sabato 30 novembre 2013

Maranathà, Vieni Signore Gesù

“Nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti”
Così il Vangelo della prima domenica di Avvento.
“Non si accorsero di nulla”. Un evento straordinario stava per accadere sulla terra e loro erano tutti intenti in attività importanti, ma non nell’unico necessario; presi dalle molte cose, paghi degli affari ordinari, con gli occhi bassi, senza mai alzare lo sguardo verso l’altro e senza capire il perché del loro giusto affannarsi.
Così al tempo di Noè, così oggi.
Siamo tutti sempre di corsa, occupati in mille iniziative, intenti a costruire la nostra città terrena. Così dobbiamo fare (a parte la corsa!) in obbedienza al comando delle origini: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela…”. Dobbiamo mangiare e bere, prendere moglie e marito… Quello che spesso dimentichiamo è “perché”. Sarebbe come se, durante un viaggio, dimenticassimo la meta e ci perdessimo per strada.
Tutto ha un senso, una direzione, un fine, una meta: l’incontro con Dio.
Ogni gesto, ogni azione, un passo che ci avvicina a Lui. Camminiamo godendo delle piccole gioie che dissemini lungo la strada, ma senza fermarci ad esse. Compiamo con impegno (o almeno vorremmo) il lavoro da svolgere, attenti che tutto sia amore e donazione, ma per prepararci all’incontro con Dio, così da non arrivare a mani vuote. Perché quell’incontro ci sarà, anche se non sappiamo quando e come. Ci ha fatti per quello, viviamo per quello.
Oggi inizia l’anno liturgico, parabola del cammino della nostra vita e di quella della storia di tutti i tempi. Fin dai primi passi dovremmo sapere dove stiamo andando. Il Vangelo ci sveglia, ci inviti a rimanere attenti a quello che sta per accadere, così da essere pronti per la venuta del Signore.
Pronti? Lo saremo mai? Forse basta tenere acceso il desiderio di quell’incontro, l’attesa trepida e impaziente, l’adempimento di quanto Egli ci chiede di compiere, momento per momento, la preghiera che, fin dal primo secolo, fioriva sulle labbra dei cristiani: “Vieni, Signore Gesù”.

Vieni, Signore Gesù,
l’Alfa e l’Omega,
il Primo e l’Ultimo,
il Principio e la Fine.
Vieni, Signore Gesù,
speranza sempre viva,
attesa inconsapevole
di ogni creatura.
Sì, vieni, vieni presto.


venerdì 29 novembre 2013

Nove Santuari per una novena dell’Immacolata

Incoronazione del 1913

Inizia la novena dell’Immacolata, con il canto “Tutta bella sei, Maria e il peccato originale non è in te”.
Agli Oblati è particolarmente cara perché proprio durante la Novena che si teneva alla chiesa romana dei XII apostoli, sant’Eugenio ebbe l’ispirazione di dare alla sua famiglia religiosa il nome di Oblati di Maria Immacolata.
Qui a casa quest’anno la celebriamo in maniera un po’ originale: ogni giorno andremo idealmente in uno dei tanti santuari mariani tenuti dagli Oblati nel mondo: Sud Africa, Sri Lanka, Stati Uniti, Sud America, Polonia, Austria…
Oggi abbiamo iniziato dall’Italia, con la storia, la devozione, le preghiere del santuario di Santa Maria a Vico, Caserta.
Ed abbiamo pregato così:


Incoronazione del 2013
Maria,
sei stata colmata di grazia,
resa Immacolata dall’amore infinito dell’Altissimo:
rendi anche noi aperti ai doni di Dio
e fa che la Chiesa sia bella come tu lo sei
senza più macchie né rughe,
capace di far risplendere nel mondo
la bellezza del tuo Figlio, il Signore Gesù.
Hai detto di sì,
senza riserve,
a quanto Dio ti chiedeva:
insegna anche a noi la libertà di cuore
per dire, nel tuo sì,
il nostro sì ad ogni invito dello Spirito
e venga ancora Gesù a vivere tra noi
come in te si fece carne
per la vita del mondo.

giovedì 28 novembre 2013

I 22 Oblati martiri spagnoli


“Sappiamo che ci uccidete perché siamo cattolici e religiosi. Lo siamo. Tanto io come i miei compagni vi perdoniamo di cuore. Viva Cristo Re!”. Era il 28 novembre 1936.
Il neo sacerdote Gregorio Escobar aveva scritto alla sua famiglia: “Sempre mi hanno commosso fino al più profondo dell’animo i racconti dei martiri che sono sempre esistiti nella Chiesa, e mentre li leggo sento  un segreto desiderio di andare incontro alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire tutti a Dio il proprio corpo e sangue in olocausto per la fede. Che fortuna sarebbe morir per Cristo!
Morirono in 22, tutti giovani Oblati di Spagna, assieme ad un amico padre di famiglia, facendo professione di fede e perdonando i carnefici. Malgrado le torture psicologiche subite durante la crudele prigionia nessuno apostatò, né perse la fede, né si lamentò di aver abbracciato la vocazione religiosa.

