venerdì 31 maggio 2019

Sulla tomba di san Luigi Grignon de Montfort



La basilica di san Grignon de Montfort
Sullo sfondo il campanile della "cappella" delle suore

Dove meglio che qui avrei potuto celebrare una festa di Maria?
Sono nei luoghi di san Luigi Grignon de Montfort. L’intensissimo programma di questi giorni non mi impedisce di ritagliarmi dei frammenti di tempo per mettere i piedi sulle sue orme. Questa mattina presto sono stato nel grande complesso delle Figlie della Sapienza, fondate dal santo, per pregare un attimo nel luogo in cui san Luigi è morto. Per arrivarvi ho dovuto passare per mille ambienti, a cominciare dalla “cappella”, una chiesa immensa. “Ma è una cattedrale!” ho esclamato (l’altissima guglia del campanile domina tutta la vallata). “No, mi ha ricordato la suora che mi accompagnava, la cattedrale è la chiesa del vescovo e la basilica è il luogo che custodisce la tomba di un santo. Questa è semplicemente la nostra cappella”.
La stanza dove è morto san Luigi è stata completamente ristrutturata. L’urna che una volta conteneva il corpo è protetta da un marmo con incisa una croce, a ricordare che l’accesso alla Sapienza passa attraverso la croce. La Sapienza incarnata: l’attrattiva e la passione di san Luigi, che l’ha ardentemente desiderata, chiesta incessantemente, seguita fino alla croce; ad essa si è donato per mezzo di Maria.


La stanza dove è morto Montfort
La tomba del santo
Questo paesetto, nel quale san Luigi è morto al termine della missione che vi predicava, è letteralmente dominato dalla sua presenza e dalle tre gigantesche “cappelle”, quella dei Padri monfortani, delle Suore della Sapienza e dei Fratelli di san Gabriele. Su tutto primeggia la basilica (la parola questa volta è giusta) edificata in suo onore, che ne custodisce il corpo. Giovanni Paolo II non poteva non giungere fin qui, dal santo di cui aveva condiviso il motto: Totus tuus. L’ho visitata ieri mattina presto e ho pregato sulla tomba del santo e della beata prima suora delle Figlie della sapienza.
Impressionante l’epitaffio che vi era sulla sua tomba, che lo descrive come un uomo consumato dal fuoco della carità, un uomo dalla vita pura come nessun altro, paziente, austero, ardente di zelo, devoto di Maria, la cui vita ha ricalcato quella di Cristo, di cui ha parlato ovunque, in maniera infaticabile. Un autentico missionario.


giovedì 30 maggio 2019

Cos'è questo Paradiso' 49?


Quattro giorni a Saint-Laurent sur Sèvre per conoscere l’esperienza del Paradiso ’49.
Ma cos’è questo Paradiso ’49? Sul sito di Città Nuova è appena apparsa parte di una intervista che mi è stata fatta da Giulio Meazzini:

Il trimestrale di cultura Nuova Umanità, nel suo ultimo numero appena uscito, dedica il focus a Il Paradiso ’49: protagonisti e interpreti. Si tratta del periodo di «contemplazione spirituale» vissuto 70 anni fa da Chiara Lubich, Igino Giordani e alcuni altri del primo nucleo della comunità dei Focolari.
Come spiega il direttore, Alberto Lo Presti, fu «un’esperienza straordinaria, mistica e concreta allo stesso tempo», un susseguirsi di «visioni e comprensioni» particolari, che si dispiegò dal luglio 1949 al settembre 1951. Negli ultimi 20 anni è iniziata un’opera di divulgazione dei testi, rivisti da Chiara Lubich stessa, che descrivono quella esperienza. Ne parliamo con Fabio Ciardi, responsabile del centro interdisciplinare di studi Scuola Abbà.

Cos’è questo Paradiso ’49?
È l’esperienza spirituale profonda che Chiara ha vissuto negli anni 1949-50-51. E non solo: è quello che lei ha trasmesso ai suoi compagni, coinvolgendoli fin da subito, in prima persona, in questo periodo di luce. Il Paradiso ‘49 non è quindi l’esperienza di un singolo, ma di un gruppo. È il vissuto di Chiara, ma partecipato, condiviso. Un vissuto che lei, anni dopo, ci ha consegnato anche in un libro.

È un po’ strana questa storia del gruppo?
È una cosa nuova. Nella storia della spiritualità, tante persone hanno avuto esperienze mistiche, anche della realtà del Paradiso. L’originalità di Chiara è stata “entrare” in questa realtà non da sola, ma insieme ad Igino Giordani, uno sposato, per poi il giorno successivo coinvolgere subito anche le sue compagne. Lei, quindi, “entra” in Paradiso con un drappello, come lo chiama, col quale vive lo spirito e le tappe di conoscenza di questa realtà. La parola drappello dà il senso della molteplicità: ognuna di queste persone era infatti presente con la sua personalità. A volte, poi, Chiara chiama questo gruppo l’Anima, perché queste persone, pur nella loro individualità, formavano una realtà sola, un corpo solo, il Cristo mistico.
  
