatorio essere scritto al partito. È stato anche ferito… È morto giovane per tutto ciò che aveva patito”.

“La nave dello zio fu affondata da un siluro sottomarino tedesco nel Canale della Manica, il 22 febbraio 1945. Anche lui sopravvisse insieme ad altri 94 uomini, mentre 7 morirono. È ancora vivo, ha 100 anni!”.

Sì le storie sono fondamentali per conservare l’identità. Vale per una famiglia, per una nazione, per l’identità personale… Vale anche per una comunità carismatica. Il carisma, lo sappiamo, è racchiuso ed espresso in una storia. Per questo mi piace raccontare le storie…

In questi giorni ho letto un piccolo gioiello: Claudio Mina, L’avventura che iniziavamo, Città Nuova, 1966. Sono sei racconti di altrettante persone agli inizi del Movimento dei Focolari. Esperienze limpidi, fresche, che lasciano intuire la bellezza e la novità di questo carisma. Valgono più di tante elaborazioni dottrinale, pur necessarie.

Vale la pena continuare a raccontare le storie…

mercoledì 15 maggio 2024

Mese di Maggio alla Madonna di Montenero


Mese di maggio: oggi visita… alla Madonna di Montenero, a Livorno. Sì, perché oggi è proprio il giorno della festa della Madonna di Montenero. Nel 1300 un ragazzo trovò lungo il torrente un quadro della Madonna e lo portò sulla collina che allora di chiamava Monte del diavolo a causa della sua serva che incuteva paura. Probabilmente la consegnò a un eremita che viveva lassù, assieme ai banditi…

Perché andare oggi – almeno col pensiero e con la preghiera – alla Madonna di Montenero? Perché è la sua festa, ma anche perché fa parte della “saga familiare” dei Ciardi.

Il 19 aprile 1943 il piroscafo Francesco Crispi, un mercantile riadattato per trasporto truppe, viene affondato dal sommergibile inglese HMS Saracen: 943 i morti, 357 sopravvissuti.

Tra i sopravvissuti mio padre Leonello. Il ricordo di quelle ore fa parte del patrimonio di famiglia:

https://fabiociardi.blogspot.com/2023/05/madonna-di-montenero-per-grazia-ricevuta.html

Quando quel lunedì santo il piroscafo partì da Livorno diretto alla Corsica, il babbo salutò da lontano la Madonna di Montenero e in quel lungo pomeriggio in mare la invocò ancora. Se siamo qui è grazie a lei!






 

martedì 14 maggio 2024

Preghiere semplici a Saint-Maurice

Mi giungono alcune preghiere scritte durante il ritiro di Saint-Maurice, dopo che avevamo letto il racconto della chiamata dei dodici apostoli. Sono preghiere semplici, fatte da persone semplici. Assieme ai volti della foto, dicono un po’ quanto abbiamo vissuto assieme. Anche il monaco che ho fotografato era tutto rapito…

Signore, voglio rimettermi in cammino con te
sul cammino che mi hai chiamato a percorrere in questo mese di maggio.
Maria, dammi la mano.

Signore, hai sempre pensato a ciascuno di noi, e ci fai "salire con te" verso le altezze dove tutto è puro, limpido e chiaro

per chiamarci a rimanere con te, in te!
Dammi il dono di saper rimanere in te sempre di più. Anche quando non sono rimasto più "lassù" sulla montagna, ma sono sceso giù, nella nebbia, la tua presenza ha continuato a illuminarmi…

Grazie Gesù per il dono infinito del tuo amore - per la tua vita donata sulla Croce per ciascuno di noi - per il tuo sguardo costante su di noi, per lo Spirito Santo che ci è stato donato e che ci guida!
Rimani Signore, rimani con noi per sempre perché possiamo essere altri te, la tua presenza sempre e ovunque!

Gesù, mi hai chiamato a scalare questa montagna e per questo ti ringrazio.
Mi hai dato la grazia di unirmi a te, sì, per questo ti lodo.
Hai camminato con me nella vita con i miei fratelli e sorelle che sono stati chiamati, per questo ti ringrazio.
Dammi la grazia di credere ancora e ancora.

Signore, dammi tutta la grazia di cui ho bisogno per essere sempre vicino a te, per essere la tua luce e le tue braccia per tutta l'umanità.

Gesù, ti ringrazio per questo prezioso momento di scambio tra noi.
Ci hai chiamato a venire da te, ad averti in mezzo a noi.
Vuoi che scaliamo la montagna con te.
Gioie, dolori, difficoltà e tormenti Tu li vivi con me.
Aiutami, in questo cammino tortuoso, a riconoscerti ad ogni svolta e a sceglierti di nuovo. Guidami!
Ho fiducia in Te.

