mercoledì 31 ottobre 2018

Oblazione e santità: 200 anni



Chiesa della Missione ad Aix
Eugenio de Mazenod ha nutrito un desiderio sempre crescente di santità. L’ha desiderata per sé e per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva condurre le persone ad essere prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi (cf. Prefazione). L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: «In nome di Dio, siamo santi» (18 febbraio 1826). Ha creato la comunità oblata come un luogo di santificazione, ha abbracciato la vita religiosa come mezzo efficace di santificazione, ha scelto la missione come ministero nel quale santificarsi e santificare. Ha compreso e costantemente sottolineato l’intrinseco legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.

200 anni fa, il 1° novembre 1818, i Missionari di Provenza, al termine del ritiro, seguito al primo Capitolo generale, fecero per la prima volta l’oblazione, una via concreta per raggiungere la santità. Due testimoni del tempo, Suzanne e Moreau, descrissero la giornata memorabile di quel giorno.

Dalle tre del mattino i membri del Capitolo sono già svegli. Prima delle quattro sono già in cappella, prostrati davanti all’altare, preparandosi al più bello, al più amabile di tutti i sacrifici.
Dopo aver invocato i lumi dello Spirito Santo con il canto del Veni Creator, il superiore rivolse una commovente esortazione all’assemblea. Era dolce, e versammo lacrime di gioia nell’ascolto di quelle parole che sembrava ci fossero rivolte direttamente da Nostro Signore Gesù Cristo attraverso le labbra dell’amato padre.
Una volta terminata l’esortazione, il padre, rivestito degli abiti sacerdotali, si prostra ai piedi dell’altare, prende un cero nella mano destra, e dice a voce alta e intelligibile: “Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, alla presenza della santissima Trinità, della santa Vergine Maria, di tutti gli angeli e di tutti i santi, di tutti i miei fratelli qui riuniti, io, Carlo Giuseppe Eugenio de Mazenod, faccio professione, prometto a Dio e faccio voto di castità e obbedienza perpetua. Faccio parimenti voto di perseverare fino alla morte nel santo istituto e nella società dei Missionari detti di Provenza. Così Dio mi aiuti. Amen”.

Comincia poi la messa […]. Al momento della comunione, mentre il superiore teneva nelle mani il Corpo adorabile del nostro divin Salvatore, avanzammo uno dopo l’altro, con in mano un cero acceso, e pronunciammo i nostri santi voti con un sentimento di gioia ineffabile. […]

Si sarebbe detta una di quelle assemblee dei primi fedeli che si riunivano un tempo nelle catacombe, a lume di candela, nelle tenebre della notte, per cantare le lodi di Dio, lontani dagli idolatri.
Dopo la messa il Superiore generale intonò l’inno Te Deum in azione di grazie. Poi tutti i membri della comunità si recarono all’altare della santa Vergine per mettere sotto la sua protezione i santi impegni che avevano appena contratto. Si misero anche sotto la protezione di tutti i santi recitandone le litanie.

Con quanto slancio ci abbracciammo tutti, una volta tornati in sacrestia! Che effusione del cuore! Quanta tenerezza! Quale commovente affetto! Ora, ci dicevamo, siamo fratelli; ora siamo una cosa sola! Ora ci amiamo veramente!


martedì 30 ottobre 2018

La Scuola Abbà in prima fila


Non siamo tutti nella foto, ma mi pare si possa cogliere una gioia particolare, che forse è solo un riflesso di quella che brilla sulle molte persone che sono davanti a noi, nella comune contemplazione delle realtà del Cielo.

lunedì 29 ottobre 2018

Inizia l'incontro degli esterni della Scuola Abbà




Castelgandolfo: è iniziato l’incontro per gli “esterni” della Scuola Abbà. 260 persone, provenienti dai cinque continenti, esperte in 23 discipline: Architettura, Arte, Ecclesiologia, Economia, Ecumenismo, Esegesi, Etica, Filosofia, Dialogo Interreligioso, Linguistica Filologia e Letteratura, Matematica, Medicina, Politica, Psicologia, Scienze della comunicazione, Scienze dell’educazione, Scienze della natura, Sociologia, Storia, Teologia biblica, Teologia fondamentale, Teologia spirituale.


Siamo insieme una settimana per cogliere, con gli occhi della Sapienza, dall’Alto, il progetto di Dio su questa nostra società e per informare di Vangelo i nostri ambiti disciplinari.
Un progetto folle, ma ci consegniamo fiduciosi al soffio dello Spirito, che ci conduca per i cammini che solo lui conosce.

domenica 28 ottobre 2018

Un omaggio per i 70 anni del Prof. Ciardi



L’ultimo numero della rivista Claretianum dedica una novantina di pagine al Prof. Fabio Ciardi, con tanto di foto, come omaggio per i suoi 70 anni, come si legge nell’editoriale:

La nostra pubblicazione si apre quest’anno con un piccolo omaggio al Prof. Fabio Ciardi, in occasione del suo settantesimo compleanno. L’Istituto Claretianum lo annovera tra i docenti sin dal 1977, all’indomani del conseguimento della Licenza in Teologia della Vita Consacrata, e nel 1981 gli conferì il Dottorato. È stato il primo studente ad essere proclamato dottore.
È lo stesso Prof. Ciardi a descriverci il suo itinerario di studio e di docenza ed anche a proporci una selezione della sua numerosissima produzione letterario. Di lui pubblichiamo anche un articolo che si offre la sintesi cui è giunto circa uno dei temi sui quali ha ampiamente investigato: il rapporto tra il Vangelo – norma suprema per ogni cristiano –, il carisma dei fondatori e le regole, che condensano la loro particolare ispirazione evangelica e la forma di vita trasmessa ai discepoli.

