martedì 31 luglio 2018

Frisinga: Non tutti i mali vengono per nuocere

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I cieli d’Europa questi giorni sono abbastanza affollati. Anche l’aeroporto di Monaco fa fatica ad assorbire il traffico. Così arrivo in ritardo da Graz e perdo la coincidenza per Roma.
Dopo una lunga e paziente fila ai banchi della Lufthansa il volo viene riprogrammato per il giorno dopo. Mi danno anche i buoni per cena, colazione, albergo, taxi…
Il taxista non spiccica una parola e dopo una ventina di minuti arriviamo in una cittadina poco distante dall’aeroporto e mi sbarca davanti a un albergo, ancora senza una parola. È ormai tardi, ceno e vado a letto.


La mattina mi alzo presto e faccio quattro passi per rendermi conto di dove sono. Palazzi barocchi, strade pulite, armonie di colori… Salgo verso la collina dove si erge il duomo, in una piccola cittadella nella cittadella, con museo, abbazia, cappelle… Ma dove sono capitato? È Freising! Fresina, la città dove era vescovo Ratzinger!

Il taxista che mi riporta all’aeroporto, a differenza di quello all’andata, non lesina parole e mi racconta orgoglioso di papa Benedetto… della città, più antica di Monaco… e dell’altra gloria di Freising: la più antica birreria del mondo ancora esistente e in attività!
Quando mai sarei potuto venire a Fresinga. Davvero non tutti i mali vengono per nuocere.


lunedì 30 luglio 2018

Nel cuore verde della Stiria


Il viaggio in pullman ci conduce attraverso colline e vallate con abetaie, campi di frumento appena tagliato, distesi di mais, pascoli, prati, boschi.

Siamo proprio nel “cuore verde della Stiria”. Un’ora e mezzo da Graz, diocesi molto estesa, per giungere a Seckau, la prima sede vescovile, con una autentica cattedrale romanica dell’inizio del secondo millennio, con un altrettanto antico monastero, prima agostiniano e da un paio di secoli benedettino. Veniamo a celebrare gli 800 anni della diocesi e rendere omaggio a Maria, nel suo santuario.

Sulla modesta piazza del paese, assieme all’immancabile altissimo albero della cuccagna con le insegni locali, ci attende un piccolo popolo, negli abiti tradizionali, e le campane che suonano a festa: non capita sovente che una settantina di cardinali e vescovi di tutto il mondo vengano in visita tra questi monti sperduti.


La messa, con un nutrito numero di ministranti, è di una solennità straordinaria, con l’organo che dà sfogo a tutte le sue canne. In compenso il pranzo è sobrio, in stretto stile monastico. Poi la visita alla basilica e all’abazia, in gruppi linguistici, con guide sperimentate.

Non poteva esserci festa più bella.


domenica 29 luglio 2018

Al santuario di Seckau


Due foto soltanto, che anticipano la bellissima giornata nel santuario mariano di Seckau e nell'abbazia benedettina...

sabato 28 luglio 2018

Il nostro piccolo tutto, per te


«Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. (Gv 6, 1-15).

C’era molta erba sulle pendici del monte, un segno che avresti nutrito il tuo popolo, come un pastore che porta il gregge in pascoli ubertosi.
Era l’imminenza della Pasqua, un altro segno di quando, nell’ultima tua Pasqua, ci avresti nutrito con il tuo stesso corpo e sangue.
Intanto la folla ha fame di pane, il più elementare dei bisogni, quello che tutti li precede e li riassume.
Se si risolve questa necessità, simbolo d’ogni necessità, si potranno facilmente risolvere anche le altre.
Impossibile far fronte a una tale situazione, ti risponde Filippo con realismo. È un problema troppo grande, sfamare 5.000 uomini con niente. Non abbiamo i mezzi, non ci sono possibilità di soluzione.