Oggi ne abbiamo celebrato la memoria.

mercoledì 27 novembre 2013

La Chiesa della gioia di papa Francesco


Sorpresa: un documento sull’evangelizzazione incentrato sulla gioia. Non mi risulta che i trattati di missiologia mettano a tema la gioia. Un anno fa il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione si concludeva con l’offerta al papa di 58 “proposizioni” sull’argomento, materiale dal quale egli avrebbe dovuto attingere per una sua Esortazione apostolica. La parola gioia vi appariva due volte soltanto, e in maniera del tutto insignificante. L’Instrumentum laboris aveva intitolava il capitoletto conclusivo: “La gioia di evangelizzare”, ma si trattava appunto di una chiusura indovinata e niente di più. Eppure il primo annuncio missionario, quello rivolto da un angelo ai pastore di Betlemme, fu un esplicito annuncio di gioia, anzi, di grande gioia: “Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”. 
Nuova nella tematica, l’Esortazione è tale anche nel modo di esprimersi. Papa Francesco scrive come parla. Il primo capitoletto – “Gioia che si rinnova e si comunica” – più che leggerlo lo si ascolta, e si sentono le sue solite espressioni familiari del tipo: “Ci fa tanto bene tornare a Lui… Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”. Anche quando affronta una serie di riferimenti biblici un po’ formali, non evita di trasmettere il suo sentire personale; citando il profeta Sofonia scrive ad esempio: “Mi riempie di vita rileggere questo testo”. Oppure, senza mezzi termini, con stile colloquiale, denuncia quei cristiani “che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”. Non rinuncia neppure ad attingere, come suo solito, a esperienze personali passate e a confidare “le gioie più belle e spontanee” di cui è stato testimone. Ancora una volta si dimostra vicino alla gente, che capisce e dalla quale si fa capire. Sa comprendere anche “le persone che inclina­no alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire”.
L’esperienza e la vicinanza gli consentono di ritrarre fin dalle prime righe, senza inutili preamboli e in poche essenziali pennellate, un quadro di efficace contrasto tra la tristezza nel quale nuota tanta nostra gente e la gioia che caratterizza il seguace di Cristo.
Mi ha colpito l’aggettivo con cui ha colorato la tristezza: “individualista”; e la sua origine: una coscienza “isolata”. La tristezza si dimostra infatti figlia di una vita interiore che “si chiude nei propri interessi”, al punto che “non vi è più spazio per gli altri”. Paradossalmente, secondo papa Francesco, è proprio l’esclusione dei poveri a dare tristezza. Sembrerebbe vero il contrario. Eppure è proprio l’amore come apertura, come dono di sé, come “entusiasmo di fare il bene” - felice espressione -, che dà gioia.

Così, già dai primi numeri del suo scritto, papa Francesco manifesta in cosa consiste per lui la gioia: nel rapporto, nella comunione, a cominciare da Gesù, al punto da farne l’incipit dell’Esortazione apostolica: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. 

martedì 26 novembre 2013

La gioia del Vangelo

La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono libera­ti dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.

È l’inizio dell’Esortazione apostolica di papa Francesco.
Un inizio… che mette gioia!
Anche Paolo VI, il 9 maggio 1975, ci aveva dato una Esortazione apostolica sulla gioia, Gaudete in Domino (e le prime due citazioni che fa papa Francesco sono proprio tratte – non a caso – da questo documento di Paolo VI).
Ma questa volta la gioia è coniugata con l’evangelizzazione, e questa è una cosa proprio nuova!
Eppure il primo annuncio missionario, quello rivolto da un angelo ai pastore di Betlemme, fu un esplicito annuncio di gioia, anzi, di grande gioia: Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”. 
In ogni caso, bando a quei cristiani “che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”.

lunedì 25 novembre 2013

Luoghi di Roma: Carrozzella romana

Il Panteon.Chi rimane incantato dalla sua maestosità, chi dalla straordinaria ingegneria, chi dal mistero che nasconde. A me è caro perché c'è un mio amico al quale, con 10 euro, ho comprato un sacco a pelo nel quale ci dorme la notte, proprio lì, nell'atrio dalle colonne più grandi che ci siano al mondo. 
Mi è caro soprattutto per la sua piazza sempre in festa e per le carrozzelle parcheggiate in permanenza, che presto gli animalisti faranno sparire. Sparirà anche un po' della poesia di Roma, che si continua a cantare sulle vecchie melodie:

Carrozzella romana che porti
e che senza pretese
sei na reggia più bella dei sogni
fugaci d'amor.
Trotta trotta morello sui ponti
del Tevere ancor
carrozzella romana tu rendi felice
ogni cuor.

domenica 24 novembre 2013

Amare con il cuore


La principale reliquia che gli Oblati possiedono del loro fondatore è il cuore. Diviso in piccoli frammenti è presente in tutti i continenti in una teca simile sulle quali sono scritte le parole che egli pronunciò nel momento della sua Pasqua, sintesi della sua vita e del suo insegnamento: «Tra voi la carità… la carità… la carità… e al di fuori, lo zelo per la salvezza delle anime». Il modo nel quale è stata conservata la reliquia sembra dire che al centro del carisma missionario di sant’Eugenio c’è il suo cuore, da cui tutto è partito e che tutto ha sostenuto e continua a sostiene. Come dire che l’anima di tutto è l’amore
«Sì, ho un cuore e amo con vero e tenero affetto... Sono convinto di aver ragione nel­l’amare gli uomini», rispondeva con convinzione Eugenio a chi lo accusava di essere troppo sensibile. Misurava il suo cuore su quello di Gesù e da quello attingeva l’amore: «La festa del Sacro Cuore è la festa dell’amore di Gesù Cristo per gli uomini. Bisogna dunque amare gli altri con la forza dell’amore di Cristo». «Non posso fare altro che ringraziare Dio per avermi dato un’anima capace di comprendere meglio quella di Gesù Cristo, nostro Maestro, che ha formato, che anima e che ispira la mia… Sant’Eugenio amava col cuore!
È l’amore la chiave di lettura di tutta la sua vita. Un amore appassionato e intelligente che gli fa riconoscere i segni dei tempi e lo lancia a rispondervi senza risparmio di energie. Un amore comunicativo e coinvolgente, capace di trascinare dietro a sé giovani pronti a condividerne gli ideali e le azioni. Un amore che si rivolge prima a quanti lo circondano nella città natale, Aix-ex-Provence, poi nella regione circostante, poi in tutta la Francia, fino a quando, ormai incontenibile, esplode e si dilata nei continenti. Un amore che mostra in sant’Eugenio “un cuore grande quanto il mondo”.