L’articolo nel quale il Prof. Ciardi delinea il proprio Itinerario bibliografico, inizia con queste parole:

Sono più di 1000 i titoli delle mie pubblicazioni, che vanno da brevissimo articoli a libri di un certo spessore. Per me, più che per altri, vale il detto che una persona scrive e riscrive sempre lo stesso libro: ho scritto molto e insieme pochissimo.


sabato 27 ottobre 2018

Strumenti della sua chiamata


In quel tempo, mentre [Gesù] partiva da Gerico insieme ai suoi di­scepoli e a molta folla,
Bartimeo, che era cieco, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù (Mc 10, 46-52).

Bartimeo, uno dei pochi, tra i tanti che Gesù ha guarito, di cui il Vangelo ci ha lasciato il nome, forse l’unico. È l’unico dei guariti che Gesù chiama, l’uni­co che lo segue. Gesù non lega mai a sé ammalati e peccatori. Dopo averli guariti e perdonati, sempre dica loro: «Va’». Li renda liberi e li rimanda, rinnovati, nel loro mondo, perché vi conducano la vita nuova comunicata e raccontino i suoi prodigi. An­che a Bartimeo rivolge lo stesso invito: «Va’». Eppure lui, a diffe­renza degli altri, non va, viene, lo segue verso Gerusalemme, per condividere con lui il destino di morte e risurrezione.

Lo ha chiamato. Ma prima è stato Bartimeo a chiamare Gesù. Non c’era modo di farlo tacere. Continuava a gridare al Messia venuto la sua invocazione di speranza, dietro la quale lasciava trasparire il suo dolore. Tutti lo sentono gridare, ma nessuno lo compren­de, anzi… Non succede a volte anche a noi di non essere capiti? Quante grida inascoltate e incomprese si levano da questa nostra umanità, da chi subisce ingiustizie e violenze, da chi vive nella povertà e nella miseria, da chi porta il peso di situazioni familiari difficili, da chi è nella malattia, nella solitudine, nell’abbandono.
Gesù coglie ogni gemito, ogni grido disperato, ogni sospiro nasco­sto. Non è sordo al nostro bisogno. E chiami a sé. Ma quella volta non è andato direttamente da Bartimeo. Non doveva essere lontano, se lo sentiva gridare. Gli sarebbero bastati pochi passi per raggiungerlo. Gesù si rivolge invece ai discepoli, pregandoli di andare loro a chiamarlo. Che forse anche in que­sto voglia insegnarci qualcosa? Sembra quasi che abbia bisogno di intermediari. O forse vuole semplicemente renderci attenti agli altri; che dimentichiamo il nostro dolore per farci carico del loro.

Vuole coinvolgerci nella sua opera di salvezza, per questo ci in­vita a essere strumenti della sua chiamata, a portare a lui quanti, perché ciechi, non trovano la strada per raggiungerlo. Noi che lo conosciamo e che già lo seguiamo, non abbiamo ricevuto la luce soltanto per noi, ma per guidare anche gli altri verso di lui. Non siamo stati noi stessi condotti a Gesù da altri? Non abbiamo bisogno noi stessi di chi continuamente ci riporta da lui? Non possiamo seguirlo da soli, abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Dobbiamo aiutarci a liberarci dalla nostra zavorra, come Bartimeo dal suo mantello, e correre incontro al Signore con fede, farci suoi discepoli e camminare con lui, lun­go la sua strada, verso la vita.


venerdì 26 ottobre 2018

L'ultima lettera di padre Gerard alla famiglia





Mi è capitata tra mano l’ultima lettera che p. Giuseppe Gérard scrisse alla famiglia, il 5 marzo 1914, poco prima della morte.
Era il primo di cinque figli. A vent’anni, nel 1851, andò per l’ultima volta con il babbo e la mamma in pellegrinaggio alla Madonna di Sion. Poi partì per noviziato degli Oblati. Due anni più tardi, il 10 maggio 1853, dopo essere stato ordinato diacono da sant’Eugenio de Mazenod, partì da Toulon alla volta del Sud Africa. Sarebbe diventato un grande missionario e un grande santo, beatificato da Giovanni Paolo II in Lesotho il 15 settembre 1988.
Una volta partito per l’Africa non tornò più in Francia e nei 63 anni tra l’ultima visita a casa e la sua morte non vide più i suoi familiari. Eppure tra lui, le due sorelle e il fratello rimasti nel paese natio in Lorena (il terzo, Fernand era morto giovane), ci fu sempre un rapporto molto vivo, così come con la cugina suor Anna Maddalena. Ne è testimone quest’ultima lettera:


5 marzo 1914.
LJC e MI
Mie amate e carissime sorelle Elisa, Barbe e mio amato Jules,
Penso che abbiamo mantenuto il silenzio abbastanza a lungo, il buon Dio sia benedetto; ci sono così tante persone al mondo che lo offendono con le loro parole. Confesso che questo lungo silenzio mi è costato molto; quanto mi piacerebbe sentirvi almeno ogni tanto. Penso spesso a voi e ai vostri cari figli ogni giorno alla Santa Messa che dico nell'oratorio della comunità. Alle 6 in punto, sono al Sacro Altare, vi vedo in spirito, ben radunati attorno al Santo Altare, in mezzo alla gerarchia celeste. Ogni giorno di questo bellissimo mese di San Giuseppe, prego il mio Santo Patrono San Giuseppe per farvi morire tutti bene. Il buon San Giuseppe e la nostra Madre Immacolata, la Vergine Santa, ci portano tutti nelle loro braccia, ai piedi del Signore, o piuttosto nel Sacro Cuore di Gesù!
Quest'anno, miei cari, sento il peso dei miei 84 anni. Sono molto debole. Non posso più fare un lavoro prolungato. Tuttavia, ho buon appetito. Se mi montano sul mio fedele "Ortaban", mi riporta ancora a una distanza di una o due ore per visitare i malati, cosa che mi capita spesso. Se vedesti il buon vecchio papà nelle mani di due grossi compagni che lo issano sul dorso del paziente "Ortaban"! Poi con un lungo bastone, visito le capanne vicine dove ci sono degli ammalati.
Ho ancora la gioia di dire la Santa Messa. "Semper et semper gratias" per una così grande grazia.
I nostri Basuto non hanno sedie, tavoli, letti, e per me è abbastanza difficile stare in ginocchio a lungo; dobbiamo anche sopportare il fumo che c’è nelle case non hanno un camino. Ci sono anche piccoli animaletti, piccoli cannibali, che voi conoscete solo per sentito dire.
La casa paterna
Infine, per terminare il ritratto, devo dire che cammino con un bastone, i miei occhi vedono ancora da vicino; sono curvo, è ovvio. Tuttavia, posso ancora dire la Santa Messa e andare per le benedizioni. Ma devo dire che ho un buon Cireneo nella persona del buon padre Rolland che soffre di reumatismi; lui mi prende per mano. Il buon fratello Debs mi aiuta anche a salire all'altare. Il Santissimo Padre il Papa mi ha dispensato dal Santo Breviario; dico tre rosari al posto del breviario e celebro ogni giorno la Messa votiva della Beata Vergine. Ecco, penso, mie care sorelle, d’avervi detto abbastanza di me stesso.

Vi dirò ora che dovete ringraziare Dio. Il 17 febbraio, è stato il 60° anniversario del mio sacerdozio. Quante grazie ho ricevuto in questa lunga vita! Come sarei ricco oggi se ne avessi approfittato. Ma ahimè, devo dire tra le lacrime: quanti sbagli! quante ingratitudini! Tremo pensando a quando dovrà rendere conto della mia vita. Aiutatemi tutti, anche i vostri figli e nipoti. Ci siamo già, il Buon Maestro sta arrivando. Mi farete la carità di fare dire le masse per il riposo della mia povera anima. Vi tasserete per farmi questa carità.
Devo dirvi che le nostre sacre regole, tra gli Oblati di Maria Immacolata, ci permettono di dire due messe per il riposo dell'anima di un fratello o una sorella della nostra famiglia. Probabilmente è necessario che i genitori facciano conoscere la morte alla Casa generalizia che si trova a Roma.
Ora, mie care amate sorelle, Elise, Barbe e mio caro fratello, come state riguardo alla salute! Non ti vedo e non sento niente da voi. In ogni caso, quando uno è vecchio come lo siamo noi, il buon Dio nella sua misericordiosa Provvidenza permette che soffriamo molto. Sa che dobbiamo riparare le nostre mancanze passate in modo che le nostre anime possano essere ulteriormente purificate per salvarci dal fuoco eterno dell'inferno o dai dolori del Purgatorio. Il buon Dio è un buon padre, Egli conosce meglio di noi ciò che è giusto per noi.

Una delle lettere alle sorelle
Che la nostra vera occupazione sia una vera pietà. Un cristiano che serve Dio in spirito e verità crede certamente nella santa amicizia di Dio e gode di una buona coscienza, riceve il centuplo già qui e la vita eterna.
Vi scrivo nella festa di San Tommaso d'Aquino. Sua sorella gli chiese quando stava per morire: "Fratello, dimmi, cosa devo fare per salvarmi?" Lui le rispose: "Mia cara sorella, devi volerlo con una volontà buona e ferma". Ripetiamolo spesso! "Chi mi separerà dall’amore di Gesù Cristo?" Diciamo spesso a noi stessi: "Serviamo un Dio vivente, eterno e immortale, ci ricompenserà per tutta l'eternità". Quando soffriamo, diciamo a noi stessi, "Dio vive, quindi mi vede, mi penetra, soffro davanti ai suoi occhi. Che cosa devo temere, soffrire davanti agli occhi di Dio Onnipotente, a un Padre così buon? Mi toglie questa misera vita solo darmene un'altra vera, tutta celeste, la vita eterna. Coraggio, allora, miei buoni amici, in questa valle di lacrime, aggrappiamoci a alle parole che del divin Maestro a discepoli sulla via di Emmaus: "Non era necessario per Cristo entrare nella gloria attraverso molte tribolazioni?"
Ma, miei cari amici, voi sapete tutto questo da molto tempo. Amatevi molto nella vera carità, poiché il Sacro Cuore di Gesù vi ama con un amore efficace, paziente, premuroso, indulgente, sì, molto indulgente. Questa è vera carità, amate tutti quando potete. Possiamo farlo più spesso di quanto pensiamo. Una parola, un saluto, un piccolo aiuto, uno sguardo amorevole, una buona piccola preghiera.
Abbiate ancora tra di voi, due o tre volte l’anno, una piccola festa di famiglia, come il giorno di Pasqua, Natale, una prima comunione. Andate spesso dal Sacro Cuore, comunicatevi spesso. Ricordate le nostre nonne... comunicatevi spesso. Indossate i vostri bei vestiti, i caldi guanti da coniglio.