Rispondiamo così anche noi, davanti ai tanti problemi che ci si pongono davanti. A volte ci vengono domandate cose troppo grandi, davanti alle quali avvertiamo di non essere all’altezza di poter rispondere. Ci sono situazioni personali, familiari, sociali impossibili da risolvere. Verrebbe da disperarci.
Andrea ti risponde in maniera ancora più realista: Sì, qualche risorsa ci sarebbe, ma è così inadeguata al bisogno, che fa quasi sorridere. Le situazioni ci sorpassano enormemente, non c’è proprio niente da sperare, ci riconosciamo troppo piccoli e incapaci. Qualche denaro l’avrei, forse sette, come pani e pesci messi insieme, ma qui ce ne vogliono più di duecento, parola di Filippo, che sa bene le risorse necessarie per far fronte ai bisogni.

È stata una provocazione la tua, vero? Volevi che dicessero ad alta voce che era proprio impossibile. Provochi anche noi. Cosa possiamo fare quando gli eventi ci sorpassano e ci sentiamo un nulla, non sappiamo da che parte voltarci?
Davanti al tuo interrogativo, Filippo e Giacomo fanno la cosa giusta, ti guardano e silenziosi pongono a te la domanda: come sfamare tanta gente? Come risolvere il problema? È la mossa più intelligente.
Possiamo analizzare le situazioni, possiamo anche disperarci davanti ai nostri limiti, ma poi non ci resta che guardare te, sicuri che tu hai la soluzione: «Tutto è possibile a Dio!». Sì, tutto ti è possibile, anche cambiare il nostro cuore, così duro e ribelle; anche procurare il pane quotidiano con tutto quello che serve per la vita; anche riportare l’armonia e l’unità in quella famiglia divisa… Tu arrivi là dove noi non sappiamo, alle migliaia di persone vicine e lontane che domandano un aiuto, il lavoro, la pace… Tu puoi!

Eppure per sfamare le folle hai bisogno di cinque pani e di due pesci. È niente in confronto alle necessità, ma quel niente ci vuole. Possediamo soltanto cinque pani e due pesci, ma non possiamo tenerli per noi, dobbiamo darteli, darti il nostro tutto. È poco, troppo poco, ma nelle tue mani si moltiplicherà. Tutto tu puoi, ma vuoi il nostro piccolo dono, il nostro tutto.


venerdì 27 luglio 2018

Un patto tra vescovi



L’incontro dei vescovi continua con tanta luce. Anch’io proseguo con i miei piccoli interventi. Cardinali, arcivescovi, nunzi, vescovi… tutti come i bambini del Vangelo; uno spettacolo unico.
Oggi abbiamo avuto la presidente dell’Opera, Maria Voce, che ci ha tenuto una conversazione sulla Chiesa e lo Spirito Santo, oggetto di riflessione per tutto il Movimento nel prossimo anno.
Mi è sembrato di trovarmi nel cenacolo. La Chiesa era lì presente, quella gerarchica e quella carismatica, gli apostoli e i profeti.
Mi è risuonata in maniera tutta nuova la parola degli Atti: il vento dello Spirito “riempì tutta la casa”; prima di diversi in lingue di fuoco aveva già tutto riempito; davvero la Chiesa è piena di Spirito Santo, in tutte le sue realtà.


Intanto il vescovo del luogo continua a fare gli onori di casa, con la regalità dei vescovi principi suoi predecessori. Ci ha introdotti nella parte antica del castello, dove le sale si susseguono una dopo l’altra ricche d’opere d’arte. La cappella, con gli stucchi barocchi, è giustamente ambita per matrimoni e battesimi.

Alle 15.00, come ogni venerdì, ha suonato per cinque minuti, a ricordo della morte di Gesù, la campana del castello, come quelle di ogni chiesa in Austria. Oggi la conferenza episcopale ha dato un significato particolare a questo momento, legandolo alla campagna nazionale della Caritas per la fame nel mondo. Così a suonare la grande campana del castello questa volta sono stati alcuni vescovi dell’Africa, il continente più colpito dalla fame.