Ha senso offrire questa esperienza al mondo di oggi, disinteressato e disincantato?
L’esperienza del Paradiso ‘49 accade a metà Novecento, dopo lo sfascio dell’Europa seguito alla guerra mondiale, in un forte momento di crisi, a tutti i livelli. Non mi sembra che la situazione oggi sia molto diversa.

Cosa dovremmo fare con questa esperienza? Ricordarla, ripeterla?
Il Paradiso ‘49 non è stato dato per essere studiato o letto, ma condiviso. Rappresenta una comprensione di ciò che è la realtà umana, la storia dell’umanità. Una visione del mondo visto da Dio. Abbiamo bisogno di una visione alta della storia umana, al di là delle piccole contingenze quotidiane. Una visione d’insieme, una visione di Chiesa, una visione di società. All’interno di questa visione, poi, c’è anche la nostra storia individuale, irripetibile e unica. Dio rispetta la singolarità di ogni persona, però il progetto è globale: fraternità, comunione, condivisione esistenziale, riassunte in una sola parola, unità. Una parola densa, che riassume una visione sociale, politica e culturale.

Dal 1949 sono passati 70 anni…
Nel ‘49 è iniziato un progetto, che deve poi attualizzarsi giorno per giorno nella storia. Chiara ha vissuto questa realtà del Paradiso lungo tutta la sua vita. Quello che ha detto e scritto, le opere che ha realizzato, dall’Economia di Comunione al Movimento per l’Unità, da Famiglie Nuove al Dialogo ecumenico e interreligioso, le ha portate tutte avanti sotto la spinta di questa luce. Il Paradiso ‘49 non è una realtà chiusa, ma aperta alla storia.

Cosa direbbe ad un giovane che si affaccia a queste cose?
Qui c’è un’esperienza profonda di vita. Le prime compagne di Chiara nel 1949 erano semplici, provenienti da sperduti paesini del Trentino, la più istruita era maestra elementare. Eppure sono diventate donne di prima grandezza, capaci di andare in giro per il mondo di allora, in Brasile, negli Stati Uniti, nell’Asia, in Africa. Hanno creato opere straordinarie, centri, case, aziende, comunità. Come hanno fatto? In loro c’era una tale vita, che le ha rese capaci di motivare e trascinarsi dietro migliaia di persone di tutti i tipi, dalle più semplici alle più intellettuali, persone di altre religioni e di altre culture. Quindi, se un giovane vuole realizzarsi, anche umanamente, consiglio di buttarsi in questa esperienza, di darsi, per produrre qualcosa di utile per l’umanità. Tuffarsi in questa realtà.
(L’intervista completa sarà pubblicata in uno dei prossimi numeri della rivista Città Nuova)


a Saint-Laurence sur Sèvre


29 maggio
Questa mattina Saint-Malo.
Uno sguardo alla baia, alle sue insenature, le isole, gli scogli. Evocazione di antichi monaci ed eremiti, corsari, grandi navigatori, ma anche René Chateaubriand, santa Jeanne Jugan… La cattedrale, i camminamenti sulle mura, i porti…
Quanti racconti narrano ancora questi luoghi d’incanto.


Ed ora, dopo un giorno e mezzo di inculturazione in Normandia e Bretagna, eccomi finalmente in Vandea, nella regione della Loira, a Saint-Laurence sur Sèvre, in aperta campagna, per iniziare il corso-ritiro con circa 350 persone giunte da tutta la Francia. Mi aspettano quattro giorni intensissimi, una nuova avventura…



martedì 28 maggio 2019

Mont Saint-Michel, immagine del Paradiso



Tutto avrei immaginato in vita mia meno di poter venire un giorno in pellegrinaggio a Mont Saint-Michel. C’è sempre qualche sorpresa inaspettata. Abbiamo attraversato la baia partendo dal villaggio da cui nel medioevo partivano i pellegrini che giungevano da tutta Europa. Siamo stati accompagnati da una guida per non fare la fine di tanti pellegrini travolti dalle maree o dalle sabbie mobili.

Sette chilometri tra prati d’erba salata, fango, acqua, sabbia dura, sabbia morbidissima, con un vento forte e freddo. In ascolto degli uccelli, attenti ad ogni minimo segno della natura, sotto un cielo di nuvole veloci e di sprazzi di sole. Tra preghiere e canti come s’addice a un pellegrinaggio. Poi su per le rocce del monte, fin dentro la basilica, per celebrare nel canto l’ufficio e la messa con i monaci e le monache della comunità delle Beatitudini, in un’autentica contemplazione.