 

lunedì 13 maggio 2024

Sant'Ignazio a Roma

Oggi il nostro corso su "I Fondatori a Roma", ci ha portato nelle "stanze di sant'Ignazio".

I primi tre gesuiti giunsero a Roma nel novembre del 1537. Nel maggio seguente furono raggiunti da sant’Ignazio e dagli altri compagni. Si presentarono a Paolo III per ricevere da lui la «missio», disposti a recarsi in qualsiasi parte del mondo, dietro sua indicazione. Il Papa li trattenne a Roma e nel settembre del 1540 approvò il nuovo Istituto, che prese il nome ufficiale di «Compagnia di Gesù». Sant’Ignazio non si mosse più dalla città.

Vi morì il 31 luglio1556, dopo una vita contrassegnata da una ricerca appassionata per conoscere Cristo, nel desiderio di essere con lui, come lui e di farlo amare a tutti.

Ossessionato da un anelito al “di più” nel vivere il Vangelo, nell’amare, nell’annunciare Cristo, nel dare gloria a Dio, aveva escogitato una serie di “esercizi” per affinare il proprio cuore e la propria volontà, in modo da essere a totale disposizione del volere divino. Aveva “escogitato”, ho detto? No, i famosi Esercizi spirituali, fatti per giungere a conoscere la volontà di Dio e seguirla con libertà e radicalità, così da attuare in pienezza la missione che egli ci affida, non sono una “invenzione” di Ignazio, ma il frutto della sua esperienza di conversione che lo aveva condotto in una nuova avventura evangelica.

La sua era un’esperienza così forte da diventare coinvolgente. A Parigi i compagni di studio furono attratti da questo uomo tutto d’un pezzo che
andava dritto a Dio, senza compromessi, e che aveva in cuore la passione di portare tutti a Dio. Ne furono attratti al punto da ritrovarsi uniti attorno a lui, o meglio, con lui attorno a Gesù: diventarono i “compagni di Gesù”.

Sono infatti tempi duri, quelli… come lo sono tutti i tempi. Sono i tempi della contestazione nei confronti della Chiesa, del Papa, di Roma. È il tempo di Lutero, della Riforma protestante. Ma anche il tempo di un’altrettanta vigorosa Riforma cattolica, con Filippo Neri, Teresa d’Avila, Carlo Borromeo… Una parte dell’Europa si stacca dal Papa? Ignazio gli fa voto di obbedienza e si lega a lui, assieme ai suoi compagni, in piena disponibilità per ogni compito, così come Gesù era obbedientissimo in tutto al Padre. Sono pronti ad andare dove il papa li manda.

È un ordine nuovo dinamico, tutto proteso verso la missione. “Padre, cosa devo fare per salvarmi?”, chiedeva un giovane, nell’antichità, quando andava nel deserto e si presentava ad un anziano per diventare monaco. Ora, con i Gesuiti, la domanda è diversa: “Cosa devo fare per salvare gli altri e conquistare il mondo a Cristo?”. Gli Esercizi spirituali li hanno tanto formati ad immergersi “dentro” e a vivere alla presenza di Dio, che sono pronti a proiettarsi “fuori”, completamente dimentichi di sé. «Il fine della Compagnia – leggiamo all’inizio delle Costituzioni – è non solo attendere, con la grazia di Dio, alla salvezza e alla perfezione delle anime proprie, ma, con questa stessa grazia, procurare con tutte le forze di essere d’aiuto alla salvezza e alla perfezione delle anime del prossimo».

La finalità nettamente apostolica, l’estrema mobilità della Compagnia, l’adattabilità ai diversi ambienti e situazioni, la forte centralizzazione, il quarto voto di speciale obbedienza al Papa, la libertà da forme di vita ritenute finora essenziali allo stato religioso – lunghe preghiere in coro, penitenze… – hanno creato un nuovo stile di comunità missionaria, aderente alla società moderna che aveva preso avvio con l’Umanesimo e il Rinascimento. I Gesuiti, da allora in poi, diventeranno il punto di riferimento per tante nuove istituzioni religiose.

In pochi anni i compagni di Ignazio, ormai “Compagni di Gesù”, da Roma si diramano nel mondo intero, fino all’India, Cina, Giappone… Come non ricordare l’avventura di san Francesco Saverio o di Matteo Ricci?

Il Corpo, pur avendo membra in ogni parte della terra, non si smembra. La Compagnia rimane unita da quell’unico amore che è, come scrive ancora Ignazio, «il principale vincolo reciproco per l’unione delle membra tra loro e con il loro capo».