Infine abbiamo raggiunto la chiesa del paese vicino, sulla collina davanti a quella del castello. Una località abitata da cinquemila anni. Vi sorgeva un tempio ad una divinità locale, che poi ha ceduto il posto a un santuario mariano riedificato più volte lungo i secoli.
Siamo saliti ai piedi di Maria per vivere un particolare momento di comunione tra tutti. Alla messa i vescovi hanno fatto tra di loro un particolare patto d’unità, dichiarandosi pronti a dare la vita l’uno per l’altro… È sempre commovente vedere come, al termine, si abbracciano tra di loro in una festa che non vorrebbe mai finire. I Dodici ci sono ancora!

giovedì 26 luglio 2018

Graz, tra fede e arte


Un incontro simile di cardinali, arcivescovi, nunzi, vescovi di tutto il mondo non può passare inosservato. L’Osservatore Romano essi stanno vivendo «alcuni giorni di esperienza di Chiesa universale… A ospitare l’incontro il vescovo Wilhelm Krautwaschl. La tradizione di questi incontri episcopali ha avuto inizio decenni fa, quando la fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich (1920-2008), invitava d’estate per qualche giorno in Svizzera alcuni vescovi legati al Movimento. È stato poi il defunto vescovo di Aquisgrana, monsignor Klaus Hemmerle, ad avviare e moderare questi incontri che hanno un carattere deliberatamente privato e si svolgono ogni anno ma in luoghi diversi. Scopo dell’incontro è approfondire il carisma dell’unità, coltivare gli scambi tra vescovi a livello mondiale e trascorrere alcuni giorni in comunione fraterna».


Naturalmente l’incontro non è passato inosservato neppure da queste parti. Così il Presidente della Regione ci ha invitati a un ricevimento, nell’aula magna dell’antica università. Accanto la cattedrale e il palazzo del governo, che assieme all’università costituiscono la cosiddetta “corona d’oro” della città. Naturalmente oggi l’università a tutt’altra sede, ma la città, la seconda dell’Austria, vanta ancora 40.000 studenti.


La breve visita ci ha aperto lo sguardo su monumenti di una storia antica di fede e di cultura.


mercoledì 25 luglio 2018

Con settanta vescovi


Nel Castello di Seggau, ma a fare cosa?
Mi trovo con una settantina di vescovi amici del Movimento dei focolari, proveniente da tutto il mondo.  Per essere sinceri fa una certa impressione vedere una così grande varietà di provenienza. Ognuno porta con sé mondi completamente diversi, spesso di guerra e di violenza.
Quello che più mi impressiona è la loro semplicità, l’apertura vicendevole, la condivisione.  


Ogni giorno guido la meditazione accolta con grande ascolto.
Mi sembra d’essere nel cenacolo.

Mi è arrivato un messaggio in risposta al mio blog di ieri, dove dicevo che avevo "la testa tra le nuvole". Mi si domanda:
"E adesso la testa dove sta, in cielo?".
Indovinato! 


martedì 24 luglio 2018

Nel castello di Seggau



È bello ogni tanto avere la testa tra le nuvole!
Ieri è stata una di queste giornate: Roma-Francoforte, Francoforte-Graz.
Soprattutto quest’ultimo volo, a quota non molto alta, a pelo sulle nuvole, mi ha consentito di guardare il panorama che si apriva sotto: monti coperti di boschi densi di vegetazione, valli verdissime, piccoli paesi sparsi. In discesa si leggevano nitidi i monasteri, le chiese, che mi sembravano l’anima dell’intera regione…
L’aeroporto di Graz è piccolo e, ancora come si usava una volta, sulla terrazza le persone accolgono qualcuno dei passeggeri con i grandi cartelloni di benvenuto.