Nel pomeriggio la visita all’abazia ci ha introdotti in un capolavoro d’architettura: fortezza inespugnabile, luogo di rifugio e di preghiera, meta di pellegrinaggi ininterrotti.
È la narrazione di una storia iniziata nel 708 quando l’arcangelo Michele apparve in sogno al vescovo Aubert, continuata, due secolo, con i benedettini. La Rivoluzione francese spezza il filo della storia qui come altrove, trasformando il santuario in prigione. Ma la storia non si ferma e la vocazione di preghiera di Mont Sant-Michel è ripresa e torna ad essere quello che nel medioevo si diceva essere: la Gerusalemme celeste sulla terra, l’immagine stessa del Paradiso.


lunedì 27 maggio 2019

Poeti dell’infinito e oltre



Se ricordo bene domani è l’anniversario dell’Infinito di Leopardi.
Mi è venuto in mente attraversando la “infinita” pianura che si estende da Parigi verso Rennes, in Normandia. Il treno la percorre veloce. Piatta ma non monotona, ricca di mille tonalità di verde, con prati e campi e boschi. Nessuna siepe esclude lo sguardo dal perdersi lontano. L’unico lieve rilievo è per far risaltare la massiccia cattedrale gotica di Le Mans che vedo da lontano.
Leopardi non aveva bisogno come me di viaggiare per perdersi nell’infinito. La fantasia e il sentimento gli bastavano per divinare altri mondi e provare l’ebbrezza dell’infinito.
Ma forse un po’ tutti siamo poeti e aneliamo a quella pienezza di cui l’infinito è soltanto una componente. Che sia il Paradiso?

Il viaggio è iniziato questa mattina con un’esplosione all’aeroporto di Fiumicino. Un’esplosione in aeroporto fa un certo effetto! Ma subito si è capito che era un tuono eccezionale. Seguito da un ritardo di un’ora e mezza per “avverse condizioni atmosferiche”.
E si è concluso a Saint-Malo. Una giornata lunga, ma qua il sole tramonta alle 22.00 e mi ha consentito un primo sguardo almeno alle mura della città, davanti al golfo de La Manica.
Da Rennes a Saint-Malo, in macchina, ho attraversato paesi spersi nel verde, costruiti interamente in pietra, con i tipici tetti spioventi di lavagna… È proprio bella questa Bretagna. un altro senso dell'infinito.


domenica 26 maggio 2019

La sfida di papa Francesco



Papa Francesco non ci descrive le caratteristiche di un Dio astratto, intangibile, ma nei suoi gesti concreti, incarna il Dio della tenerezza e della Misericordia, fa assumere carne ed ossa come Dio Amore, e lo fa sperimentare in modo palpabile e accessibile. Papa Francesco fa incontrare il Dio della compassione e della consolazione che tocca e risana le ferite dell’uomo. Egli presenta un Dio che incrocia l’uomo nella sua miseria e nei limiti del peccato, ma non lo colpevolizza, non applica i criteri di giustizia umana, bensì, lo abbraccia con dolcezza, fa capire che gli e mancato tanto.

Così suor Celina, che ieri ha discuso felicemente la sua tesi. Il dottorato è sempre un grande traguardo, specialmente quando una persona non è più giovane. Aveva fatto la licenza con me, tanti anni fa, suor Celine. Ed ora rieccola a questa nuova tappa. Questa volta l’ho attesa sull’altra sponda, come primo correlatore, quello che deve essere maggiormente critico…

Siamo di fronte a una persona umile e semplice – ha concluso nella sua esposizione –, ma nello stesso tempo audace e intrepida che sta lasciando un’impronta profonda nella storia del tempo presente. Il suo pensiero e il suo Magistero è una vera interpretazione della teologia e della teologia spirituale. È una teologia della vita, che tocca i cuori e trasforma i comportamenti. Papa Francesco è un uomo diretto, senza schemi formali, senza rigide regole di protocollo. Non si chiude nelle consuetudini e nelle abitudini, ma ha un linguaggio kerigmatico e carismatico, con il quale conquista i cuori. Questa è una vera sfida…


sabato 25 maggio 2019

Dimora di Dio: grazie Spirito Santo!