 

domenica 12 maggio 2024

Chiamami ancora. La Testimonianza di Saint-Maurice

 

Da più di 1500 anni nell’abazia di Saint-Maurice si prega ininterrottamente. È la più antica abbazia che ha conservato la presenza continua dei monaci. Fondata nel 515 sulle reliquie di san Maurizio, comandante della legione romana di stanza nelle vicinanze, sotto l’alta parete di roccia, lentamente nei secoli si è spostata più volta di pochi metri, ogni volta le che le pietre che cadevano all’alto la distruggevano; ogni volte più grande, ogni volta più bella, per accogliere i pellegrini sempre più numerosi che la visitavano percorrendo la via Francigena. I monaci sono rimasti lì nonostante gli incendi, la Riforma protestante, il passaggio di Napoleone…  

I monaci non si sono stancati, come non si è stancato il Signore di chiamarli:

Non stancarti di chiamarmi.
Anche se io non ti ascolto,
anche se non rispondo.
Continua a chiamarmi, Signore.
Grida (non troppo forte).
Usa tutti i sistemi (non troppo dolorosi).
Chiamami ancora
come hai già fatto tante volte.
E non mettermi al dodicesimo posto.
Chiamami ancora.

Ancora una volta ho visitato l’abbazia, il suo tesoro testimone di una raffinatissima arte medievale, il piccolo chiostro silenzioso, le testimonianze di una fede ferma e costante.






sabato 11 maggio 2024

In ritiro

Un ritiro fatto a due voci, assieme a Martin Hoeffer, un pastore riformato. Ciò che fa la differenza di questi giorni di ritiro a Saint-Maurice non sono i contenuti e neppure il metodo, sono le persone: 49 persone della Svizzera francese, cattolici e riformati. Quando sono entrato in sala e le ho viste in volto mi sono tranquillizzato: sorridenti, serene, aperte, già unite prima ancora di cominciare. Allora puoi andare sicuro!

C’è il tempo per meditare in silenzio, per pregare, per condividere insieme, in gruppi, a tu per tu… Il Vangelo si fa sempre più vicino, sempre più vero, sempre più visibile; la presenza di Gesù sempre più viva.

La natura ci avvolge con tutte le sfumature della primavera. 

Siamo attorniati anche dalla grande spiritualità del passato, ancora presente: l’abbazia con i monaci che cantano l’ufficio, la casa di accoglienza dei cappuccini, il santuario della Madonna incastonato lassù sulla roccia…

Dio è con noi…




venerdì 10 maggio 2024

“Mese di maggio” a Notre-Dame du Scex

Il “mese di maggio” oggi sono andato a celebrarlo alla chiesetta di Notre-Dame du Scex, incavata nella roccia sopra Saint-Maurice. Anche lassù, negli anni che furono, quanti incontri con i giovani religiosi… 

Come in ogni santuario che si rispetta sulle pareti campeggiano i quadri degli ex voto, alcuni del 1600, 1700…

Un luogo silenzioso, al quale ogni giorno le persone continuano a salire. A cominciare dagli Etiopi che vi passano in pellegrinaggio. Anche oggi ho trovato una famiglia che si ferma lassù tutto il giorno e forse più giorni, in preghiera devotissima. Un esempio di fede viva.


Accanto al santuario l’eremitaggio di sant’Amé, che si era ritirato lassù all’inizio del VII secolo.







In basso il paese, con l’abbazia e la casa di incontri dei francescani dove siamo alloggiati.

Un sole splendente illumina di luce purissima la valle, i prati, le vigne e le cime innevate: un paradiso terrestre.

Bella tu sei qual sole,
bianca più della luna,
e le stelle più belle,
non son belle al par di te.


giovedì 9 maggio 2024

Ritorno a Saint-Maurice


Appena arrivato a Saint-Maurice il campanile dell’Abbazia ha iniziato un carillon dolcissimo, seguito da uno scampanio a distesa. Pensavo fosse per me, per darmi il benvenuto: manco da qui dal 2009, e precedentemente, per una trentina d’anni, sono venuto puntualmente ogni estate. Invece le campane erano per la festa dell’Ascensione che qui si celebra oggi, giovedì. 

Non nego che ho provato una certa emozione nel rivedere luoghi tanto cari… Le montagne attorno sono ancora lucenti di nevi...

La Svizzera vista dall’alto è un giardino… anche vista dal basso! La porta d’ingresso il Monte Bianco e la catena delle Alpi, ammantati di neve e di nubi, poi le colline, i fiumi, i laghi, i boschi, i vigneti... E infine gli amici!