Ed eccomi al castello di Seggau, in mezzo alle colline e alle vigne della Stiria del sud.
Le origini del castello, residenza degli arcivescovi principi di Salisburgo, risalgono all’XI secolo. Oggi appartiene alla diocesi di Graz ed è trasformato in centro per congressi e seminari, con nuovi padiglioni. In fondo alla proprietà la grande cantina di 300 anni.
Sembra di sfogliare un libro di fiabe…
Ad accogliermi il vescovo.
È così iniziata una nuova avventura…


lunedì 23 luglio 2018

Viaggiando il Paradiso


Viaggiando il Paradiso. L'esperienza di luce nel Paradiso'49.

Ancora un libretto, piccolo piccolo, che raccoglie le 12 puntate scritte per la rivista “Città Nuova” nel 2018. Racconta il libro Paradiso’49 scritto da Chiara Lubich, che si spera venga presto pubblicato. Intanto cerco di farlo pregustare preparandone l’accoglienza…

Il mio libretto termina ricordando quali sono la prima e l’ultima parola, con le quali si apre e si chiude il grande testo del Paradiso ’49. Mi sono sembrate particolarmente significative, quasi descrizione della parabola dello straordinario “viaggio” compiuto in Paradiso.

La prima, che potremmo considerare come il decollo, se ci immaginiamo un viaggio in aereo, è «Abbà, Padre»: una parola che non era soltanto una parola, ma una realtà, introducendo davvero nel seno nel Padre, nel Paradiso.
L’ultima, che segna in qualche modo l’atterraggio, è «uomo», riferito alla sua pienezza che è Cristo, il Verbo fatto carne: l’esperienza si conclude in terra, dove viene portata tutta l’esperienza di Paradiso, che si incarna come si è incarnato il Verbo di Dio. È la terra in Cielo, il Cielo in terra.


domenica 22 luglio 2018

Apa Pafnunzio colpisce ancora





Qualcuno ha regalato il libro in francese di apa Pafnunzio a una giovane cinese battezzata da tre anni.
Le ha suggerito di leggerlo lentamente. Ecco la risposta:

Grazie per avermi dato come lettura spirituale con Apa Pafnunzio.
Continuo a non capire le tue istruzioni di leggere lentamente, ma lo sto leggendo veramente con la velocità di una lumaca, così come mi hai chiesto. ;-)
Sì, sono impaziente di leggere, voglio sempre andare veloce in fretta ... ma curiosamente, non so quale magia sia all’opera: quando mi costringo ad immergermi in ogni parola, in ogni frase, sento un immenso benessere, decisamente fisiologico, è davvero stregato, non trovi???
L'unica spiegazione che riesco a trovare è che l'anima di questo Apa Pafnunzio, quando la leggo con un cuore calmo, mi sta comunicando qualcosa...


venerdì 20 luglio 2018

Venite in disparte


In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli rife­rirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano inse­gnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’»… Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mi­se a insegnare loro molte cose. (Mc 6, 30-34)

La missione ha un’andata e un ritorno. Gesù, lo abbiamo visto domenica scorsa, ha inviato i suoi a due a due, ora eccoli tornare per condividere gioie e problemi, successi e fallimenti. Non basta operare, occorre anche condivi­dere il vissuto. L’apostolo ha da prendere il tempo per raccon­tare la propria vita, così che tutto sia di tutti, e verificare il proprio cammino, correggerlo, confermarlo, riorientarlo in maniera sempre più adeguata alla chiamata.
Che festa avrà fatto Gesù quando se li vide arrivare! Li avrà accolti con gioia, li avrà ascoltati con attenzione, interessandosi di ogni particolare, rallegrandoti dei successi, dando senso ai fallimen­ti. Soprattutto si è preoccupato di loro, che si riposassero, per­ché affaticati e stanchi. Voleva che stessero con lui perché sapeva che per loro il vero riposo eri lui stesso: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi» (Mt 11, 28).
Per questo li porta fuori, in un luogo deserto, come quando Dio condusse il suo popolo fuori dall’Egitto per far ascoltare loro la sua parola, nutrirli con la manna, dissetarli con l’acqua dalla roccia. È come ripetesse le parole del profeta Osea: «Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore».