Il corso per i nuovi superiori che si è tenuto in queste due settimane qui alla casa generalizia, si è concluso con una sentita preghiera al termine della quale la reliquia del cuore dei Sant’Eugenio è passata di mano in mano e ognuno ha chiesto di rivivere il suo stesso amore.

sabato 23 novembre 2013

L’Assunta di Santa Maria a Vico


Re Ferdinando I d'Aragona, alla testa dell'esercito andava alla guerra, come sogliono fare i re (purtroppo). Passando innanzi ad una cappella con una bella statua della Madonna bizantina, venuta dall’Oriente attorno al 1100, fece voto di costruire in quel punto un santuario se fosse tornato vittorioso. Al ritorno, vittorioso, stava per passare oltre, ma il suo cavallo si inginocchiò innanzi alla cappella. Allora diede ordine di edificazione una chiesa, che vide la luce nel 1492 assieme ad un vasto convento. Dal 1902 il Santuario e il convento sono affidati ai Missionari Oblati di Maria Immacolata.

Oggi sono andato a trovarvi gli Oblati anziani e ammalati. È bello incontrare i nostri vecchi, che hanno dato la vita per Gesù e la sua Chiesa e che ancora continua a vivere per la missione. È stata una festa, naturalmente.
Ed è stata l’occasione anche per salutare Maria e celebrare la messa nel suo santuario, sempre più splendente, con le sue innumerevoli opere d’arte, un vero gioiello che testimonia l’amore e la devozione per Maria.
Cento anni fa gli Oblati fecero incoronare l’immagine dalla Madonna. Dopo cento anni l’hanno fatta nuovamente incoronare, questa volta per mano di monsignor Comastri, vicario di Sua Santità in Città del Vaticano. In una intervista molto viva il vescovo ne spiega il significato:

venerdì 22 novembre 2013

Padre Angelo, nel ricordo degli amici

José Damián Gaitán de Rojas, carmelitano, professore di teologia spirituale, da Madrid:
Ricordo con vera riconoscenza come p. Anelo mi accolse a Vermicino, con un altro mio compagno, quarant’anni fa, nel mese di marzo del 1973, per il mio ritiro di preparazione per l'ordinazione sacerdotale. Da quel momento lui è rimasto sempre nel mio cuore. In questi ultimi anni ci siamo visti diverse volte, ma lui non si ricordava di quel mio ritiro. Forse perché quella era soprattutto una mia esperienza. O forse a ragione dell'età. Ma forse anche perché l'ho visto sempre distaccato da tutto, senza nessun desiderio di protagonismo, come se avesse soltanto il desiderio di essere testimone, in questa nostra storia umana, di colui che è l'Eterno. Non era ingenuo, certamente. Sapeva bene quel che voleva. Ma era pure semplice e gioioso come un bambino del regno di Dio: è quello che mi sembrava di vedere sempre in lui. Quanto deve la mia vita a questi Oblati così trasformati dal carisma di Chiara, e a quei posti, per me sacrosanti, come Marino e Vermicino!

Costantino da Santa Maria a Vico (Caserta):
Io ho avuto la grazia di conoscere P. Angelo e ieri sera, quando mi sono trovato con un gruppo di ragazzini a cui insegno a strimpellare la chitarra nella Basilica dell'Assunta a S. Maria a Vico, dove è stata scattata questa foto che hai pubblicato ieri sul blog, abbiamo suonato e cantato "Gioco d'amore", sperando che lui, dal Paradiso, ci abbia sorriso a sentire qualche accordo sbagliato o qualche stonatura. 

E ora la parola a padre Angelo:
- Vermicino – 23-02-2013
“… Maria: la porta aperta verso Dio… perché arrivi solo Dio bisogna che noi non siamo, come Maria, trasparenti e per essere trasparenti bisogna essere sempre Amore verso gli altri…” (Castel Gandolfo 30-12-02)
“Siate perfetti dunque voi perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto” (Mt. 5, 21-48)
Mia povera esperienza di questi giorni. Dio Padre Amore – Gesù, Figlio amore – Spirito santo Amore, Maria = piena di grazia è Madre di Dio e nostra: LORO sono in me-noi.
LORO mi conoscono – mi, ci amano – sperano in noi-me io.