È bello iniziare con il racconto dell’Ascensione il ritiro di questi giorni, che ha come tema: “Non possiamo non annunciare quello che abbiamo visto e ascoltato”. Le ultime parole di Gesù prima di salire al cielo hanno un un invito e una promessa: “andate in tutto il mondo” e “io sono con voi fino alla fine del mondo”, o come abbiamo letto nel Vangelo di Marco: “essi partirono e predicarono dappertutto”, e “il Signore agiva insieme con loro”.

È possibile adempiere la missione che Gesù ci affida… a condizione che sia lui a compierla! Tutto l’impegno allora è nell’ascoltarlo e seguirlo, nell’averlo in mezzo a noi, così che sia lui ad operare. Va al cielo proprio per poter essere più vicino a noi. Se fosse rimasto sulla terra sarebbe stato in un luogo, in un altro… ora invece, da lassù, può essere quaggiù ovunque. È salito per essere con noi e agire insieme a noi, come ci assicura il Vangelo di Marco.

Dalla finestra della mia stanza a Roma vedo la cupola di san Pietro, costruita da Michelangelo. Dalla finestra della mia stanza qui a Saint-Maurice vedo un’altra cupola, costruita dal Creatore…


 


mercoledì 8 maggio 2024

Mese di Maggio con un po' di fantasia

 

Oggi mese di maggio con una delle “Madonne” del nostro giardino…

Anche altri fanno il mese di maggio:

- Io per fare il mese di maggio uso un messalino della Madonna con tante belle raffigurazioni di lei dei più famosi pittori e belle preghiere. Poi mi lascio andare e canto le laudi che conosco… è facile basta un po’ di fantasia e avere confidenza con la nostra bella Mamma.

- Qui da noi Maria è molto venerata tutto il mese di Maggio e di Ottobre. Tutto il mese si fa il rosario in chiesa. Alla fine del mese di Maggio si va in processione al Santuario di Santa Maria delle grazie cantando il rosario in Sardo. C’è anche l'associazione del rosario perpetuo: ogni festa della Madonna recitano il rosario di 15 poste.



 

martedì 7 maggio 2024

Una bella Madonna un po' imbronciata

 

Il “mese di maggio” mi ha portato davanti a un’altra delle tante icone che abbiamo in casa. Questa si trova proprio vicino al mio ufficio, ma non mi ha mai detto niente, anzi, non mi è mai piaciuta. Ma pregandola, mi è apparsa più bella del solito (niente apparizioni!), nonostante quel mento così pronunciato, che la fa apparire… imbronciata. Proprio vero che la preghiera trasforma tutto!

Il quadro è incorniciato con gli stemmi di Pio XII, quello degli Oblati, il monogramma di Maria e cinque invocazioni: Mater Christi – Amor Caritatis – Pax – Amor Justitiae – Regina pacis. Una piccola litania!

Di valore il paesaggio lontano, cinquecentesco.

Adesso, quando ci passo davanti, reciterò ad alta voce almeno una di quelle litanie…

Ho cercato chi ne fosse l’autore, così per la prima volta mi sono accorto che in un angolo, piccola piccola, c’è la firma e la data: “Rev. J. Rose o.m.i. 1952”.

Chi sarà mai questo p. Joseph Rose? Gli archivi mi aiutano.

Era nato a Bonn, in Germania, il 24 gennaio 1877.

Era infatti un artista! Lo avevano scoperto presto durante gli anni della sua formazione in Germania. Il suo superiore, p. Leynhecher, nel 1898, alla vigilia degli ordini minori, scriveva di lui “La sua intelligenza ha sbalordito; non si aspettavano che riuscisse così bene allo scolasticato. A volte è un po’ ingenuo. Artista (notevole talento per il disegno)… Cuore tenero e sensibili, riconoscente per natura… è pieno di ardore per la sua perfezione. Di salute cagionevole e tuttavia sano”.

È un ritratto che rimarrà inalterato lungo tutta la sua vita. Sempre fragile di salute, accusa mal di testa, stanchezza…, uno di quelli che sembra siano sempre per morire, eppure capace di arrivare a 80 anni senza mai venir meno ai suoi impegni di missionario in mezzo alla gente. Sensibile e semplice, sa affrontare situazioni difficili e guidare le comunità. E soprattutto, artista: musicista, pittore, fotografo.