«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23-29).
È una delle promesse più belle di Gesù: ci fa diventare sia dimora. Non viene in noi per una visita, di passaggio, rimane stabilmente, mette su casa in noi. È l’inizio di una convivenza che non avrà più fine, perché mentre sta di casa in noi prepara un’altra casa in cielo dove ci accoglierà per sempre. Cambia la casa, ma non la convivenza, la famiglia, lo stare insieme.
Solo che la condizione è un po’ onerosa: per mettere su casa con Gesù e il Padre occorre osservare la parola di Dio. Non è mica semplice. Rischiamo di restare senza casa, senza la presenza di Dio in noi, di noi in Dio.
Ma Gesù lo sa che vivere la sua parola non è uno scherzo. Quello che egli chiede è esigente e non ce la facciamo ad adempierlo. Essere sempre i primi ad amare, non tenere conto del male ricevuto, lavare i piedi agli altri, mettersi all’ultimo posto, accogliere ognuno come fosse Gesù. E poi pregare senza stancarsi, prendere la croce ogni giorno, fidarsi ciecamente di Dio, ma anche essere onesti nel lavoro, guardare gli altri con cuore puro, non giudicare… Ma come si fa!

Per fortuna Gesù lo sa che quanto egli ci propone è al di sopra delle nostre forze. E allora?
Allora ecco un’altra promessa: lo Spirito Santo! «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Peggio ancora. Avremo accanto qualcuno che continuerà a ricordarci le parole di Gesù e ci farà prendere sempre più coscienza della nostra incapacità di viverle?
Ma no! Egli “ci insegnerà ogni cosa”. Ci insegnerà come viverle. Ci darà la forza per viverle. «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi», ha assicurato Gesù subito prima di salire al cielo (Atti 1, 8). Lo Spirito riversa nei nostri cuori l’amore, ci dice Paolo (Rm 5, 5).
Se uno mi ama”: sì lo amiamo! “osserverà la mia parola”: questo no, non siamo capaci di farlo. Niente paura, abbiamo dalla nostra lo Spirito Santo e lui ci insegnerà e ci darà la forza per amare e per vivere. E la casa si costruisce davvero, per accogliere tutti e Tre…

venerdì 24 maggio 2019

Giovanna, la gratuità dell'amore


Giovanna, moglie di Cusa, amministratore del re Erode, è una persona di cui la tradizione non si è impossessata: nessuna leggenda, nessuna tradizione, nessuno che reclama di possedere le sue reliquie. Eppure è una figura bellissima, una grande discepola di Gesù, di cui più volte ci parla il vangelo di Luca. L’ultima volta compare assieme a Maria di Magdala e a Maria di Giacomo, davanti alla tomba vuota di Gesù dove si è recata con gli unguenti.
Oggi è la sua festa liturgica e proprio oggi sono a Caserta per ricordare l’anniversario della partenza per il cielo di un’altra grande Giovanna. Chissà se s’era presta come protettrice Giovanna di Cusa oppure Giovanne più favore come Giovanna d’Arco…
Comunque Giovanna Clemente è una degna emula di Giovanna di Cusa, come lei discepola fedelissima di Gesù. Non ho il tempo per parlare di lei, lo farò più avanti.
Oggi mi piace rileggere una sua letterina scritta una decina d’anni fa dal Congo:

“L'amore bussa ancora alla nostra porta. Ed ecco il piccolo Gaetano, chiamato così in memoria di P. Liuzzo. Ha due settimane di vita. La mamma ha partorito al nostro Centro e poi di notte è scappata lasciandolo a noi. Certamente è la povertà che ha portato la mamma a fare ciò. E' un bimbo bello e tranquillo. Per ora è qui da noi. Ha trovato tante mamme che lo coccolano e lo accudiscono in attesa di trovare una famiglia che lo adotti. E così ci improvvisiamo mamme, e la casa è tutta una rivoluzione tra pannolini, biberon, e vagiti, soprattutto di notte quando in pieno sonno ti sveglia e devi fare in fretta a preparare il latte. Tutti i programmi passano in secondo piano. Al primo posto c'è lui e non si discute! Capiamo così quanto amore, quanta dedizione quanto lavoro, quante notti insonne hanno vissuto per noi i nostri genitori. Quanto dobbiamo essere grati a loro in vita ed in morte. Che il Signore li benedica tutti e li consoli sempre col Suo infinito amore di Padre-Madre”.


giovedì 23 maggio 2019

Proclamare il Vangelo con l'arte



«Perché era sempre contento? Credo perché aveva un profondo rapporto con Dio. Ha amato la sua gente, bianca e nera. Considerava i suoi confratelli Oblati come fratelli e collaboratori, mai come competitori». Così il vescovo di Klersdorp, in Sud Africa, la terra dove p. Wilfried Joye, originario del Belgio, ha vissuto come missionario per 50 anni.
È morto quest’anno.