Ora, mie care sorelle, la grazia, la misericordia e la pace siano con voi, con i vostri cari figli e nipoti, da parte di Dio nostro Padre e del nostro Signore Gesù Cristo. Raccomando, non dimenticare, prendevi cura dei vostri figli grandi e piccoli. Che siano buoni cristiani, che camminino continuamente sulla via dei comandamenti di Dio e della sua chiesa. Che tutti siano molto fedeli alle preghiere. Oh, che brutto vedere un uomo e una donna che non pregano Dio. Incoraggiateli, cari amici, ad andare alla Confessione e alla Santa Comunione, come chiedono i cari pastori. È qui dove si trova la forza e la consolazione. Se uno si donasse completamente al Sacro Cuore, questa povera terra sarebbe un paradiso. Oh! Miei cari, instillate la devozione al Sacro Cuore a tutti i vostri figli piccoli e grandi e a tutti i vostri conoscenti.
Non dimenticare di mandare i vostri figli a scuola, al catechismo. Amate, rispettate e ascoltate i vostri cari pastori. Coltivate nel piccolo giardino della vostra anima, la devozione alla Beata Vergine Maria e la devozione a San Giuseppe. Quali virtù dell'umiltà! la carità, la purezza, la pazienza e l'unione siano sempre vive e fragranti.
Ma adesso termino; scriverò presto al nipote e alla mia nipote. Facciamo in fretta, c'è pericolo di arrivare in ritardo. Più ci avviciniamo alla, più corriamo velocemente. Diciamo spesso: Signore, non abbandonarmi nel tempo della mia vecchiaia. Mio Dio, Padre mio, non respingermi quando verranno meno le forze. Andiamo, miei buoni amici, coraggio, coraggio, guardiamo il cielo. Che felicità ci è preparata per l'eternità!
Un ricordo a tutti i miei cari parenti. Non cessate di pregare per me.
Il vostro povero e vecchio fratello.
Nei cuori sacri di Gesù e Maria,
Giuseppe Gérard, O.M.I.
Sacerdote

giovedì 25 ottobre 2018

Ricordando la consacrazione episcopale di Eugenio de Mazenod


Ogni anno gli Oblati di Roma, assieme agli amici, vanno alla chiesa di santa Maria in Campitelli, per ricordare le 6 ore di preghiera che vi passò sant’Eugenio de Mazenod. Non andiamo invece alla chiesa di san Silvestro al Quirinale dove, quando venne a Roma la prima volta, vi passò 6 mesi, tornandovi altre tre volte. La seconda volta fu per esservi consacrato vescovo, il 14 ottobre 1832. Oggi vi siamo andati per rivivere quel momento.
Si preparò con un ritiro iniziato il 7 ottobre, di cui conserviamo le note. Ho letto alcuni di quegli appunti durante l’omelia: parlano della sua visione dell’episcopato, della missione di pastore, e soprattutto della docilità allo Spirito Santo e alla volontà di Dio. Sono testi di grande ricchezza dottrinale e di profondità spiritualità.

Pochi giorni prima, il 4 ottobre, scrisse una lettera a Mons. Martin de Noirlieu, cappellano a San Luigi dei Francesi in Roma. Non aveva nessun altro vicino con cui potersi confidare. Alla sua ordinazione non c’era nessun familiare, né la mamma, né la sorella, e neppure nessuno dei suoi Oblati. Ecco cosa scrisse a Martin de Noirlieu:

Se conosceste tutta l’amicizia che ho per voi, vi rendereste conto del dispiacere che provo nel non vedervi, soprattutto nella circostanza in cui mi trovo. Non è ancora noto a Roma, ma il Papa mi ha nominato vescovo e visitatore apostolico di Icosia, Tripoli e Tunisi. Sarò consacrato, salvo imprevisti, il 14 di questo mese. [...] Sono qui solo, e vi assicuro che la povera natura è crocifissa; ma non invano sento che Dio supplirà a ogni deficienza o difficoltà con abbondanti grazie spirituali.
Ho sempre considerato l’episcopato in una luce diversa rispetto a molti altri; e ora che sono eletto e così prossimo all’investitura della pienezza del sacerdozio di Gesù Cristo, questo profondo senso di riverenza, la grande idea che la fede ha radicato nel mio cuore per questa grande dignità, mi schiaccerebbe, togliendomi tutto il coraggio, tutta la forza per andare avanti, se il Signore non mi riempisse con la speranza più dolce, facendomi considerare questa nuova venuta dello Spirito Santo in me come un momento di rinnovamento e di misericordia. Mi sembra che lo Spirito divino che ho tanto addolorato da quando mi sono state imposte le mani nel sacerdozio, metterà ordine nella mia anima, stabilendovi la sua dimora con un potere così grande che non avrò modo di sfuggire alle sue ispirazioni. Che posso dirvi, amico mio? Vi parlo come se stessi solo pensando. Sono pensieri familiari che non mi imbarazzano. Addio, addio, vi lascio per andare un po’ a pregare, perché devo imparare a far sempre più mio questo grande dovere, il principale del mio futuro ministero.


mercoledì 24 ottobre 2018

I libri raccontano: il mio inseparabile dizionario d’italiano




Mi accompagna, fedele, da più di cinquant’anni. Ormai non lo apro quasi più. Accanto a lui c’è il più moderno Zingarelli e poi ci sono i dizionari on line. Il mio vecchio Migliorini appartiene ad altri tempi.
Giulio Cappuccini aveva pubblicato il Vocabolario della lingua italiana nel 1916. La sua opera fu poi ripresa e più volte riedita da Bruno Migliorini, rimaneggiata al punto da prendere ormai il nome di quest’ultimo. La mia edizione, la prima firmata Migliorini, è del 1965.