Una volta diventato Oblato ricevette la prima obbedienza per in Messico. Ne era felicissimo. “La gioia che provo nel ricevere l’obbedienza per il Messico, scrisse al suo superiore, è ineffabile. Come sono grato a Dio che mi sceglie per prendere parte a una nuova fondazione. Oh, sì, lo ringrazio e lo ringrazierò ogni giorno della mia vita” (3 marzo 1902). Pochi giorni dopo gli ripete: “Ve lo dico e lo ripeto, che andrò volentieri in Messico per far parte d’una fondazione, perché so che il buon Dio mi ha chiamato attraverso la vostra persona. Ho pregato molto perché il Buon Dio mi doni la grazia necessaria per compiere i miei doveri di stato” (20 marzo 1902).

Partì con libri e bagagli come tutti gli altri, ma in più aveva con sé una cassa di articoli da fotografo.

La prima lettera dal “nuovo mondo”, datata 20 maggio 1902, è da Chantla. Racconta brevemente del lungo viaggio in mare che lo aveva portato in Messico. I primi due giorni aveva sofferto di mal di mare, ma poi tutto andò liscio.

Il vescovo di Oaxaca aveva invitato gli Oblati nella diocesi per aprirvi un seminario. Quello che offriva erano soltanto due piccole scuole, una in città e una nel paese di Chautla, con ragazzi, come scrive p. Joseph, “poveri di latino come di ogni altro bene”. Il padre, insieme ad un pugno di altri Oblati, inizia con un entusiasmo straordinario il nuovo ministero, cominciando con l’apprendimento della lingua spagnola, la direzione del collegio di Chautla, i contatti con la gente la domenica in una chiesa vicina. Dopo appena un anno è Oaxaca, nel seminario degli Auxiliarios. Ma anche questa è un’esperienza breve, senza futuro. Non ci sono le condizione per un seminario come Dio comanda! Eccolo allora a Puebla dove l’arcivescovo aveva offerto agli Oblati un collegio industriale. Otto anni come professore di arti e letteratura, durante i quali svolge anche il compito di direttore di musica nel “Collegio Pio”, dove poi viene nominato superiore.

In una lettera del 25 settembre 1903, ricorda al suo superiore quanto egli ami la pittura e la fotografia. Aveva già fatto alcuni disegni ad Hünfeld in Germania, ma adesso ha iniziato con la pittura a olio. Ha appena dipinto un Sacro Cuore, messo nel parlatorio, di cui “tutti sono contenti”, e un ritratto di sant’Eugenio de Mazenod. Seguono altri quadri, come santa Cecilia, l’Immacolata...

Una volta chiusa anche l’esperienza del collegio di Puebla, p. Joseph Rose si trova missionario tra messicani e gli indios di Metepec, nella diocesi di Tulancingo. Il 31 luglio 1912 scrive al superiore generale raccontando della nuova missione: “Sono arrivato a Metepec il 15 maggio, la sera alle 10, dopo un’ora a cavallo, sotto una pioggia battente. Bagnato fino all’osso, mi hanno dato dei vestiti asciutti. L’indomani, festa dell’Ascensione… mi sono messo subito al lavoro. Dopo otto giorni predicavo già una missione insieme a p. Stuhlmann e ieri abbiamo terminato la quarta missione con i frutti più consolanti. La parrocchia segue sei villaggi e ancor più numerosi rancho, alcuni a 2-3 ore di viaggio a cavallo”. Racconta dell’abbandono religioso e dei risultati delle prime quattro missioni: 78 matrimoni di coppie conviventi da anni, 1300 confessioni, 1800 comunioni. Poi conclude: “Ben triste, caro superiore generale, questa ignoranza religiosa… Occorre una salute di ferro e lo zelo di san Paolo e anni e anni per arrivare a qualche risultato”. Parla anche degli indiani “Otomiti”, che comprendono appena lo spagnolo e che dopo la messa “vanno in processione sulla montagna da dove portano giù un loro idolo davanti al quale, la mattina dopo, fanno esplodere del fuochi artificiali. La messa e l’idolo!”

Dal Messico al Texas, a Rio Grande City, Del Rio, e finalmente superiore della comunità dei missionari e parroco della città di Laredo. Anche qui gli amatissimi messicani. Sono gli anni più bella della sua vita, durante i quali si sente in piena vocazione: missionario dei poveri!

Nel 1923, da Laredo, descrive lo stato di abbandono in cui aveva trovato la gente, in una parrocchia molto vasta, 32.000 abitanti, di cui 23.000 messicani. Di questi soltanto 3.000 assistono alla messa domenicale. “È triste – annota – vedere la fede completamente morta di questi poveri messicani… Tuttavia il bene si fa, lentamente”. In altre lettere parla delle “fatiche” del missionario “soprattutto quando il caldo opprimenti del Texas ci obbliga all’inattività… In generale i nostri lavori ci danno consolazione, ma resta ancora molto, molto da fare”.