Gesù è costantemente calamitato dalle folle, per le quali sente pro­fonda compassione e per esse si spende senza risparmio, senza avere neppure tempo per mangiare. Eppure desidera rimanere un tempo con i tuoi, solo con essi: «Venite in disparte, voi soli».

Sento rivolte a me queste parole e mi si riempie il cuore di gioia, come sicuramente accadde ai tuoi discepoli, che avvertivano il tuo amore di predilezione. Vuoi stare con me, in un esodo verso un luogo deserto, dove niente e nessuno possa disturbare la no­stra comunione, in colloquio segreto. Vuoi che ti racconti della mia vita, di me. Come hai fatto con il tuo popolo nel deserto, vuoi parlare al mio cuore, rivelandomi la tua parola e il tuo vole­re, nutrirmi con la manna eucaristica, dissetarmi all’acqua viva della tua grazia. Come potrei andare di nuovo per città e villaggi ad annunciare la venuta del Regno se non mi sarò rinfrancato con la tua presenza, se non avrai rimesso a fuoco il cammino, e non sarò sicuro di averti con me?
Non avrò molto tempo, perché presto la folla verrà di nuovo e insieme saremo presi dalla “compassione”, provando in noi i suoi stessi sentimenti, le frustrazioni, le speranze, i timori. Sare­mo chiamati a distribuire parole di vita che infondano speranza e a dispensare il pane che dia forza e coraggio per il cammino nella storia. Non potremo farlo se noi stessi non ci saremo ab­beverati e nutriti di te. E dopo essere andati, dovremo di nuovo tornare, in un perenne gioco di solitudine con te e di immersio­ne tra la gente, nella quale trovare ancora te.


Non si smetteva di vivere


 

La vita quotidiana nell'eccezionale contemplazione di Paradiso

Paradiso ’49, il libro più prezioso che Chiara Lubich ci ha lasciato, sarà letto per generazioni e generazioni. Ma in quell’estate 1949 non era un libro, era un’esperienza vissuta e raccontata a quanti le stavano attorno. Alcune delle sue compagne, come Lia Brunet, Bruna Tomasi, Ginetta Calliari, Marilen Holzhauser (Chiara era andata a prendere quest’ultima proprio la sera del 16 luglio) erano presenti stabilmente a Tonadico, altre, tra cui Vittoria (Aletta) Salizzoni e Natalia Dallapiccola, rimaste a Trento per lavoro, salivano in montagna nel fine settimana o per qualche giorno. Con queste ultime salivano anche i giovani, come Marco Tecilla e Aldo Stedile (Fons). «M’è rimasta impressa in particolare – racconta Marco – una domenica che con le focolarine andammo in gita in una località chiamata “Madonna della luce”. C’era fra tutti un clima altamente spirituale: Dio aveva fuso le nostre anime… Ogni volta che da lassù si tornava a Trento, si aveva la sensazione di scendere da un’altissima montagna avvolta di luce, tanto che a malapena si riusciva a “rientrare” nella vita normale, quotidiana... si viveva in una continua contemplazione». A volte Chiara stessa scendeva a Trento per condividere con le persone più vicine quanto stava vivendo e per coinvolgerle nello stesso cammino.

Igino Giordani continuava a essere trascinato nell’avventura di Cielo: appena poteva la raggiungeva a Tonadico, ma intanto Chiara gli comunicava per iscritto quanto viveva. Il resoconto «era così bello – racconta egli stesso – che, per tema andasse perduto o cadesse in mani estranee, in Svizzera dove mi ero recato, lo trascrivevo premettendovi l’avvertimento: “Visioni della beata Giuliana di Norwich”. Tra gioghi, all’ombra delle conifere, sotto rocce, possibilmente presso icone o santuari, ella parlava di Dio, della Vergine, della vita soprannaturale: la sopra-natura era la sua natura… E allora quelle foreste si trasfiguravano in cattedrali, quelle cime parevano picchi di città sante, fiori ed erbe si coloravano della presenza di angeli e di santi: tutto si animava di Dio. Cadevano le barriere della carne. Si apriva il Paradiso».