Sono nell’Abbandono nello Sposo Abbandonato-Risorto.

giovedì 21 novembre 2013

Un arcobaleno per padre Angelo


Lungo l’anulare, sulla strada per Vermicino, questa mattina in cielo splendeva nitidissimo l’intero cerchio dell’arcobaleno. L’avranno disteso gli angeli, particolare dei grandi preparativi fatti lassù per accogliere padre Angelo in Paradiso.
Noi, qui in terra, ci siamo limitati ad una celebrazione più semplice, ma non meno bella: la messa del funerale presieduta dal cardinale Antonelli con più di 50 concelebranti, tanti amici, una rappresentanza nutrita dei 72 nipoti.
Speriamo che il provinciale, p. Alberto Gnemmi, ci mandi l’omelia che ha tenuto, un autentico capolavoro che ci ha aiutato a ripercorrere le tappe del limpido cammino spirituale di p. Angelo.
Per oggi mi basta trascrivere alcune righe del profilo che il Maestro di noviziato ha redatto per i superiori in vista della sua ammissione ai voti :
“Eccellente spirito di fede. Molta pietà. Molto zelo. Umile. Distaccato. Mortificato. Molto regolare: esatto in tutte le sue cose.
Docile, sottomesso, aperto coi Superiori.
Socievole, caritatevole, amante della vita comune.
Molto attaccato alla vocazione… Ama molto la Congregazione. Grande entusiasmo per le nostre Missioni.
Vita spirituale molto intensa: programma spirituale che si è tracciato da se stesso, entrando in Congregazione: vittima con Cristo per la salvezza delle anime per mano di Maria: vivere nell’umiltà, nell’amore al sacrificio. Uno dei migliori novizi per fervore e serietà.
Ottimo elemento: forse il più completo".

mercoledì 20 novembre 2013

Padre Angelo Dal Bello: È tutto un gioco d’amore


Sempre riaccendo il mio lume
Sempre si spegne perché?
Forse perché mi vuoi dire
ch'è tutto un gioco d'amore.
Nel nostro immaginario questa antica canzone del Gen Rosso è indelebilmente legata a padre Angelo. Negli anni della contestazione andava in giro per tutta Italia con il mangiadischi e i 45 giri, di cui questo era diventato il suo cavallo di battaglia. È così che faceva strage di cuori e conversioni.
L’abbiamo riascoltata questa sera, mentre tra noi facevamo memoria di lui, ora che gli angeli gliela stanno cantando in paradiso.

Chissà quante testimonianze raccoglieremo in questi giorni.
La prima che mi è arrivata è questa:
“In lui sentivo quella freschezza dello sguardo, uno sguardo contemplativo, ultimamente ancora di più, come se non vivesse già più qui con il cuore... lui contemplava da un pezzo quello di cui adesso certamente partecipa in pienezza”.

Intanto i primi brani del suo diario, che aveva intitolato "Verba intima":
- "La gioia di Dio è la mia forza"… E Gesù mi dice: entra nella nostra gioia, nella gioia del Padre. (Marino 14-3-93)
- Questa notte ho sognato lo Sposo. Un sogno senza cornice. Lui era tutto: era uno con me, io ero uno con Lui. Mi sono svegliato con tanta gioia al mattino. Mi è sembrato un sogno lungo, durato tutta la notte. (Marino 15-3-93)

Per questa sera basterà tornare ad ascoltare la sua canzone:
Volevo offrirti dei doni
un vaso colmare di virtù
ma sempre vuoto è il mio vaso
e sempre spoglia la casa.
Prendi, Signore, il mio nulla.
Quel che io sono ti do.
Come un bambino che piange
poi guarda un alto e sorride,
metto e rimetto una veste
come in un gioco d'amore.
Vengo, continuo a giocare
questo mi basta perché
so già che tu vincerai,
solo m'importa d'amare.
Sempre ricerco il Tuo volto;
sempre ritorno da te.
In quell'istante so amare,
cogli, Signor, questo fiore
ho messo ancor la tua veste,
continuo il gioco d'amore

martedì 19 novembre 2013

Nell’isola risplendente


Il benvenuto all’aeroporto lo dà una grande statua del Buddha che campeggia nella hall d’accoglienza dei passeggeri. Penso per un attimo all’effetto che farebbe a Fiumicino la statua del Sacro Cuore… Ma qui siamo nello Sri Lanka, dove la religione – il buddhismo, così almeno appare subito evidente – è parte essenziale dell’identità nazionale.
Appena in città il canto che giunge dalle moschee mi ricorda che è la festa della fine del digiuno del Ramadan. Che sia l’Islam la religione dello Sri Lanka?
A Colombo, dove sono di passaggio, mi imbatto in uno dei santuari più famosi della città, la chiesa di Sant’Antonio da Padova. Entro e sono travolto dalla fila di persone che si affollano davanti alla statua del santo per toccarlo, portarsi le mani al volto in segno di benedizione, lasciare un fiore, accendere una candela. Che sia il cristianesimo la religione dello Sri Lanka?
Ma proprio davanti alla chiesa vedo un tempio indù…
Inizia così il mio reportage sullo Sri Lanka pubblicato da Città Nuova:
http://rivista.cittanuova.it/FILE/PDF/articoloCN27602.pdf

lunedì 18 novembre 2013

I colori dell'autunno in Corea


“Ti mando un caro saluto dalla mia terra.
E qualche foto.
In questo periodo è molto bello perché gli alberi cambiano i colori.
L'autunno della Corea è incantevole!”


Così un dei tanti miei ex alunni coreani.