Prima o poi ritroverò la foto pubblicata da “Il lavoro”, nella cronaca di Firenze dei primi di luglio del 1968, che mi ritrae con il Vocabolario sotto braccio, all’uscita dall’esame di italiano per la maturità classica. Ho comunque più della foto, ho il Vocabolario, che mi racconta quei momenti di trepidazione e insieme di gioia, di grande speranza in un futuro che si apriva ricco di promesse e d’infiniti orizzonti. Era pressoché inutile portarselo dietro per la prova scritta d’italiano, ma era indispensabile, la sua mole e la sua compattezza infondevano sicurezza, era come posare i piedi su una roccia.


Le pagine un po’ ondulate e i lievi segni color marrone adagiati tra le pieghe raccontano di un paio d’anni prima, quando fu sommerso dall’acqua dell’Arno, giunta fino in via Cavour, dove il libro, appena edito, faceva bella mostra nella vetrina della libreria Marzocco.
Quel 4 novembre 1966 pioveva a non finire, ma in via Barbacane, che da Firenze si arrampica su verso san Domenico di Fiesole, non potevo immaginare che un’autentica alluvione stava inondando la città.
La mattina seguente ero in piazza Duomo, infangata da non dire. Entrai nel negozio dell’apostolato liturgico e cominciai a spalare il fango assieme alle suore Pie Discepole, tutte giovanissime, come me. Nei cassettoni i lini erano piegati intatti, impregnati di una melma finissima. Pavimento, pareti, arredi, i nostri vestiti, tutto aveva l’identico uniforme colore del limo. Qualcuno si presentava alla porta divelta con un calice, una pisside o un altro oggetto di metallo portati dall’acqua chissà dove, indovinando che provenivano da quel negozio.
Il giorno successivo era difficile entrare in città, ormai tutta un cantiere, ma la nostra macchina aveva come autista il glorioso fratel Giuseppe che, con sulla tuta blu, portava la scritta OMI, che dichiarava essere l’acronimo di Officine Meccaniche Italiane, un lasciapassare sicuro. Scesi in un negozio di piazza san Lorenzo, uno di quei seminterrati, anzi completamente interrati, che chiamavamo gli sdruccioli. Doveva essere un negozio di dischi e articoli affini, ridotto a un ammasso indecifrabile. L’acqua era misteriosamente sparita attraverso le pareti e rimaneva mota e poltiglia informe dalla quale cercavamo di estrarre ciò che era possibile salvare. Mi è rimasta viva nella mente l’immagine della coppia dei proprietari, lui ormai attempato, lei giovanissima; l’immagine dei loro volti e soprattutto del sorriso rassegnato che li mostrava legati da un amore che nessuna alluvione avrebbe mai affogato.

Fu nel ritorno a casa, a piedi, che passai per via Cavour dove altri amici stavano lavorando nella libreria Marzocco, e mi diedero il Migliorini, in condizioni ancora buone. Soltanto la copertina era andata. Bastò farlo rilegare nuovamente e divenne il mio inseparabile Vocabolario d’italiano, fedele compagno d’una vita.

martedì 23 ottobre 2018

Pregare è semplice



Oggi il sito “Vangelo del giorno” ha proposto un testo di san Vincenzo de Paoli nel quale spiega alle sue suore la semplicità della preghiera:

Guardate, figlie mie, la fedeltà che dovete a Dio. L'esercizio della vostra vocazione consiste nel ricordarvi spesso della presenza di Dio; e perché ciò vi sia facile, servitevi dell'avviso del suono dell'orologio e fate qualche atto di adorazione. Fate questo atto, cioè dite nel vostro cuore: "Mio Dio, ti adoro" oppure: "Mio Dio, sei il mio Dio", "Mio Dio, ti amo con tutto il cuore", “Vorrei, mio Dio, che tutti ti conoscessero e onorassero per onorare il disprezzo che hai sofferto sulla terra". All'inizio del vostro atto, potete chiudere gli occhi per raccogliervi.

A Sophia la gioia della verità

La gioia della verità (Veritatis gaudium) esprime il desiderio struggente che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non condivide con tutti la Luce di Dio. La verità, infatti, non è un’idea astratta, ma è Gesù... Nell’incontro con Lui, il Vivente (cfr Ap 1,18) e il Primogenito tra molti fratelli (cfr Rm 8,29), il cuore dell’uomo sperimenta già sin d’ora, nel chiaroscuro della storia, la luce e la festa senza più tramonto dell’unione con Dio e dell’unità coi fratelli e le sorelle 

Come sono vere queste parole della Costituzione apostolica Veritatis gaudium di Papa Francesco vissute nel contesto dell'inaugurazione dell'anno accademico di Sophia a Loppiano.
Oggi, nell'auditorium con il corpo accademico, gli studenti e gli amici di Sophia, con il Rettore e i professori dell'Università di Perugia, ho provato davvero la gioia della Verità fatta Persona, di Gesù in mezzo a noi che infonde luce, senso di pienezza, e ci fa sentire in festa.

domenica 21 ottobre 2018

Per noi uomini e per la nostra salvezza




Quando il cielo era poche spanne sopra la terra era facile per Dio affacciarsi e guardare quanto accadeva quaggiù in basso, interessandosi delle creature. Vedeva se osservavano le sue leggi oppure no, se rispondevano al suo amore; si curava delle persone, ad una ad una; guidava il suo popolo, sapeva se camminava rettamente o se si perdeva dietro ad altri dei che tali non erano…
Agli uomini bastava alzare la testa all’insù per parlare col loro Dio; era vicino e poteva ascoltare con facilità la loro voce.

