Partito da Colonia, l’aereo fa scalo ad Hannover e da Hannover a Berlino. Una “cortina di ferro” separa l’Europa orientale da quella occidentale. Una barriera ideologica, che pochi mesi più tardi diventerà un autentico muro di cemento che dividerà Berlino in due. Ma anche senza muro mettere piede nella zona est, sotto regime comunista, è già difficile. Sono gli ultimi giorni del 1959 quando Chiara Lubich vi arriva. I controlli sono severi. Veste un cappotto pesante e porta occhiali scuri. Si volta da un’altra parte quando si accorge che qualcuno sta fotografando, ma hanno di mira il deputato Rosselli che ha viaggiato con lei. È talmente “mimetizzata” che neppure Natalia, la sua prima compagna che la sta aspettando nell’atrio dell’aeroporto, la riconosce. Si accorge che è lei dal passo. Fuori un freddo terribile, neve alta, gelata. Di filato in via Bundesring, in una casetta accogliente, a cui hanno dato nome “anello dell’unità”, tutto un programma! Cantina, cucinetta moderna, la scaletta che sale nel secondo piano, più su la soffitta...
Le piace la casa nella quale ha preso ad abitare la sua prima
compagna mandata a portare Dio dove viene negato in maniera sistematica. Non le
dà l’impressione di un focolare, è qualcos’altro, «è come tutto il Cielo
radunato in un unico posto! – racconterà più tardi – come ci fosse dentro, come
in un chicco di grano, tutta l’Opera di Maria: una Mariapoli!». Fuori la neve
bianca e il cielo azzurro, quasi a simboleggiare Maria. «Si sentiva l’amore, la
carità, Gesù in mezzo così denso che c’è neanche nella Mariapoli lassù [sulle
Dolomiti]... perché c’era tale amore fra noi che bastava quello. Qui occorre la
testimonianza, e questa c’è». Stilano un elenco di quello che occorre per
allestire i letti, la tavola... Manca il magnetofono, una macchina da scrivere,
l’impianto di cuffie, ci vogliono almeno una decina o una quindicina di cuffie…
Iniziano subito a sognare: i raduni più importanti li faremo in cantina, il
luogo meno sospetto, dove nessuno sente, ed è caldo e asciutto... «Natalia è sola,
come un filo d’erba che va su su verso il cielo, ma un filo d’erba! Con intorno
una “ghiacciaia”, ma con Gesù in mezzo, tutto si scioglierà». Intanto tre o
quattro persone vengono in casa e vogliono conoscere. Confidano che si sentono
abbandonati dalla Chiesa, da Roma: sono la “Chiesa del silenzio”. Una volta
tornata a Roma, Chiara, il 18 gennaio 1960 racconta di quell’incontro.
Spiego dell’attimo presente. Avendo davanti l’eternità, all’inizio vedevamo il tempo con il rallentatore, perché volevamo consumare bene ogni minuto, così abbiamo capito il valore del momento presente, l’unico in mano nostra per dar gloria a Dio… A un dato momento uno mi domanda: “Spiegami Gesù abbandonato”. Allora ho detto come si è rivelato questo mistero. Ci siamo sentite attratte da questo grido di Gesù. Gesù abbandonato: chiave per aprire l’unità ogni volta che fra noi si rompe. E mi pareva di aver già detto tanto, ma uno di loro prosegue: “Qual è il motivo recondito che vi spinse a venire da noi, ad aiutare noi?”.
Se c’è un motivo, se
c’è un unico scopo, è stato proprio Gesù abbandonato. Non lo vediamo solo come
colui che risolve i problemi personali e della nostra collettività. Andiamo in
Brasile perché là c’è una sterminata popolazione che vorrebbe essere cattolica,
ma mancano gli operai ed è un pezzo del Corpo mistico che, in un certo modo, grida
alla Chiesa: “Perché m’hai abbandonato?”. Noi amiamo Gesù abbandonato fra i
protestanti, perché c’è qualcosa che separa, allora vediamo in loro la figura
di Gesù abbandonato. Come Gesù nell’abbandono non è stato abbandonato dal
Padre, però ha provato come uomo tutto il senso dell’abbandono del Padre, così
la “Chiesa del silenzio” è del silenzio non perché è abbandonata dalla Chiesa,
da Roma, però sente tutto l’abbandono di Roma. La nostra anima, l’anima dell’Opera
di Maria, è come la sposa del Cantico che, per cercare lo
Sposo, lascia la città abitata, va nel deserto, fuori oltre le mura, perché sa
che lì lo trova.
Si sono messi a
piangere, ma non era un pianto di dolore, era un pianto di gioia, di persone che
hanno aspettato, aspettato, aspettato, creduto, creduto, creduto contro tutte
le evidenze, e Dio arrivava loro.