domenica 17 novembre 2013

Padre Liuzzo grande perché capace di perdere la sua Opera

Dieci anni fa moriva p. Gaetano Liuzzo, un Oblato di fuoco, appassionato per la missione e capace di infiammare e appassionare tanti giovani alla missione. Ne ha attirati più di quaranta che sono partiti per le più varie parti del mondo. È stato il suo modo di “vendicarsi” per non aver potuto realizzare il suo sogno di andare in missione.
L’opera più grande a cui ha dato vita è indubbiamente l’Istituto secolare delle Cooperatrici Oblate Missionarie dell’Immacolata, i cui membri oggi, assieme agli amici, si sono ritrovate nella nostra casa generalizia per celebrare il suo anniversario. Una mattinata con tante immagini, testimonianze, ricordi, culminata con la messa presieduta dal Superiore generale degli Oblati. Le COMI sono a casa loro nella nostra casa, perché dall’inizio hanno voluto esprimere il volto femminile degli Oblati.
Due anni fa, accingendomi a scrivere la biografia di p. Liuzzo, mi ero domandato: Sarà veramente un santo? E mi ero risposto: Lo scoprirò a mano a mano che percorro la sua vita; vorrò vedere se e quando apparirà qualche elemento che mi convincerà. Così sono andato avanti conoscendo tante momenti belli della sua vita: l’ardente desiderio di seguire Gesù, le molte iniziative per suscitare l’amore per le missioni, il lavoro con i giovani, i laici, i seminaristi, la fondazione dell’Istituto secolare, l’invio delle sue figlie all’estero… Vedevo una persona che piano piano finalizzava doti ed esperienze nella fondazione e nella guida di una nuova famiglia nella Chiesa di un centinaio di giovani donne che si consacravano a Dio pur rimanendo pienamente laiche, e che giustamente lo chiamavano “Padre”. E lui si sentiva tale, loro padre.
P Liuzzo, essendo un Oblato, nel fondare una nuova opera, presto approvata dalla Chiesa, trasmetteva la grazia che aveva ricevuto dal suo fondatore, sant’Eugenio. Non poteva essere diversamente. Dal carisma fecondo di sant’Eugenio de Mazenod sono nati una quarantina di istituti religiosi e secolari. La linfa delle radice del grande albero ormai secolare alimentava adesso un altro nuovo ramo.
Le COMI divennero lentamente consapevoli di questa radice da cui p. Liuzzo attingeva e di cui era espressione. Cominciarono così a pensare che il loro vero fondatore carismatico fosse sant’Eugenio. La funzione di p. Liuzzo sembrò ridimensionata: era semplicemente il fondatore storico. Quando esse iniziarono ad esprimere questa loro convinzione, p. Liuzzo non batté ciglio e aderì completamente a tale visione.
Quando, scrivendo la biografia, sono giunto a questo punto della sua vita, mi sono reso conto della sua santità. Di fatto gli veniva chiesto di “perdere” l’opera cui aveva dato vita, quasi non ne fosse più lui il padre. Per essa aveva pazientato, lavorato, sofferto, lottato… Era la sua grande opera. E ora era come gli venisse tolta. Uomo di Dio doveva dimostrare di essere distaccato da tutto, anche dall’opera di Dio, per Dio. Compiendo questo passo mi è sembrato che abbia dato il tocco definito al proprio cammino di santità: ha donato a Dio quello che aveva di più caro per avere soltanto Dio, perché l’opera di Dio non è Dio e p. Liuzzo, tramite questa prova, ha dimostrato che Dio è Dio: è stata l’occasione per una nuova radicale e totale scelta di Dio.

sabato 16 novembre 2013

Mi fido di Te

Sono una ventina i superiori maggiori nominati da poco, proveniente da tutte le parti del mondo per un corso di apprendistato sul loro nuovo compito. Oggi ho guidato il loro ritiro. Essendo alla vigilia della chiusura dell’anno della fede ho parlato naturalmente della fede.
A volte la fede sembra qualcosa di tanto lontano, mentre invece è semplicemente il rapporto con Gesù, l’adesione completa di tutto se stello a lui, alla sua parola, alla sua vita.
La parola che in questo momento mi sembra la più vicina a “fede” è “fiducia”. La fede è fidarsi di lui, qualunque cosa ci chieda. Anche quando quello che sembra impossibile, assurdo. Non si capisce niente… ma ci si fida lo stesso, perché sappiamo che Dio è Dio. Come dunque non fidarsi di lui? tanto più che sappiamo che quanto chiede viene dal suo amore.

venerdì 15 novembre 2013

Gli esami non finiscono mai




Gregory, con la sua tesi sulla conversione del Dalit, è stato proclamato dottore. La difesa, che oggi si è tenuta all’Accademia Alfonsiana, davanti a tre professori, è stata particolarmente dura e tenace.
La tesi di dottorato è un’impresa ardua, l’ultimo esame, il più difficile.
Ma quanti altri esami ci riserva la vita?

Soprattutto dobbiamo prepararci all’ultimo, quello che veramente conta.

giovedì 14 novembre 2013

Un santo per un’idea

La santità è unica e i santi sono innumerevoli, come le stelle del cielo, come la sabbia del mare. Soltanto alcuni vengono proclamati tali dalla Chiesa. Perché? Penso che siano tre le motivazioni che spingono alla canonizzazione:
1. Per affermare che si può vivere il Vangelo con radicalità, in maniera “eroica”, come si dice. E il motivo che porta alla canonizzazione la maggior parte dei santi.
2. Per dare un modello a varie categorie sociali ed ecclesiali: l’asceta e l’abate, il vescovo e il sacerdote, il re e il principe, mistici, profeti e predicatori, mamme e bambini…
3. Per promuovere un’idea, una devozione: è il caso di Margherita Maria Alacoque, proclamata santa per mettere in luce la devozione al Cuore di Gesù; di Massimiliano Kolbe, per mostrare che c’è anche un martirio della carità; di Fustina Kowalska per l’amore misericordioso di Gesù… La sorella di santa Teresa di Gesù Bambino, interrogata sulla motivazione per la quale voleva promuovere la sua causa di beatificazione, affermava che lo faceva perché desiderava che si conoscesse la “piccola via”; continuavano a ripeterle che non si può fare una persona santa per promuovere una idea, ma lei non si smuoveva dalla sua convinzione.

