Questa non è una
santa di Prato, è “la” santa di Prato.
Il nostro itinerario
dovrebbe iniziare da Firenze, dal palazzo della famiglia de Ricci, in piazza dell'Annunziata, dove è nata
nel 1522, e subito dopo nel vicino convento di Monticelli dove ha studiato da
bambina.
Prosegue poi in via
Galcianese, alle “quattro strade” dove possiamo ancora vedere l’antica casa di
villeggiatura della famiglia, dove la piccola Caterina passava le vacanze
correndo per i campi.
In quel periodo,
quando aveva 10 anni, avrà conosciuto il giovane Filippo Neri prima che questi
lasciasse definitivamente Firenze? Un giorno mostrarono al santo il ritratto di
Caterina ed egli esclamò: “Non è il suo vero ritratto… Suor Caterina era più bella…;
aveva un volto ridente e gioviale”. Quel volto di bambina, vista per le strade della
città, gli era rimasto impresso per sempre.
Il nostro itinerario
si dirige decisamente verso il monastero di san Vincenzo, davanti al convento
di san Domenico, dove entra a 14 anni e rimane fino alla fine della vita, nel
1590. Dovremmo quindi chiedere alle monache Domenicane di farci entrare nel
convento, per vedere da vicino il corpo inconsunto della santa, la sua cella
con il Crocifisso che l’ha abbracciata e che lei ha abbracciato, i chiostri, i
corridoi…
Grande mistica santa Caterina de Ricci, da far concorrenza alle altre
due grandi mistiche toscane: Caterina da Siena e Maddalena de Pazzi. Mistica che ha vissuto
fisicamente esperienze interiori. Il 16 giugno 1541, festa del Corpus Domini, Gesù
le cambia il cuore, dandole un cuore nuovo che le consente di stare in colloquio
ininterrotto con lui e con Maria. La mattina di Pasqua dell’anno successivo – Caterina
ha 20 anni – giunge il “matrimonio spirituale”; Gesù le impone un anello d’oro smaltato
di rosso con un diamante bellissimo e le dice: «Questo
ti do io in segno che tu sarai sempre mia, e in segno che mai sarai ingannata dal
tentatore».
Non mancano estasi, luci, locuzioni, profumi... Questo nei primi anni. Poi il
silenzio, fino a quando confida la sua notte a Maria Maddela de Pazzi senza
averne risposta.
Chissà perché quando si
pensa alla mistica si ha spesso l’idea un po’ romantica di una vita evanescente,
persa nell’aria, quasi che per immergersi in Dio si debba vivere nel disinteresse
delle situazioni concrete della vita.
Visitando la chiesa
potremo ammirare i bassorilievi che ne raccontano la vita: la ritraggono sempre
sulle nuvole. Nel bassorilievo sull’altar maggiore il Crocifisso si stacca dalla
croce e l’abbraccia, stando sulle nuvole; in quelli laterali Cristo le impone l’anello
delle mistiche nozze, le muta il cuore, le appare Risorto, sempre sulle nuvole;
ancora: la Vergine le dà in braccio Gesù Bambino, le dà la corona di spine,
sempre sulle nuvole; oppure, stando sempre sulle nuvole, la santa salva un carmelitano
in pericolo di annegare, o appare a san Filippo Neri. C’è un bassorilievo solo senza
nuvole: la raffigura mentre guarisce una bambina cieca e storpia.
Per raccontare la sua
storia basterebbe descrivere ad uno ad uno gli episodi significativi raccontati
dai bassorilievi. Ma ne verrebbe fuori una santa… tutta sulle nuvole. Una santa
da far rimanere a bocca aperta. Ma a cosa serve una santa sulle nuvole a noi poveri
mortali che abbiamo i piedi per terra e siamo presi dagli affanni e dalle preoccupazioni
di ogni giorno, che dobbiamo combattere con il traffico, con i figli che fanno confondere,
con i debiti…?