Il piccolo gruppo alloggiava in una rustica baita ereditata da Lia Brunet, che da allora prese il nome di “baita Paradiso”. Avevano trasformato la parte superiore del fienile in una grande stanza da letto, a cui si accedeva tramite una scala a pioli dal piano terra, formato da una stanza con piccola cucina. Nella camera da letto avevano sistemato alcune brande e un armadio tirato su con una carrucola.
La densità spirituale di quei giorni si armonizzava con la semplice vita quotidiana. «Nel frattempo – scrive Chiara – non si smetteva di vivere, vivere con intensità, in mezzo ai nostri lavoretti di casa, quella realtà che eravamo, vivendo la Parola di Vita». Tutte le mattine la messa e alle sei di sera in chiesa, davanti all’altare della Madonna, la meditazione. Per il resto della giornata, con i grembiuli da lavoro, facevano il bucato alla fontana pubblica nella piazza del paesino, sbrigavano le faccende di casa, poi via per boschi e prati, in lunghe gite in montagna. «Andavamo insieme – racconta Aletta – e, lungo il cammino, conversavamo… Se sostavamo per un pic-nic, o se ci accomodavamo all’ombra di un albero o in un prato, [Chiara] cominciava a parlare e noi le stavamo sedute tutt’attorno. Ci riposavamo e costruivamo l’unità tra noi, cioè ci amavamo in modo soprannaturale. Eravamo sempre in Dio, con semplicità. Si cominciava dal naturale, perché siamo su questa terra. Ma il soprannaturale da solo non esisteva, perché tutto era naturale e tutto era soprannaturale. Natura e sopra-natura erano un tutt’uno per noi».

Giovani, amavano giocare: pescando a sorte i bigliettini preparati, a ognuna toccava una litania della Madonna, quasi a indicare il dover essere di ciascuna, oppure il nome di un fiore... Un giorno erano in dodici, e ad ognuna venne assegnato un nome dei dodici apostoli. «A me – racconta Luigina, – capitò quello di Giuda Taddeo che però non mi garbò per via di quel nome, Giuda. Ebbene, Chiara me lo fece amare giacché mi ricordò che Giuda Taddeo “era cugino di Gesù”. Il paradiso non era qualcosa “in su”. Era qui in terra ed era reale come Gesù, che è venuto ad abitare tra noi, e il cielo l’ha portato quaggiù! Parlavamo di “realtà” o di “paradiso” concependoli non come cose dell’altro mondo, ma da vivere quaggiù».


Gustare il Paradiso


«Dobbiamo esser "spensierati" perché figli di Dio. I figli di Dio non hanno pensieri […] senza volontà per aver la capacità della volontà di Dio. E senza memoria per ricordare solo l’attimo presente e vivere “estatici” (fuori di noi)».

Anche nelle difficoltà, nelle prove, nei dubbi che a volte rendono pesante il quotidiano, possiamo abbandonarci con fiducia nelle mani di Dio, sicuri del suo amore. Ci darà occhi nuovi per leggere la realtà, creatività per viverla, lasciandoci in cuore la “leggerezza” dei bambini.


giovedì 19 luglio 2018

Nuovi detti di apa Pafnunzio


La raccolta dei detti di apa Pafnunzio, apparsa nel 2014, ha avuto una buona diffusione (I detti di apa Pafnunzio. In cammino nel deserto. Postfazione di Giorgio Lingua, Città Nuova, Roma 2014, 158 pp.).
Il libro è stato tradotto e pubblicato in lingua spagnola. Una scelta di detti, in pochi esemplari, è apparsa in arabo, francese, inglese. La conoscenza dell’apa è comunque rimasta all’interno di un piccolo cerchio di amici. Egli è stato e resta una persona semplice e nascosta, perlopiù ignota.