Chissà quali sono le nuove “idee” che lo Spirito vuole promuovere nella Chiesa di oggi e quali saranno i nuovi santi che le esprimeranno. E se volesse promuovere una santità di comunione, frutto di un cammino di amore reciproco con altri?

mercoledì 13 novembre 2013

La tensione di Agostino e la beatitudine dell’Angelo




Oggi è l’anniversario della nascita di sant’Agostino. Come di meglio che riprendere in mano le Confessioni? Se poi a leggercele è un grande attore come Alessandro Preziosi, che ha interpretato proprio il santo nel film di Rai uno, la serata è fatta. Ma il bello è che, questa sera, la lettura è avvenuta proprio nella chiesa di sant’Agostino, dove è sepolta santa Monica, vegliata dai quadri del Caravaggio. Non poteva esserci scenografia migliore.
Come è moderno Agostino, uomo inquieto, insoddisfatto, instancabile cercatore della verità. Basterebbe l’inizio delle Confessioni con il celebre: “il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te”.
Mentre ascolto, seduto su un inginocchiatoio infondo alla chiesa gremita, perché altro posto non c’è, ho davanti a me un grande angelo che sorregge l’acquasantiera. Me lo contemplo nella sua beatitudine – che la mia matita non sa rendere – e lo vedo contrastante la tensione di Agostino. Vorrei essere entrambi.

martedì 12 novembre 2013

Una cappella che si apre sul mondo



Non siamo la basilica di san Giovanni in Laterano, ma anche la nostra cappelle ha l’onore di celebrare ogni anno la festa della sua dedicazione, il 12 novembre. La consacrazione avvenne il 10 novembre 1950, ma non si sa come mai la festa della dedicazione fu fissata al 12 novembre, come attesta la lapide commemorativa sulla parete d’entrata. Il diario della comunità ricorda, con sobrietà, che fu consacrata dal Vescovo Traglia del Vicariato di Roma. Il diario degli studenti di teologia è più colorito: si divertono a descrivere il cerimoniere con il pizzo e con un cipiglio e un fare altero e aggressivo degno di una persona che si sente al centro dell’attenzione.
La nostra cappella non è la basilica lateranense, eppure ogni giorno i celebranti la messa sono forse più numerosi. Ogni giorno vede la comunità riunita per la preghiera silenziosa e per quella che facciamo insieme. In fondo abbiamo i nostri santi e beati che ci proteggono le spalle e ci spingono a rivolgerci in avanti, verso la bella statua della Madonna del sorriso e verso Gesù eucaristia.

Lo sappiamo che la presenza di Dio non è racchiusa da un luogo, neppure dalla nostra bella cappella. Egli è qui, ma per uscire ed entrare nelle nostre stanze, negli uffici, all’università dove si recano ogni giorno i nostri studenti, nei vari posti di lavoro in città, nella varie parti del mondo dove ci porta la nostra missione. Ogni ambito di vita può diventare una chiesa, un luogo dove Dio si rende presente, grazie a noi pietre vive. Bastano due o tre pietre vive per costruire il tempio santo. Gesù ha promesso di essere presente lì dove due o tre sono uniti nel suo nome , di essere con noi sempre, fino alla fine del mondo. E' così che ognuno di noi, anche personalmente, può diventare tempio vivo, capace di portare Dio ovunque.


lunedì 11 novembre 2013

Luoghi di Roma: il Gianicolo laico, ma non troppo


All’indomani della presa di Roma nel 1870 i regnanti Sabaudi decisero di fare del colle Gianicolo una sorta di memoriale del Risorgimento.
A valle la statua di Cavour, nel punto più alto la statua equestre di Giuseppe Garibaldi e più avanti la statua equestre di Anita. Infine, lungo la passeggiata una miriade di mezzibusti marmorei, ritratti di illustri garibaldini.
Un progetto dichiaratamente anticlericale e massonico.
Tutto è orientato in modo da voltare le spalle alla basilica di San Pietro. Ma non c’è niente da fare, ovunque ti giri, a Roma è sempre lei che domina…

Le beghe del passato sono del passato. Quel che resta oggi, è uno dei luoghi più suggestivi della città… con vista su san Pietro!

domenica 10 novembre 2013

Micro episodi di buona convivenza


“Uno del condominio aveva urtato la mia auto danneggiandola. Davanti alle mie rimostranze negava e minimizzava. Gli ho tolto la parola, perché il suo modo di fare non mi sembrava corretto”.
Sono al Centro Mariapoli di Castelgandolfo. Una giornata intensa, con 1.300 persone provenienti da tutto il Lazio per raccontare cosa si sta facendo per il “Progetto Italia”, nel campo della legalità, dell’accoglienza degli stranieri, del lavoro, del dialogo con i musulmani... Quante iniziative, quante esperienze positive, quanto coraggio e creatività nell’affrontare le situazioni difficili nelle quali si dibatte questa nostra povera Italia.
Giovanni, un uomo stagionato, calmo e pacifico, con la mani grandi e callose del lavoratore, mi ha fermato per raccontarmi la sua esperienza. Ci siamo incontrati alla Mariapoli qualche mese fa e siamo diventati amici.

“Subito dopo la Mariapoli – continua parlando della sua auto e del suo vicino –, tornando a casa, vedo da lontano uno che sta cercando di trasportare un grosso scatolone, ma vedo che fa difficoltà. Vado ad aiutarlo, mi dico. Quando gli sono davanti mi accorgo che è quel vicino che mi ha danneggiato l’auto e con il quale i rapporti sono ormai freddi. Sono un po’ imbarazzato, ma mi ricordo che sono stato in Mariapoli: Hai proprio bisogno d’una mano, gli dico, e lo aiuto a trascinare il pesante scatolone su per le scale fino al suo appartamento. Arrivati lì siamo tutti e due sudati e ancora un po’ imbarazzati. Gli dico: Andiamo a prendere un caffè. Mentre prendiamo il caffè lui mi fa: Non credevo che avresti fatto un passo del genere. Ora tutto si è rappacificato. Abbiamo ritrovato un rapporto da buon amici e ci salutiamo con sincerità”.

sabato 9 novembre 2013

Casa di Dio o casa del popolo?