Ma è bastato elevarsi con gli aerei di linea sui quindicimila metri per vedere scomparire le persone. Quando poi le navicelle spaziali si sono posizionate in orbita attorno alla terra questa è apparsa come una splendida piccola palla azzurra che si può quasi tenere in una mano e sono scomparse anche le città. Poco più in là si dilegua anche il sistema solare e se ci allontaniamo qualche milione d’anni la nostra galassia diventa un puntino e poi nemmeno quello, in un universo di infiniti universi. Quel minuscolo uomo non è più neppure un pulviscolo, come non lo è più la terra, né il sistema solare, né la galassia della Via Lattea.
L’uomo s’è perso, non è più niente.

Ho pensato a tutto questo oggi, ascoltando Gesù che nel Vangelo dice d’essere venuto per dare la propria vita in riscatto di molti. Ma da dove è venuto? E tra tutti questi spazi infiniti senza più spazi, cosa gli interessa quel pulviscolo di Terra sparita tra milioni di galassie? Che gli interesserà poi quel niente di niente di me perduto tra i milioni d’anni luce?
Eppure ci credo. È venuto per me: “per noi uomini e per la nostra salvezza”, come abbiamo recitato nel credo. Una realtà grandissima, più grande dell’universo senza fine, che merita una gratitudine altrettanto infinita.


sabato 20 ottobre 2018

Tra voi non è così


«Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete… Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così» (Mc 10, 35-45).

Chi non vorrebbe stare il più vicino possibile a Gesù? A destra o a sinistra non importa, purché possiamo essergli accanto e condi­videre la dua gioia. Fanno bene Giacomo e Giovanni ad ambire al primo posto. Desiderare il massimo dilata l’anima e la rende capace di un rapporto sempre più vero e profondo. Perché ac­contentarsi di essere buoni quando si può essere santi? Aveva fatto bene Maria di Betania a decidere di stare accanto a Gesù, aveva scelto la parte migliore, che non le sarebbe stata tolta. Che tristez­za quando ci rassegniamo alla mediocrità, seguendoti da lontano.

Ma hanno capito bene, i due discepoli, cosa significa stare accanto a Gesù? Affermano di sì, con convinzione, invece non lo immaginano neppure. Nell’orto degli ulivi gli verrà offerto il cali­ce amaro della volontà del Padre, che gli avrebbe chiesto di met­tere la sua vita a totale servizio degli altri, di donarsi interamente, fino alla morte. Gli sarà duro accettare la volontà del Padre: grida e lacrime, angoscia e paura. Eppure Gesù desidera ardentemente compiere la missione che gli è stata affidata, per amore di tutti noi. Sarà il suo battesimo di sangue e di fuoco.

Più gli stiamo vicini, più siamo bruciati dal suo stesso fuoco e possiamo condividere la sua passione, venire coinvolti nella sua stessa missione verso una vita d’amore che si fa attenzione all’al­tro, donazione di sé, servizio concreto.
Uno stile diversissimo da quello che si vive attorno a noi. Gli stessi Giacomo e Giovanni pensavano a un posto onorifico, di privilegio, di comando, uno a destra e uno a sinistra, uno “ministro degli interni”, l’altro “ministro degli esteri”. Si ambisce al primo po­sto come segno di superiorità, a cui sono legati privilegi, corsie preferenziali, immunità, e che spesso ingenera arroganza, so­pruso, violenza…
«Tra voi non è così». È il rifiuto di un modo di agire egoistico, di parte, di un mondo in lotta per la sopraffazione dell’uno sull’altro. È l’inizio di una nuova socialità, di un mondo nuovo. Non il primo posto, ma l’ultimo. Non il comando, ma il servizio. Non il proprio tornaconto, ma il bene dell’altro. Non il proprio prestigio, ma la valorizzazione dell’altro. Una gara di solidarietà, di stima, di amore nella fratellanza.
Il prezzo? Vivere come Gesù, dare la vita come lui, bere il calice della volontà di Dio, volere ciò che egli vuole.

venerdì 19 ottobre 2018

Sono una personalità



Venendo con quanto impegno studia e come è coinvolto in tante iniziative gli ho detto:
"Diventerai una personalità".
"Lo sono già", mi ha risposto, "Sono figlio di Dio!"

giovedì 18 ottobre 2018

Preghiera a Maria


Maria, Mater unitatis,
la tua famiglia è radunata con te,
come i discepoli e le donne nel cenacolo,
in attesa di una rinnovata Pentecoste.
Tu, abituata alle discese dello Spirito,
prega con noi, prega per noi,
perché il fuoco dell’Amore
infiammi i nostri cuori:
tutti ci fonda in unità,
e il mondo creda nel Figlio tuo.

Maria, Causa nostrae letitiae,
Insegnaci ad aderire fermamente al disegno del Padre
su ciascuno di noi,
a compiere il suo volere, momento per momento,
a pronunciare con pienezza il tuo sì
che solo può ricolmare il cuore di gioia.
Rendici testimoni della gioia
come te, come i primi cristiani,
perché tutti gli uomini e le donne,
i giovani e le giovani,
possano comprendere la bellezza
del progetto di Dio su ciascuno,
il solo che possa inondare il cuore di pace.

Maria, Fedele Discepola del Signore,
insegnaci ad accogliere e a vivere
il comando del Figlio tuo,
d’amarci l’un l’altro come lui ci ha amato,
pronti a dare la vita l’uno per l’altro,
così che Lui sia in mezzo a noi,
e possa continuare a chiamare a sé quelli che lui vuole,
aggiungendo ogni giorno alla sua Chiesa i salvati.