Tuttavia, da alcuni lettori mi sono giunte eco positive. I più affermano di essersi riconosciuti nell’esperienza dell’antico solitario del deserto, lontano nel tempo e nello spazio, con una vita tanto diversa dalla nostra di oggi, eppure vicino per quanto egli prova e vive: le stesse piccole gioie, gli stessi desideri, la costatazione della propria debolezza e dei fallimenti, la volontà di andare avanti nonostante tutto, l’abbandono fiducioso nella misericordia di Dio.

Queste risposte mi sono state di incoraggiamento a ricercare altri detti di questo marginale Padre del deserto, per consegnarli, ancora una volta, ai pochi fedeli lettori, nella speranza che siano di aiuto a quanti, nella vita semplice di ogni giorno, aspirano a cose grandi.
È così uscito un secondo volume: Il cielo dentro di me. Nuovi detti di apa Pafnunzio, 100 pp.
Buona lettura.


mercoledì 18 luglio 2018

Maria di Nazaret


La collana si presenta con un titolo senza pretese “Farsi un’idea”.
Il 262 aiuta a “farsi un’idea” su Maria, con un libro di appena 120 pagine, scritto da Adriana Valerio, Maria di Nazaret. Storia, tradizioni, dogmi.
Un piccolo libro, eppure un grande libro, che porta alla scoperta di come, a partire dalla quasi assenza del primo Vangelo quello di Marco, Maria si fa sempre più presente nella storia, fino a diventare figura centrale della fede e della tradizione cristiana e non solo (vedi le pagine sull’Islam).
Un libro che si legge d’un fiato, anche perché parla di nostra madre!

Mi hanno attirato soprattutto le pagine sulla pietà popolare, così introdotte: «le problematiche di carattere dogmatico non furono determinanti nella vita dei fedeli, che crearono un vero e proprio codice non scritto di tradizioni e devozioni recuperando gli aspetti più teneri e compassionevoli della Vergine”.
Detto così potrebbe suonare male, anche perché conosciamo le deviazioni a cui si è giunti. Ma gli esempi sono belli e molto vari, mostrando il posto che Maria ha conquistato nel cuore dei poveri e dei semplici: nelle icone, i canti, la poesia, i santuari, le reliquie, le feste...
Davvero tutte le genti la dicono beata e in lei si sentono beate.


Sant'Alessio, terrazza su Roma


17 luglio: sant'Alessio.
Quale luogo migliore per festeggiare sant'Alessio della sua basilica sull'Aventino?
E da lì, una delle più belle terrazze di Roma,
godere il tramonto.
Ma quante cose belle, tutte per noi...
“Tutto è vostro,voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”.

lunedì 16 luglio 2018

16 luglio 2018: tutti uno


Sono passati 69 anni eppure anche oggi si è attuato quanto avvenne quel 16 luglio 1949.
Il giorno prima Igino Giordani chiese a Chiara di “legarsi stretto” a lei, come facevano i seguaci di santa Caterina, proponendo di farle voto di obbedienza perché lo guidasse nella via della perfezione. Chiara invece gli aveva risposto che sarebbe stato meglio lasciare a Dio l’iniziativa di un legame come lui avrebbe pensato. Che fosse Gesù Eucarestia, ricevuto insieme alla messa dell’indomani, a stipulare tra loro un “patto d’unità”. Gesù, venendo in lei come in un calice vuoto, avrebbe patteggiato con Gesù in Giordani, che avrebbe dovuto mettersi nello stesso atteggiamento di totale apertura e disponibilità. Così era avvenuto: su lei “nulla”, fattasi “vuoto d’amore” per accogliere Gesù- l’Amore, e su lui, “nulla” come lei, era rimasto soltanto Gesù. I due erano diventati un unico Gesù. L’Eucaristia aveva operato in pienezza ciò per cui è stata istituita.