Oggi a Roma abbiamo festeggiato la dedicazione della basilica di san Giovanni in Laterano, madre di tutte le chiese dell’urbe e dell’orbe.
Ma la chiesa è la “casa di Dio” come spesso leggiamo sui frontoni, o è la casa della comunità cristiana?
Quante volte la Scrittura ricorda che Dio non ha bisogno di una casa, lui che abita i cieli e la terra. La sua presenza non è racchiusa da un luogo.
Dove abita Dio? Egli, l’Emmanuale, il Dio tra noi, abita in mezzo al suo popolo. “Siamo noi il tempio del Dio vivente”, scrive san Paolo ricordando quanto Dio stesso aveva detto nell’Antico Testamento: “Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo” (2 Cor 6, 16).
Tutto il popolo di Dio, la comunità cristiana, è il suo tempio, il luogo dove egli si rende presente. “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? – scrive ancora san Paolo – … santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1 Cor 3, 16-17).
Le nostre chiese non sono state costruite per Dio, ma per il suo popolo, per noi, sono le “case del popolo”, anche se il nome coincide con quelle costruite dai comunisti nei suoi anni ruggenti. Sono i luoghi nei quali possiamo incontrarsi ascoltare la sua Parola, imparare a crescere unito come tempio del Signore, rinsaldare i vincoli di amore e prendere coscienza di quello che siamo: Chiesa, dimora viva di Dio tra noi.
Andare in chiesa domani, giorno del Signore, dovrebbe essere davvero una festa, un ritrovarsi tra tutti per accogliere tra noi il Signore che viene.

venerdì 8 novembre 2013

Non siamo tutti uguali, ma con la stessa dignità



“Dio ha assunto in pieno la nostra umanità ed è stato povero per far risorgere la carne, salvarne l'immagine primitiva e restaurare così l'uomo perché diventiamo una cosa sola con Cristo. Egli si è comunicato interamente a noi.
Tutto ciò che egli è, è diventato completamente nostro. Sotto ogni aspetto noi siamo lui. Per lui portiamo in noi l'immagine di Dio dal quale e per il quale siamo stati creati. La fisionomia e l'impronta che ci caratterizza è quella di Dio. Perciò solo lui può riconoscerci per quel che siamo.
Conseguentemente passano in seconda linea le differenze e le distinzioni fisiche e sociali, che pur certamente esistono fra gli uomini. Per questo si può dire che non c'è più né maschio né femmina, né barbaro né scita, né schiavo né libero (cfr. Col 3, 11)”.

Queste straordinarie parole di san Gregorio Nazianzeno che oggi la liturgia ha messo nelle nostre mani nell’ufficio delle letture, mi riportano al discorso sui Dalit di cui ho parlato l’altro ieri sul blog e che hanno fatto riflettere la nostra assidua lettrice (vedi commenti).

Sì, anche tra noi vi sono i ceti sociali, anche noi abbiamo i nostri Dalit, ad esempio gli zingari. I Dalit non possono entrare nel tempio: chi ha mai visto uno zingaro in chiesa? La differenze ci sono, di istruzione, educazione, censo, quoziente intellettivo, salute… Ma è più vero che Cristo si è comunicato “completamente” a tutti, ha dato tutto a tutti e perciò “passano in seconda linea le differenze e le distinzioni fisiche e sociali, che pur certamente esistono fra gli uomini”. Dio, dice ancora Gregorio, “può riconoscerci per quel che siamo”. Dovremmo anche noi riconoscerci per quel che siamo.

giovedì 7 novembre 2013

Roma ha sempre qualcosa da dare


“Roma ha sempre qualcosa da dare”, mi ha detto questa sera Lemoncelli, un americano amante della città, quando mi ha visto rientrare a casa. È vero, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, qualche scorcio che non hai ancora mai visto, oppure una luce particolare che fa vedere con occhi diversi il già visto.
Non è necessario proporsi visite particolari, è sufficiente muoversi per la città per il lavoro di ogni giorno o le piccole ordinarie commissioni: Roma ti offre comunque qualcosa di bello e di sempre nuovo.
Mi è bastato per passare per piazza Farnese perché l’antico palazzo mi mostrasse, attraverso le finestre del balcone lo stupendo soffitto a cassettoni del salone delle feste. Accanto Campo dei Fiori ha acceso le sue luci per darsi aria di festa. Di giorno il vivace e popolare mercato rionale, a sera uno dei luoghi preferiti della vita notturna. La piazza sembra ricordarsi ancora d’essere stata a lungo luogo di corse, tornei, mercato di cavalli… oltre che luogo delle esecuzioni capitali.
Giordano Bruno, sempre imbronciato sta lì a ricordare che lui, filosofo e frate domenicano, qui venne bruciato. È l’unica piazza dove si potevano eseguire le pene capitali perché è l’unica piazza in Roma senza una chiesa! (E a Dio non si potevano far vedere azioni del genere: impiccare, decapitare, bruciare i figli suoi!)
Una stradina laterale mi mostra una lapide patetica del fu PCI, così glorioso e forte in questa zona vicina a via delle Botteghe Oscure. Anche lui, come Giordano Bruno, è passato a miglior vita.