“Questo è proprio il nostro scopo – leggiamo in una lettera del 16 dicembre 1924 – restaurare omnia in Christo, là dove la rivoluzione messicana ha lavorato contro lo spirito degli Oblati. Sono già 6 anni che mi trovo a Del Rio e spero che i mesi prossimi possa terminare il nuovo santuario della nostra chiesa messicana: Our Lady of Guadalupe. Che lavoro tra i nostri poveri messicani, ma sono ben disposti ad aiutarmi per portare a compimento il lavoro iniziato…”. Conclude la lettera augurando al destinatario quello che spera anche per sé: “Che il buon Dio benedica tutte le vostre opere e vi conceda una vita lunga tra noi per la sua gloria, la salvezza delle anime e il bene della nostra cara Congregazione”.

Restaurare omnia in Christo”: così padre Joseph intendeva la sua missione. Era il motto di Pio X, che riprendeva le parola della Lettera agli Efesini 1, 10 con le quale Paolo spiegava che il disegno di Dio è “ricapitolare in Cristo tutte le cose”. Pio X, morto dieci anni prima che p. Joseph scrivesse questa lettera, era stato il papa dei suoi primi anni di ministero, e gli aveva indicato lo scopo della vita: “evangelizzare i poveri…”, perché tutto fosse unificato in Cristo.

Ma non c’è esaltazione nel suo lavoro missionario. È una persona molto semplice, p. Joseph, va avanti a piccoli passi, crede nella sua vocazione e nella grazia di Dio che lo accompagna. È difficile per lui essere missionario, ma si trovava bene tra la sua gente.

Quel giugno del 1925 non si aspettava che gli arrivasse un ordine che gli avrebbe sconvolto la vita: la nomina, da parte del papa, a Prefetto apostolico del Pilcomayo, in Bolivia. Un mondo così lontano, in un ambiente così difficile, senza direttive chiare, dove bisogna cominciare tutto da zero…

Oltre un mese il viaggio da Laredo, attraverso New Orleans, l’Havana, il Canale di Panama, per arrivare ad Arica, il porto del nord del Cile, a soli 18 km a sud del confine con il Perù. Poi ancora da Arica a La Paz, per presentarsi davanti al Nunzio apostolico per la sua professione di fede (ed è già passato un anno!)

Ben più lungo il viaggio da La Paz al nuovo vicariato apostolico, attraverso Buenos Aires. Ma dov’era il nuovo vicariato apostolico? In mezzo a una foresta sterminata senza città né villaggi, piena di acquitrini, punteggiata soltanto da baracche militari, con indigeni nomadi. Il nuovo Vicario viaggia, per settimane, a dorso di mulo, unico mezzo per spostarsi. Un anno dopo il suo arrivo, in occasione della festa del Padre generale (28 agosto), gli scrive: “Abbiamo soltanto sofferenze, privazioni, penitenze e miserie da offrirvi, ma sopportando tutto con rassegnazione, presentando al Buon Dio tutte le spine con le nostre preghiere e il santo Sacrificio della Messa…”.

Una persona così delicata e sensibile (in fondo era un artista!), non sapeva da che parte cominciare, non poteva farcela: il Papa si era sbagliato, i suoi superiori si erano sbagliati, non si rendevano conto di dove l’avevano mandato; non per nulla quelle sterminate foreste le chiamavano “l’inferno verde”. Aveva compassione anche dei pochi Oblati tedeschi che gli avevano dato per iniziare la missione. Con molto candore scrive ai superiori: “Quantunque sottomessi alla nostra decisione, vi domandiamo il favore di voler permettere il ritorno al nostro precedente campo di lavoro: il ritorno dei Padri e che cari fratelli in Germania e il mio ritorno in Texas. Senza tenere conto della salute, l’interesse per la mia anima non mi permette più di accettare un’altra fondazione in un paese ignoto. Ho lavorato per 25 anni tra i messicani e alla mia età non posso più adattarmi a un’altra situazione. Desidero lavorare in qualsiasi posto in Texas, tra i messicani e vi chiedo di voler accordarmi questo favore”.

P. Joseph dovette tornare in Texas e continuò il ministero di prima nelle varie parrocchie e missioni nella Valle del Rio Grande: Brownsville, Del Rio, Brady, Rio Grande City, Mercedes. Nel 1949 era di nuovo a Laredo e con i soldi ricavati dalla vendita della sua collezione di francobolli e dei suoi quadri, poté costruirvi la casa parrocchiale; una sola pittura del Sacro Cuore gli aveva procurato 1000 dollari.