Ha lasciato, oltre al ricordo di un grande missionario, una grande produzione artistica, uno dei suoi modi di annunciare il Vangelo.
È appena uscito un altro libro con i suoi disegni, che esprimono salmi ed episodi evangelici, commentati da Bernie Mullen, fedele discepole e poeta.
Sono un canto al Signore che continua anche dopo la sua morte.


mercoledì 22 maggio 2019

Il Convegno “Oblazione e Martirio”, un momento di grazia


  
I martiri Oblati spagnoli
Michele Longobardi da Roma mi scrive.

Anche se con un ritardo di due settimane, ci tenevo a scriverti due righe a margine del convegno” Oblazione e Martirio” che abbiamo vissuto a Pozuelo dal 3 al 6 maggio scorsi.

Un momento di grazia” se così lo posso riassumere.
Un “momento” perché è durato poco, tre giorni intensi ma con i giusti spazi per conoscersi di più e per fare famiglia.
“Grazia” perché ho veramente gustato, assaporato e respirato negli Oblati e negli altri partecipanti quel desiderio di donarsi lì dove siamo chiamati a vivere. E anche perché non avevo i figli al seguito.

Sono sposato da 14 anni e abbiamo tre figli di 13, 10 e 7 anni. Che vita! Ogni giorno non è mai uguale a un altro e non ci si ferma mai.
Sono cresciuto nella parrocchia degli Oblati a Roma e grazie ai tanti Oblati che si sono succeduti, e qualcuno deceduto, e al cammino nel Movimento Costruire negli anni giovanili, ho potuto condividere con tanti giovani, anche giovani che sono diventati Oblati, momenti di formazione, di missioni popolari e giovanili.
Essendo poi un tecnico di reti telefoniche e trasmissione dati, volentieri sono andato in Romania, a Gesso, Marino, le comunità omi di Roma, il Consultorio La Famiglia  per installare nuovi centralini e risistemare alcuni disagi tecnici. Anche questo è esprimere il senso di famiglia.

Il Convegno… Dopo una prima ventata di entusiasmo, rileggendo il titolo “Oblazione e martirio” non sprizzavo più tanto di gioia. In particolare la parola “martirio” mi faceva pensare a una certa pesantezza degli argomenti che potevano essere trattati.
Grazie p. Fabio perché hai saputo scegliere le persone più azzeccate e i temi che mi hanno fatto (ri)scoprire un lato del carisma oblato così bello: donarsi all’altro (oblazione) e testimoniare la fede con la propria vita (martirio).
Durante i vari interventi mi sono ritornate alla mente le parole che Giovanni Paolo II pronunciò alla GMG del 2000 nella veglia di Tor Vergata:

Il mausoleo dei martiri Oblati di Spagna
«Carissimi amici, anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino, per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4). Non per caso, carissimi giovani, ho voluto che durante l'Anno Santo fossero ricordati presso il Colosseo i testimoni della fede del ventesimo secolo.
Forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere nelle situazioni di ogni giorno: penso ai fidanzati ed alla difficoltà di vivere, entro il mondo di oggi, la purezza nell'attesa del matrimonio. Penso alle giovani coppie e alle prove a cui è esposto il loro impegno di reciproca fedeltà. Penso ai rapporti tra amici e alla tentazione della slealtà che può insinuarsi tra loro.
In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae…
Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in Lui…»

E di testimoni ne ho conosciuti al convegno, in primis i martiri spagnoli che, a dire il vero, sì li conoscevo per “fama” ma non in maniera così profonda, con la situazione storica di quegli anni e le varie biografie. L’oblato delle Filippine mi ha commosso quando è stato invitato a raccontare delle ultime situazioni che stavano vivendo.  P. Eutimio, p. Thomas (che personaggio e che preparazione), Roland Jacques, il Padre Generale, le Comi e così via…  che bei testimoni.

Siamo parte della Chiesa Universale e cerchiamo di abbellirla con i nostri desideri e i nostri talenti ognuno nel proprio ambito di vita. 
Quanti laici e Oblati avrebbe fatto bene partecipare al convegno. Sarebbe interessante trovare delle modalità per portare in giro per la Provincia Mediterranea questi temi, non lasciare questa grazia del convegno fine a se stessa ma raggiungere quante più persone possibile.
Si potrebbe fare veramente alta formazione.


martedì 21 maggio 2019

Uno studio audio-televisivo a servizio della missione


Io sono appiattito sul blog, ma gli Oblati per fortuna vanno avanti.
Oggi, festa di sant’Eugenio, nella stanza accanto al mio ufficio, il superiore generale ha inaugurato lo studio audio-televisivo intitolato a “Pierre Babin”:

Sarà il luogo di produzione di interviste, storie, attualità del mondo oblato, sempre vivo, dinamico e creativo.
Chissà come sarà contento sant’Eugenio che si lamentava sempre che la stampa ignorava la grande opera missionaria dei suoi Oblati.