Sono i piccoli gioielli che ti riserva la Roma quotidiana.

mercoledì 6 novembre 2013

Le differenze di casta non sono soltanto in India


Gregory Arokiaswamy è un Datit, un “fuori casta”, un “intoccabile”. Ma è il ragazzo più felice del mondo, un Dalit riscattato, libero. Fra pochi giorni difenderà la sua tesi di dottorato sulla conversione dei Dalit in India e sulla loro responsabilità morale nei confronti della dignità umana. Questa sera ci ha presentato il suo lavoro in una brillante conferenza.
La divisione in caste è un argomento tabù in India. Nei miei viaggi e nei miei convegni all’università di Mumbai non ne ho mai sentito parlare. Eppure è una realtà. Si nasce in una casta e non si può cambiare destino. Le discriminazioni sono una realtà inscritta nel karma. Che è fuori casta, come i Dalit è discriminato più di tutti gli altri: non ha diritto di entrare nel tempio e di leggere le scritture hindu, deve abitare in luoghi separati, non può possedere terre, deve fare i lavori più umili... Vive nella vergogna.
Non c’è quindi da meravigliarsi se oggi il 70-75 % dei cristiani in India sono Dalit. Nel cristianesimo sperimentano dignità umana, libertà dall’oppressione di casta, l’amore di Dio…
Ma le discriminazioni sono dure a morire. Dopo due millenni di cristianesimo soltanto dal 1990 è iniziata la promozione delle vocazioni al sacerdozio tra i Dalit. I cristiani Dalit sono il 70-75 %, ma tra le più di 100 diocesi in India si contano soltanto 3 vescovi Dalit.
Non c’è da scandalizzarsi. Le discriminazioni sono presenti in modi diversi in ogni cultura, in ogni parte del mondo. Anche da noi chi nasceva (o nasce?) nobile rimane nobile per tutta la vita, diverso da chi non è nobile e rimane nella sua casta. Anche da noi ci si sposava (o sposa?) soltanto tra persone dello stesso ceto sociale. Anche da noi per secoli i vescovi provenivano esclusivamente dalla nobiltà. E sembrava normale. Ora le caste sono regolate dalla ricchezza, dalla politica, dalla carriera, dal successo, continuano ad essere presenti, rinchiudendo ognuno nel proprio mondo, evitando che ci si “contaminarsi” con altri mondi.

Sono contento di avere, tra i membri della mia comunità, come mio fratello, un Dalit.

martedì 5 novembre 2013

Le nuove comunità della Chiesa di papa Francesco

È passata una settimana dal forum della rivista “Unità e Carismi” sul tema della nuove comunità. Continuiamo a rimanere in contatto con i partecipanti perché è stato un autentico momento di intensa comunione.
Sul web sono intanto disponibili articoli, foto, video.
Segnalo:
-                     Un articolo di Costanzo Donegana:
-                     Foto e testimonianze a cura di Giudo Miglietta:
-                     I video con le relazioni registrati da Paolo Monaco:

lunedì 4 novembre 2013

Bellezza e divino nella città dell’uomo



Il Palazzo Pretorio di Prato, antico edificio dove si amministrava la giustizia, appena restaurato, riapre con una mostra prestigiosa: “Da Donatello a Lippi. Officina pratese”.
L’arte del primo Rinascimento ha avuto nella città di Prato un fecondo ambiente di sperimentazione. Proprio perché ancora non era “città”, ma soltanto “terra”, e quindi luogo di periferia e nello stesso tempo nel contado di Firenze, poteva permettersi il lusso di lasciare ai giovani artisti la possibilità e l’ardire dell’innovazione.
Il quadro che più mi ha attratto è un Lippi: la morte di san Bernardo. I volti dei monaci in pianto che attorniano il santo sono di una bellezza struggente, un autentico capolavoro. Contrastano, fra l’altro, con il sorriso pieno di pace di Bernardo che sembra già gustare la gioia del Paradiso. Ricordo quando la grande tavola – ora al Museo dell’Opera del Duomo – era ancora in cattedrale. Allora – ero appena un ragazzo – mi sembrava un po’ lugubre, forse perché collocata in luogo scuro e perché il restauro non aveva rimesso in luce i colori vivi e i dettagli dei volti.

Le guide non lo notano, ma le opere dei pittori del 1400 che hanno dipinto a Prato e che sono state fatte affluire da musei di mezzo mondo dove ora sono custodite, sono tutte di soggetto religioso. Eppure i committenti non erano soltanto le chiese e i monasteri, ma anche privati cittadini che desideravano avere in casa un’immagine sacra per loro devozione.
Me ne sono reso conto soltanto dopo essere uscito dalla mostra. Lì ero troppo preso dal fascino di tanta arte per poter riflettere diversamente.
Davanti ai quadri esposti, l’elegante architettura Trecentesca di Palazzo Pretorio sembra rimanere in ombra, così come gli affreschi sulle pareti delle grandi sali di giustizia o degli appartamenti dei magistrati. Eppure anche nel palazzo – come nelle tavole esposte –, tra gli stemmi di famiglie nobili ed altri dipinti simbolici, non mancano affreschi che riproducono crocifissioni e annunciazioni, santi e madonne.
In quei secoli nei quali alla bellezza aveva riservato uno spazio d’eccellenza, il sacro si intrecciava indissolubilmente con il sociale. Anche chi veniva condotto in giudizio, reo o innocente, amava vedersi circondato da immagini che assicuravano la premurosa presenza del Cielo nella città dell’uomo.