Anche quest’anno, a maggio, sono tornato nella chiesa di Fiera di Primiero dove fu stipolato quel patto. Vi sono tornato assieme agli amici Indù e io stesso ho spiegato loro quanto lì era avvenuto. Chiara 69 anni fa si sarebbe immaginata che quel patto a due si sarebbe dilatato fino al punto da abbracciare fedeli di altre religioni? Certamente no, ma a Giordani aveva detto chiaramente che non voleva un patto a due, perché il suo ideale era che “tutti” siano uno. Tutti: anch’io, anche gli Indù.

Oggi la festa a un sapore tutto nuovo: ho potuto celebrarla a Rocca di Papa, con Emmaus, nel giorno del suo compleanno!

sabato 14 luglio 2018

Forti della tua presenza


In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due… (Mc 6, 7-13)

Non sei più solo, Gesù, hai altri con cui condividere la tua missione. Li hai chiamati perché stessero stabilmente con te e, nello stesso tempo, per mandarli.
Quando creasti i Dodici quello stare e quell’andare sembravano una contraddizione.
Come potevano rimanere con te e insieme allontanarsi da te per annunciare la buona novella? Oggi è chiaro, li mandi a due a due perché bastano due persone perché tu sia con loro: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (cf. Mt 18, 20). Quando i due partono non si allontanano da te, ma ti portano con loro e hanno il tuo stesso potere. La tua presenza li rende sicuri e forti.

Per questo non hanno bisogno di niente per il compimento della loro missione. Se hanno te e la tua forza, di cosa altro hanno bisogno? Non debbono riporre la fiducia in strumenti potenti, in apparati organizzativi, ma soltanto in te. David, prima di andare contro Golia, si tolse l’armatura pesante che Saul gli aveva messo indosso, e incontrando il Filisteo proclamò: «Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti» (1 Sam 17, 45). Gedeone dovette sbarazzarsi del forte esercito di più di 20.000 uomini fino a ridurli a 300, altrimenti si poteva pensare che la vittoria sarebbe stata dell’esercito numeroso e non di Dio.

La missione dei Dodici continua la tua, e tu non sei venuto con schiere di angeli, ma nell’umiltà e nella povertà della condizione umana. Anche per i Dodici nessuna attrezzatura sofisticata o potenti supporti finanziari. «Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra», potevano ripetere con il Salmo 124. Erano uniti nel tuo nome, ti avevano tra di loro.
Erano necessari il bastone e i sandali, perché avrebbero dovuto percorrere tanta strada, andare a tutte le genti e continuare a camminare lungo i secoli, per preparare la tua ultima venuta alla fine dei tempi.

Quel mandato adesso lo rimetti nelle nostre mani. Ci chiami e ci invii tutti, senza distinzione, come tuoi missionari, rendendoci partecipi della missione che il Padre ti ha affidato. Anche noi dobbiamo sconfiggere il male, prenderci cura degli ammalati, dei poveri, degli ultimi, invitare alla conversione, indirizzare verso di te, convergere verso il Regno dei cieli. Anche a noi “comandi” – il tuo non è un semplice invito, un suggerimento, ma un ordine – di non affidarci a strutture operative potenti come fanno le imprese e le grandi organizzazioni per imporre il proprio mercato.
Per compiere la “tua” missione, abbiamo bisogno di te, che sia tu a compierla. Per questo mandi anche noi «a due a due», perché solo così sarai in mezzo a noi e, ovunque andremo, ti porteremo con noi e lasceremo che sia tu a parlare e a operare. Da questo sapranno che siamo tuoi discepoli, se avremo amore tra di noi (cf. Gv 13, 35).

venerdì 13 luglio 2018

Africa in tavola


Non si può lasciare l’Africa senza la festa!
Qui, come ovunque, la tavola è il momento di festa per eccellenza.







Un grazie a tutti e a tutte!