lunedì 20 maggio 2019

21 maggio, a Palermo Eugenio de Mazenod è vivo


Quest’anno, per mostrare la fecondità e l’attualità del carisma, il superiore generale degli Oblati ha raccontato l’esperienza della visita che ha fatto a Palermo dove sant’Eugenio, dal 1799 al 1802, cioè dai 17 ai 20 anni, ha vissuto l'ultimo periodo dell’esilio, prima di tornare in Francia.
Hanno accompagnato il superiore generale p. Louis e il suo consiglio Enzo David, membro dell’AMMI, e Ileana Chinnici, Presidente dell'Istituto Secolare delle COMI.
«Abbiamo percorso per ore le vie di Palermo, scoprendo i luoghi dove aveva vissuto Eugenio, i palazzi delle grandi famiglie da lui frequentate e le chiese dove si fermava a pregare. L’abbiamo accompagnato nel cammino tipico di un giovane della nobiltà.
Ci siamo fermati in vari posti per poter leggere estratti di lettere e memorie. Abbiamo potuto riscoprire vari aspetti della personalità di Eugenio e rivivere alcune delle esperienze del soggiorno a Palermo, che lo hanno sicuramente segnato nella vita e nel futuro carisma oblato.
Abbiamo visitato il quartiere dei conciatori di pelli, dove ha vissuto per un breve periodo. Incontrava gli operai per la strada, li vedeva conciare le pelli nel fiume e lavorare nei negozietti, venendo a conoscenza di sofferenze e angosce…».


Non si è trattato di un viaggio solo nel passato, ma di una visita alla realtà oblata di oggi, con l’incontro di Oblati, membri dell'AMMI e COMI. In particolate il consiglio generale ha potuto ammirato la nuova sede della comunità oblata internazionale, nel cuore di Palermo, nella parrocchia di San Nicola da Tolentino, dove due Oblati lavorano da diversi anni con migranti e rifugiati.
La nuova sede persegue due obiettivi: l’impegno tra migranti e rifugiati, svolto assieme ai laici associati, i giovani che vivono il carisma oblato e le COMI; il contatto con poveri provenienti da ogni parte del mondo.
«Il 27 gennaio – scrive il padre generale – la chiesa era piena di gente, con tutte le sfumature del colore della pelle, che celebrava in molte lingue l'Eucaristia, ciascuna apportando qualcosa di bello dalla propria cultura, preghiere, canti o danze. Abbiamo visto i nuovi volti dei poveri e incontrato Cristo nei migranti e nei rifugiati: una meravigliosa celebrazione della comunione».
Auguri alla nuova comunità: sant’Eugenio è vivo! A Palermo come nel mondo intero…


domenica 19 maggio 2019

Eugenio e Pio IX, tra Gaeta e Marsiglia



Alla fine tutto si conclude come da prassi con l’autografo sulle copie del libro. Ma non si è trattato della solita presentazione del libro, è stato piuttosto un pomeriggio di profondo dialogo tra me, Simonetta Magari e  una novantina di persone interessatissime, raccolte nella prestigiosa aula magna dell’Istituto Nautico, che non se ne sarebbero più andate via. Ho trovato una comunità affiatatissima, con una grande profondità di vita.

Se devo essere sincero, avevo scelto di presentare il mio libro a Gaeta perché non avevo mai visitato questa città. Nel 1970, percorrendo la via Flacca verso Napoli, ero passato dalla Montagna Spaccata, ma senza entrare in Gaeta. Così finalmente, con delle guide “indigene” appassionate e simpaticissime, ho potuto conoscere questa città straordinaria, con le sue spiagge, le falesie e soprattutto la fortezza, il castello, le chiese, i quartieri storici… e la gustosissima tiella.
Ero interessato soprattutto a Pio IX. Ho visto la modesta casa dove abitava durante il suo soggiorno in città, dopo la rocambolesca fuga da Roma, e la vicina chiesa della SS Annunziata dove si recava a pregare nella Cappella d’oro. La mia visita di Gaeta è iniziata proprio da questa straordinaria cappella. Sarebbe bastata questa e anch’io mi sarei volentieri fermato lì a pregare, come il Papa. Sembra che sia stato proprio qui, davanti al quadro dell’Immacolata, che Pio IX ebbe l’ispirazione per il dogma dell’Immacolata.