Non ce l’aveva fatta. Chi l’ha detto che un missionario deve essere sempre un eroe? Non fa parte della missione anche il fallimento? Non è soltanto con la morte che il chicco di grano porta frutto? Se oggi gli Oblati sono lì nel Chaco e portano avanti una fiorente missione, lo si deve anche a chi ha vi ha saputo morire.

Finalmente, anziano e sofferente, si ritira al noviziato. Il 10 maggio 1951, nel cinquantesimo di sacerdozio, scrive al superiore generale dicendogli che “essendo prima Oblato e poi prete”, ha compiuto il suo “dovere”: “consacrare la mia vita, come Oblato, all’evangelizzazione dei poveri; per me è la più grande consolazione nell’occasione delle feste per il mio giubileo d’oro”.

Il 12 maggio 1951 segue una bella lettera all’Assistente generale, per ringraziarlo degli auguri che gli ha inviato in occasione del suo giubileo d’oro sacerdotale, celebrato nel noviziato di Laredo; giubileo “che ha fatto un bene immenso spirituale ai nostri buoni messicano, che ora sanno meglio cos’è un padre Oblato per il bene delle loro anime. Non ho meritato – continua la lettera – tutte queste manifestazioni, perché è per il voto di obbedienza che ho lavorato nella vigna del Signore per il bene dei poveri secondo lo spirito del nostro Venerato Fondatore. Adesso posso comprendere meglio quello che cantiamo spesso qui al noviziato e dopo i ritiri annuali: Ecce quam bonum… Qui al noviziato cerco di aiutare il buon padre Maestro dei novizi con il buon esempio e un corso di musica per i cari novizi…”

Sì, è ormai ritirato al noviziato, debole, con scompensi cardiaci, artrite… al punto che devono chiedere un indulto alla Santa Sede perché possa celebrare la Messa seduto!

Nel 1954 al porto di Genova giunge una cassa con alcuni suoi dipinti, indirizzati al Superiore generale a Roma. Lo sdoganamento è complesso, ma finalmente i quadri giungono a destinazione. In quella cassa c’è anche il quadro che ora è collocato accanto al mio ufficio? Certamente c’era un quadro dell’Immacolata, giusto in tempo per il Congresso internazionale mariano, al quale partecipano molti Oblati. In quei giorni alla casa generalizia si tiene anche un congresso oblato mariano e nella sala del congresso viene collocato il quadro dell’Immacolata dipinto da p. Rose. 

il quadro dell’Immacolata dov’è finito? L'ho cercato... e finalmente sono riuscito a trovarlo. Per adesso è in un ripostiglio...



 

lunedì 6 maggio 2024

Le giaculatorie di san Filippo Neri

Quinta tappa nella nostra conoscenza dei fondatori a Roma. Questa volta è la volta di Filippo Neri, venuto a Roma da Firenze. Ha vissuto naturalmente nel quartiere dei fiorentini, dove c’erano i banchieri e gli argentieri e tutte le loro maestranze a artigiani. È diventato romano, il santo più amato dai romani, ma “Pippo il buono” è rimasto sempre fiorentino!

Per la nostra visita abbiamo scelto il luogo dove ha vissuto più a lungo, 33 anni, e che più gli era caro, San Girolamo della Carità, là dove si dice che sia venuto ad abitare san Girolamo quando nel 382 papa Damaso lo chiamò a Roma per affidargli la traduzione, l’interpretazione ed il commento della Bibbia. Era quella la casa della matrona Paola, che poi seguì Girolamo a Betlemme.

Abbiamo passato una bellissima mattinata in quel luogo carismatico con tutti gli studenti, incantati. E ce n’è di che! Non a caso qui venivano a visitarlo Ignazio di Loyola, Camillo de Lellis, Carlo Borromeo, Felice da Cantalice. Che concerto di santi contemporanei, con la quali era legato e con la quale si sono scritti, ma anche Giovanni Leonardi…

Ho parlato con gli studenti della spiritualità di san Filippo… Poi ho letto alcune delle sue Le “giaculatorie” che, assieme alle “massime” lasciano intuire il suo mondo interiore. Esse denotano una spiritualità affettiva, semplice e profonda, fuori dagli schemi. A volte le faceva ripetere ai suoi discepoli in forma di litanie. Eccone alcune:

Quando ti amerò con figliale amore? lesù mio, ti vorrei amare.

lesù mio, non ti fidar di me. lesù mio, io te l’ho detto: se tu non mi aiuti, non farò mai bene.

Io te l’ho detto: io non te cognosco.

Signor mio, io vorria imparar la strada d’andar al cielo.