Maria, Sposa dello Spirito Santo,
attira ancora lo Spirito nella tua Chiesa:
l’ammanti di bellezza,
la ricolmi di doni,
faccia fiorire in essa
la varietà delle vocazioni e dei carismi
e la renda strumento docile
di salvezza e d’unità
nell’intera umanità.

mercoledì 17 ottobre 2018

Padre Virgilio Baratto, missionario nel Nord Canada



Erano i primi di novembre del 1990 quando padre Virgilio Baratto mi portò con sé in foresta, fino alla sua baita sul lago. Mi trovavo in Alberta da poco più di un mese. Il tempo era bello, anche se freddo. Non era ancora comparsa la neve. Sulla moto a quattro ruote andavamo lenti lungo le piste, fermandoci di tanto in tanto per guardare da lontano un alce, scrutare le impronte dei lupi, prendere al volo una quaglia, controllare le trappole disseminate qua e là…
Giunti alla baita aspettammo che si facesse notte, poi scendemmo in barca lungo il fiume per posare le reti. Ero intirizzito dal freddo e spossato dalla fatica. La zuppa calda che mi preparò nella baracca mi rimise in sesto. Allora finalmente cominciò a raccontarmi storie di caccia e di pesca. Erano stati gli indiani Cree a insegnargli per primi i segreti delle foreste e dei laghi: la caccia, la pesca, le trappole, assieme alla lingua e ai costumi. Mi raccontò delle tante avventure con gli indiani della regione e della sua vita straordinaria.


Era nato il 26 giugno 1925 a Belluno, 14esimo di 17 figli, di cui 8 diventati suore e 3 sacerdoti, tutti nella Famiglia salesiana. Lui prese un’altra strada, quella degli Oblati di Maria Immacolata, poiché voleva essere missionario e lavorare tra gli indiani del Nord America. Ordinato sacerdote il 26 giugno 1952 a san Giorgio Canavese, fu subito destinato alle Missioni di Grouard-McLennan nel nord dell'Alberta. Nel settembre 1953 arrivò ad Halifax poi, in treno, a Edmonton, dove l'arcivescovo H. Routhier lo portò nella sua prima parrocchia a Sturgeon Lake dove avrebbe dovuto “imparare la cultura e la lingua del Cree o tornare da dove era venuto", come gli disse il vescovo.
Nell'autunno del 1955 fu trasferito a Hay Lakes e l'Arcivescovo gli disse che avrebbe dovuto imparare un'altra lingua, il Slavey-Beaver. Dopo due anni ad Atikameg, di nuovo in una comunità Cree, dove rimase fino al 1968. Mentre costruiva la sua terza chiesa e svolgeva la sua missione di pastore d’anima, padre Baratto passava il tempo libero a pescare, cacciare e catturare animali dalla pelliccia pregiata. Con quanto guadagnava aiutava le spese della parrocchia.
Nel 1968 ancora un'altra parrocchia, Marten River-Cadotte Lake, ed eccolo a costruire la quarta chiesa. Nel 1979 è a Wabasca-Desmarais. Questa volta trova la chiesa già pronta! Finalmente, dal 1989, sulle rive del Lesser Slave Lake.

La mia notte nella capanna di padre Virgilio fu breve. Al mattino presto eravamo di nuovo in barca per ritirare le reti. Era la prima volta che vedevo tanti pesci riempire la barca…
Il mio diario di quei giorni è sparito nel mio ultimo trasloco (quando ci sarà l’ultimo trasloco sparirà tutto!). Mi sono rimaste solo alcune foto. Ma ricordo ancora quei silenzi, quelle vastità, e il sorriso arguto di padre Virgilio Baratto.
Sabato scorso, 13 ottobre, è salito al cielo: questa volta il trasferimento è definitivo. Parlava otto lingue. Adesso parla la lingua degli angeli.


martedì 16 ottobre 2018

de Marion Brésillac e sant’Eugenio de Mazenod


Mattinata di studio con la commissione storica della Società delle Missioni Africane e della Suore di Nostra Signora d’Africa. È sempre una ricchezza condividere i cammini di ricerca. Vengo così a conoscenza di un brevissimo fugace incontro tra il fondatore della società, mons. de Marion Brésillac, e sant’Eugenio de Mazenod.
Nel suo viaggio in Francia in cerca di missionari e di aiuti finanziari per il suo progetto missionario, mons. de Marion Brésillac passa da Marsiglia e incontra il vescovo de Mazenod, che non riesce tuttavia ad entusiasmare per il suo progetto, anche perché ormai Eugenio è anziano e stanco.  Il vescovo di Marsiglia si mostra tuttavia molto accogliente come sempre verso i missionari.
Ecco la malinconica pagina di diario di Brésillac:

«Maggio 1856. Sono stato accolto molto ben dal Rev. P. Fissiaux che si trovava nella casa degli orfani dove mons. de Mazenod amministrava la cresima. Mi ha pregato di andare al pranzo dopo la cerimonia perché ero andato al penitenziario di St-Pierre. Sono andato, avendo così l'opportunità di conoscere il vescovo e di parlargli della mia opera. Sua Grandezza non era né freddo né caldo. Comunque rimanemmo d’accordo che la domenica seguente avrei predicato nella cattedrale. Comunque un sermone, specialmente nel tempo delle processioni, è ben poca cosa per una città così grande. Era necessario essere assecondati da persone pie e prendere contatti fuori della predicazione. Per questo, ho visitato alcune persone, ma non ho molte speranze di riuscire perché questo modo di fare non è proprio il mio. Venerdì ho pranzato dal vescovo e ho assistito alla magnifica processione del Sacro Cuore, che il brutto tempo ha molto ostacolato. Tutti sanno come riescono bene le processioni del Santissimo Sacramento a Marsiglia, nonostante le molte irregolarità liturgiche che si notano in Francia, anche nelle diocesi che hanno recuperato il rito romano.