Ormai alla vigilia della festa di sant’Eugenio de Mazenod, il pensiero non poteva non andare a lui. Cinque giorni dopo la fuga del Papa da Roma sant’Eugenio scrisse una lettera a tutta la diocesi: «Abbiamo appreso che il nostro Santo Padre ha lasciato segretamente la capitale, il 24 di questo mese…», invitando a pregare per lui. Subito si mise in contatto con il Governo francese e il 5 dicembre scrisse al Papa mettendo a sua disposizione il proprio palazzo episcopale e tutto quanto gli sarebbe stato necessario. Cinque giorni dopo la risposta del Papa, «davvero commosso davanti all’amore filiale… Siamo provvisoriamente a Gaeta. La Provvidenza ci ha guidati qui senza un disegno premeditato da parte nostra…».
È l’inizio di trattative, corrispondenza, iniziative che mostrano il grande amore di sant’Eugenio per il Papa. In una lettera del 10 febbraio il Papa scrive: «Venerabile Fratello, saluti e benedizione apostolica… vi ringraziamo vivamente perché dalla nostra partenza da Roma ci avete subito offerto con tanto amore la vostra casa e tutto ciò che vi appartiene…».  


Intanto il Papa, sempre da Gaeta, il 2 febbraio 1849, scrive ai vescovi del mondo la lettera Ubi primum, nella quale chiedeva il loro parere sull’opportunità della proclamazione del dogma.
Anche questa volta sant’Eugenio è il primo a rispondere proclamando, a nome suo, della diocesi e di tutti gli Oblati, la sentita adesione alla richiesta del Papa. Più tardi, l’8 luglio pubblica una Lettera pastorale nella quale porta gli argomenti a favore della proclamazione del dogma. Tra l’altro vi si legge:

«Dopo quello che riguarda direttamente Dio, nulla di più prezioso per la pietà illimitata della vera luce della fede, di quello che tocca l'onore della Vergine Santissima. Vi è tutto l'interesse che un Figlio verso la madre sua e quale madre! Colei che ci ha dato la sorgente della vita e della salvezza del mondo, Colei che ci ha tutti spiritualmente generati ai piedi della Croce, nei dolori della passione e della morte dell'Uomo-Dio, frutto benedetto del suo seno, Colei che è giustamente chiamata la nuova Eva e la corredentrice del genere umano.
La sua tenerezza veglia sopra di noi, essa nutre le nostre anime delle grazie divine di cui è, secondo i Santi Padri, la distributrice; dall’alto del cielo lo spande a piene mani sui suoi figli dopo averle attinte da cuore del Suo Figlio, Nostro Salvatore. La nostra esistenza, anche quella temporale, è sotto lo sguardo del suo amore materno, e gli Angeli, di cui è Regina sempre esaltata e sempre obbedita, sono mandati dai piedi del suo trono per guidarci sulle sue vie».


sabato 18 maggio 2019

Un amore sociale e politico



Un amore sociale e politico
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 31-35), vangelo di questa domenica.

Subito dopo pranzo ogni giorno mi prendo una dose di depressione: leggo il giornale.
Corruzione, illegalità, disagio sociale, rissosità, discredito delle istituzioni, razzismo, intolleranza… Ogni giorno le solite cose, sempre in un degrado sempre peggiore.
Leggo i nomi e guardo i volti, per la maggior parte cristiani, cattolici, battezzati.
Com’è possibile?
L’identità cristiana, al dire di Gesù nell’ultima cena, è data dall’amore reciproco: è da questo che si riconoscono i cristiani, dal fatto che si amano.

Leggo il giornale e non riconosco i cristiani. Dove sono? Dove siamo?
Il bene pubblico è espressione dell’amore, così come l’accoglienza, l’integrazione, il rispetto, l’ascolto, il dialogo.
Perché non puntare alla dimensione sociale del comandamento cristiano dell’amore reciproco?
È l’unico modo per essere se stessi, autentici, e per essere riconosciuti come cristiani.


venerdì 17 maggio 2019

Presentazione del libro "Il Cenacolo, la nostra casa"




18 maggio 2919
Presentazione del libro
Il Cenacolo, la nostra casa
Aula Magna Istituto Nautico di Gaeta
Piazza Trieste, Gaeta
Ore 16.45
Simonetta Magari dialogherà con l’autore, Fabio Ciardi,

Intanto arriva una prima eco al libro:
“Gesù ti dà un grande dono. Ti fa guardare da dove guarda Lui.
E ti dà la grazia e la gioia di saperlo trasmettere alle tue sorelle e ai tuoi fratelli.
A quanti come me Lo cercano”.

giovedì 16 maggio 2019

Conversazioni con i Focolarini, un “classico” di Pasquale Foresi


Ad ogni trasloco la mia biblioteca si dimezza ed ora rimango con un migliaio di libri soltanto. Ogni tanto mi ricordo di quel libro lasciato lì, là… Comunque quando ci sarà l’ultimo trasloco non mi porterò dietro nessun libro.