Io ti cerco e non ti trovo, lesù mio, e vien da me.

Non ti fidar di me, lesù mio, perché non farò mai bene.

Io te l’ho detto: non farò mai bene, lesù mio, se tu non mi aiuti.

Ancora non ti cognosco, lesù mio, perché non ti cerco.

Se io cognosse te, cognoscerei ancor me, lesù mio.

Che cosa potria io fare, lesù mio, per fare la vostra voluntà? Che cosa potria fare io, lesù mio, per compiacervi?

Io non t’ho mai amato et te vorria pur amare, lesù mio.

Se tu non mi aiuti, lesù mio, io caderò. Che cosa farò se tu non m’aggiuti, lesù mio? Se tu non mi aggiuti, son ruinato, lesù mio.

Vergine Maria, Madre de Iddio, pregate lesù per me.

Io ti vorria amare, lesù mio, et non trovo la via.

Io non t’amerò mai, lesù mio, se tu non m’aggiuti.

Io non voglio far altro, se non la vostra santissima volontà, lesù mio.

Io ti vorrei servire, lesù mio, e non trovo la via. Spiritum rectum innova in visceribus meis.

Tui amoris in me ignem accende.

Io ti vorria trovare, lesù mio, et non trovo la via. Ego non te diligo: et te vorria pur amare.

Io non posso far bene, se tu non mi aggiuti, lesù mio.

Io vorrei fare la tua volontà, lesù mio.

 

domenica 5 maggio 2024

Con i bambini alla scoperta di Gesù Eucaristia

Dopo i santi antichi, da Brigida di Svezia a Giuseppe Calasanzio, i “santi” contemporanei, prima Piccola Sorella Maddalena, oggi Chiara Lubich. Queste due ultime le abbiamo incontrate in case ordinarie: le loro abitazioni romane non sono state trasformate in chiese o luoghi artistici.

Così oggi siamo stati insieme con i soliti bambini, una ventina, più quelli ancora in braccio… accompagnarti dai genitori: una bellissima brigata. La casa di Chiara in via Valnerina a Roma (di cui ho già parlato: https://fabiociardi.blogspot.com/2023/03/via-valnerina-luogo-carismatico.html), oltre a un grande terrazzo ha una piccolissima cappella, e questa è diventata il fulcro del nostro incontro: Gesù Eucaristia.

Ed eccoci alla scoperta della lucetta rossa che indica il luogo dove c’è Gesù, la preghiera per chiedere la sua luce e il suo calore, il racconto del miracolo di Bolsena, e avanti, avanti… con i bambini incantati…

Sì, i bambini sono capaci di mistica, di un rapporto immediato, diretto con Dio. «I bambini – scriveva Chiara il 29 luglio 1949 – sognano sempre: essi fanno una vita finta perché giocano sempre: è l’ingenua aspirazione al Paradiso per il quale sono ed erano fatti. Ma sono più sinceri degli uomini i quali vogliono far della vita finta una vita seria e non lo è…».

«I bambini, i piccolini – dirà poi in una conversazione il 19 agosto 1966 – non sono fatti per le cose normali di questo mondo; i bambini, soprattutto i piccoli e le piccole, sono fatte per le favole, per le fate, per qualche cosa che supera, vorrei dire, la vita quotidiana umana, qualche cosa che va al di là del nostro modo di concepire la vita; qualche cosa di bello ma di più che bello come normalmente si intende, qualche cosa, insomma, che ha del miracoloso». 

Nei bambini è davvero presente il senso del divino. Basta favorirlo, così che vanga alla luce...



sabato 4 maggio 2024

Rimanere

Nel Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua il verso “rimanere” è ripetuto sette volte. Sette volte! Il numero della perfezione.

Rimanere, ossia dimorare stabilmente. Non è una situazione passeggera: è permanente e definitiva, per sempre.

“Rimanete”! È la richiesta della più piena comunione, di una intimità sincera.

Rimanere dove? “Nel mio amore”. Gesù, che ci ama fino a dare la vita per noi, esprime il desiderio di essere riamato. Incredibile. Verrebbe da pensare: ma che se ne fa del mio amore? Pensa quanto gli siamo preziosi! Ci desidera!

Rimanere come? L’indicazione è chiarissima, vivendo il suo comando di amarci tra di noi. Quando Filippo gli chiede di mostrarci il Padre Gesù gli risponde che chi vede lui vede il Padre. Ora, analogamente, ci dice che vedremo lui guardando chi ci è attorno: “Vedi il fratello? Vedi il Signore”.

Gesù vuole che rimaniamo nell’amore reciproco e in questo modo egli rimane con noi.