È meglio far scendere
la santa dalle nuvole, per vedere se sapeva camminare con i piedi per terra e se
può insegnare qualcosa anche a noi. Basta prendere in mani le sue lettere per renderci
subito conto che non dobbiamo per niente tirarla giù da chissà quali altezze. I
piedi li aveva ben piantati in terra, come tutti i santi (altrimenti non sarebbero
diventati santi). Eccola affaticata a trovare lavoro per le sue suore perché possano
vivere. È sorprendente la lettera che, quando ormai è superiore del monastero, scrive
al Granduca Cosimo de’ Medici. Parlando delle sue monache non gli dice, come ci
si aspetterebbe da una mistica, che nel monastero ci sono 170 “anime”, o “suore”,
ma 170 “bocche”, “et in molta povertà costituite”, che si trovano in “mancamento
di grano”. Avrà certamente presente le loro anime, ma intanto deve sfamare 170 bocche
e si dà da fare per provvedere i telai per tessere la lana. Deve far fronte ai lavori di ristrutturazione del monastero, trovare aiuti e mezzi di sussistenza per poveri e ammalati che vengono costantemente
a bussare alla porta.
A un suo figlio spirituale domanda se ha da vendergli trentacinque o quaranta
barili d’olio, «ma che sia olio dolce e buono», gli raccomanda; pagherà il giusto,
ma con comodo «perché non abbiamo ora denari alla mano». E se lui non ha l’olio
che veda da chi comprarlo per loro, e che intanto anticipi i soldi «perché non sappiamo
più dove ci volgere per accattar denari».
Non le mancano le preoccupazione per parenti e conoscenti. Le viene il crepacuore
al pensiero che il papà e lo zio sono in lite per questioni di soldi: scrive che
«mi avete molt’afflitta» e li supplica di «riunirsi e pacificarsi insieme». Vale la pena leggere alcune
righe della supplica che rivolge al padre perché perdoni il fratello: «Vi voglio
pregare, per le viscere di Giesù Cristo, che c’à tant’amati: ch’esendo noi quelli
che l’aviamo tant’offeso, non s’è sdegnato di umiliarsi a noi e fare per noi penitenzia.
O non disse lui – essendo da’ giudei crocifisso tant’ingiustamente –: “Padre, perdona
alle mia crocifissori, che non sanno quello si facciano”? Così voglio ch’ancor voi
facciate, benché le ragioni fussero vostre».
E poi Caterina deve far
fronte alle ingiustizie, alle calunnie, alle malattie, alle morti… Li aveva e come
i piedi per terra.
Ma bastano i piedi per
terra per diventare santi? Ci vuole anche il cuore in Cielo. Il segreto della santità
di Caterina de Ricci era proprio la fede che le faceva vedere tutto venire dal Cielo,
tutto come volontà di un Dio che è amore e che vuole il nostro bene: «non avvenendo
nulla senza il suo divin volere». Non era automatico neanche per lei, naturalmente:
«Conosco e vegho certo che, quando una persona si trova nelle angustie… è molto
duro il persuadersi che sieno il meglio nostro». Eppure, con la fede nell’amore
di Dio, «facilmente riceverem’ogni cosa dalla sua santissima mano, con un cuore
tutto contento, e ringraziandolo sempre ch’adempia sopra di noi il suo santissimo
volere».
Così scrive alla mamma:
«Bisogna che la nostra carissima madre el’mio onorando padre si conformino con la
volontà loro al Creatore, il quale permette tante tribolazioni acciò non ci appicchiamo
a questo mondo e abbiamo causa di riconoscere il nostro Dio buono (…) che Gesù ci
ama, ci promette molto bene acciò diventiamo oro perfetto nella fornace della tribulazione».
In concreto le suore si
faranno sante facendo le suore, osservando quello che la regola chiede loro, ma
«allegramente e volentieri», anche quando le osservanze «son faticose ed è com’il
martirio». Mentre i laici devono farsi santi stando nel mondo, compiendo i loro
doveri «con quiete di mente, con dirizzare tutte le loro operatione a lui [a Dio]
et – secondo che può capacitare la fragilità humana – hunirsi a lui, ma allegramente».
L’importante – scrive
in un’altra lettera – è che nel compiere il volere di Dio «siate allegro e tegniate
el vostro quore pieno di Jesù, nel quale guardarvi che non vi entri manichonia né
accidia, che non potrebbe starvi Jesù, - ché lui non vi vuole questi ornamenti,
ma si bene di pace, di quiete e di uniformità al voler suo». Il frutto? La gioia!
«Chi ama Giesù con tutto il cuore, ogni cosa è dolce e suave».
Non c’è bisogno di tirare
santa Caterina giù dalle nuvole. Nonostante gli iconografi l’abbiano messa tanto
in alto, lei è accanto a noi, come tutti i santi e a noi, da qui, indica la via
del Cielo, quella buona per tutti: prendere tutto direttamente dalle mani di Dio.