Domenica, 1 giugno, ho dunque predicato, ma c'erano pochissime persone nella chiesa. Ciò si spiega in parte perché le processioni non sono ancora finite e perché si dice che molti di quelli che sarebbero potuti venire sono già tornati in campagna. Il vescovo non c'era, il che dimostra che ha poco interesse per l’opera, e forse che personalmente non vuole assecondarla, sebbene sia sempre onesto con me; di fatto la sera non aveva occupazioni serie che gli impedissero di partecipare ai vespri. La questua è stata relativamente buona rispetto al piccolo numero di ascoltatori...».



lunedì 15 ottobre 2018

Le promesse di Gesù: beati voi / 9



Si era raccolta attorno a lui una folla immensa. Oltre alle persone dei dintorni, la Galilea e la Giudea, ne erano giunte altre da più lontano.
Salì sulla collina, si mise seduto, e sull’immensa folla cadde il silenzio, come silenzioso era il lago che si stendeva dinanzi. Fu allora che Gesù iniziò a pronunciare parole mai udite prima di allora:
Beati i poveri.
Beati quelli che piangono.
Beati i perseguitati…
Ad ogni enunciato una promessa: il regno dei cieli, la consolazione, la visione di Dio… Promesse inaudite come inaudite era la proclamazione che le persone più disgraziate erano beate, sovvertimento dei più comuni parametri del nostro pensare.
Quando mai si era sentito dire che è beato chi piange o chi è perseguitato. Inaudito allora, inaudito adesso. Nessuno oserebbe chiamare beate queste persone. Tutt’al più ci si lascia sfuggire un: “poveretto”, non certo “beato lui”!
Gesù ha un altro modo di vedere le cose e invita a guardare la realtà con i suoi stessi occhi.
Annuncia una buona novella, la grande notizia: Dio rende felici e ricolma di gioia quelli che subiscono ingiustizie e sono nel pianto. Questa sì che è una promessa folle. È la prima grande promessa che appare nei Vangeli.

Le parole di Gesù non sono consolatorie, hanno la reale capacità di cambiare il cuore, di creare una nuova umanità.
Beato chi è povero, perché il Dio che veste i figli del campo e nutre gli uccelli del cielo si prende cura di lui, e diventa il suo tesoro. Beato anche chi si è fatto povero perché ha messo in comune i beni con chi è nel bisogno; anche lui possiede il tesoro vero. È beato perché vive come ha vissuto Gesù, che da ricco che era si è fatto povero. Così chi è povero si trova nientemeno che con un regno!
Beato chi ha creduto all’amore di Dio anche nel dolore e nella solitudine.
Beato chi piange con chi piange e si fa carico delle sofferenze del vicino.
Beato chi si lascia purificare il cuore dall’amore misericordioso di Dio e con cuore puro sa cogliere il disegno di Dio e sa farlo scoprire anche agli altri, diventando costruttore di pace…
Per tutti c’è una promessa: il regno dei cieli, la consolazione, la sazietà, la pace, la pienezza della gioia
Le beatitudini non rimando a un futuro lontano. I verbi sono al presente. Oggi si è beati, proprio perché Dio è presente adesso, qui, e investe con la sua gioia, con la pienezza di vita.
Beati perché proprio in quella concreta situazione di dolore, di sofferenza, di bisogno, giunge il Regno di Dio. Gesù si cala e si rende presente in quella concreta situazione di dolore, di sofferenza, di bisogno e la fa sua.
Si è reso solidare con tutte persone a cui promette la beatitudine. Prima di proclamare le beatitudini le vive tutte, sono la sua biografia.

Povero di spirito e puro di cuore è luminosa trasparenza di Dio. Si è fatto talmente vuoto e niente da far passare tutto e solo Dio.
Ha pianto su Gerusalemme facendosi carico della durezza di cuore del suo popolo, e hai pianto sull’amico morto condividendo ogni sofferenza. Ha patito persecuzione e ingiustizia come gli ultimi della terra. Ha fatto suo ogni nostro male così che sempre potessimo scoprirvi la beatitudine.
Mite e misericordioso ha rinunciato ad ogni forma di violenza e di vendetta, dimenticando il male che gli è stato fatto e rendendo bene per male. Ha provato fame e sete di giustizia, di rapporti veri, smascherando ipocrisie e falsità, e ha costruito relazioni d’armonia e di pace.

Egli è presente in ogni patire ed è lui la beatitudine. La sua grande promessa è quella di essere il Dio-con-noi..

domenica 14 ottobre 2018

Segni di speranza per la Chiesa



L’ufficio delle letture di oggi ci ha consegnato un testo di di Cirillo d'Alessandria
nel quale afferma che «a quanti lavorano con impegno e fatica alla sua [del tempio di Dio che è la Chiesa] edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti… Quanti dunque si adoperano a edificare la Chiesa o che sono messi a capo della famiglia di Dio come mistagoghi, cioè come interpreti dei sacri misteri, sono sicuri di conseguire la salvezza».
In piazza san Pietro oggi queste parole sembravano materializzarsi nella proclamazione della santità di papa Paolo VI.

Cirillo d’Alessandria proseguiva: «Ma lo sono anche coloro che provvedono al bene della propria anima, rendendosi roccia viva e spirituale per il tempio santo, e dimora di Dio per mezzo dello Spirito».
Ed ecco gli altri santi proclamati accanto a Paolo VI, espressione dell’intero popolo di Dio, nella ricchezza di tutte le sue vocazioni.

Oggi papa Francesco ha mostrato la Chiesa santa, che edifica il tempio di Dio.
Un invito ad essere costruttori della Chiesa, in sé e attorno a sé.
Un grande messaggio in questo tempo difficile nel quale la Chiesa sembra essere sotto attacco.
Piazza san Pietro, così gremita, è stato un forte segno di speranza.