In questi giorni mi hanno chiesto alcune opere di Pasquale Foresi. Tra gli altri mi accorgo di avere conservato la prima edizione di Conversazioni con i Focolarini, del 1967, penso una rarità. Ma quello che mi sorprende è trovarvi, in prima pagina, una mia dedica: “Al babbo. Nel giorno dell’Annunciazione perché Maria ti faccia scoprire e ti cali nell’anima l’amore di Dio e l’abbandono di Cristo Crocifisso. Fabio. Marino, 6 aprile 1970”. Devo averlo ripreso da casa dopo la morte di mio padre. Non ricordavo di averglielo regalato.
Ho ritrovato anche un altro libro di Foresi, Colloqui. Domande e risposte sulla spiritualità dell'unità, (2009), con una mia Prefazione. In mezzo a quelle pagine c'è ancora un biglietto dell'Autore: «Carissimo P. Fabio, ti invio una copia del libro "COLLOQUI". Ho ancora vivo il ringraziamento per quanto ci hai lavorato».
Conversazioni con i Focolarini è stato più volte riedito, fino a cambiarne il titolo: Dio ci chiama. Conversazioni sulla vita cristiana. Quelle conversazioni sono state riprese in altri volumi. Ma quel primo testo va riportato alla sua originale essenzialità.

Nel 2004 ho scritto un articolo in merito (Conversando sulla vita cristiana. Un “classico” di Pasquale Foresi, “Nuova Umanità”, 26 (2004) n. 1, p. 133-140) nel quale dicevo: «Ho gustato una conversazione al giorno, negandomi esplicitamente il piacere di tracannare il libro tutto d’un fiato, avrei rischiato l’ubriacatura. Sono pagine che vanno centellinate come quando si beve un vino pregiato, invecchiato con cura, per assaporarne il gusto fino in fondo. Mi hanno astratto dal vortice della vita quotidiana trasportandomi, come per magia, in un’altra dimensione, nel mondo del divino: mi hanno riportato a casa! Ma non mi hanno distratto dal lavoro e dalla trama dei rapporti con quanti mi circondano. Al contrario, hanno insaporito il quotidiano facendomelo ritrovare “casa”.
Indovinato, innanzitutto, il genere letterario. Foresi ti parla. Non scrive, conversa. Ma senza disperdersi in lungaggini, come inviterebbe a fare la conversazione. Sempre essenziale, com’è nel suo stile, senza tuttavia diventare asciutto. Anzi è caldo, convincente, come si conviene in una conversazione. Non si tratta infatti di una finzione letteraria, ma di una reale serie di tematiche indirizzate a un pubblico vero. Più che scritte sembrano trascritte da una registrazione, tanto sono dirette e immediate. Leggendole hai l’impressione di essere lì, davanti a lui. Non leggi, ascolti.
Quella della conversazione è una forma di comunicazione che uomini illustri hanno fatto propria. Basti pensare alle Collationes di Giovanni Cassiano, agli Entretiens di Francesco di Sales o a quelli di Vincenzo de’ Paoli. Questi grandi si intrattenevano familiarmente con i discepoli e offrivano consigli, indicazioni, insegnamenti concreti sulla vita spirituale. La racconta dei loro “intrattenimenti” sono divenuti dei classici della spiritualità cristiana.
Foresi non si intrattiene con monaci come Cassiano, o con suore come Sales, o con preti come de’ Paoli, ma con laici. È uno dei segni dei tempi, di quei tempi nuovi nei quali la santità non è più appannaggio di pochi, ma vocazione delle masse. Il Vangelo dilaga nella vita di ogni giorno e torna ad essere, come agli inizi del cristianesimo, il libro di ogni cristiano».

Nell’articolo mostravo la portata evangelica del libro di Foresi, per poi continuare: «Il teologo e il pensatore colto, in queste pagine sa mettersi alla portata di tutti. Più ancora il rapporto diretto con i laici lo fa essere essenziale e lo conduce al cuore del messaggio cristiano».
Dopo aver analizzato alcuni dei contenuti, riconoscevo che «l’obiettivo del libro è quello di presentare un cristianesimo integrale, capace di formare non delle “anime” cristiane, ma persone intere, pienamente realizzate anche nella propria umanità».
Terminavo: «Un libro che offre una visione solida della vita cristiana, tutto sorretto dalla spiritualità dell’unità e della comunione che caratterizza il Movimento dei focolari (anche se il Movimento è presente con molta discrezione, così che il libro diventa veramente una proposta universale di vita cristiana). (…) A 36 anni dalla loro prima stesura queste conversazioni conservano tutta la loro freschezza. Non è un libro datato. Mi sembra piuttosto un libro atemporale, ossia costantemente attuale perché interamente evangelico. Un libro che rimarrà ed è destinato a diventare un classico della spiritualità…».
Adesso di anni ne sono passati 52.
Che non sia il tempo di riproporre il libro della sua purezza originale, in modo che diventi davvero un “classico” della spiritualità cristiana?