Sette
chilometri tra prati d’erba salata, fango, acqua, sabbia dura, sabbia
morbidissima, con un vento forte e freddo. In ascolto degli uccelli, attenti ad
ogni minimo segno della natura, sotto un cielo di nuvole veloci e di sprazzi di
sole. Tra preghiere e canti come s’addice a un pellegrinaggio. Poi su per le
rocce del monte, fin dentro la basilica, per celebrare nel canto l’ufficio e la
messa con i monaci e le monache della comunità delle Beatitudini, in un’autentica
contemplazione.
Nel pomeriggio
la visita all’abazia ci ha introdotti in un capolavoro d’architettura: fortezza
inespugnabile, luogo di rifugio e di preghiera, meta di pellegrinaggi
ininterrotti.
È la
narrazione di una storia iniziata nel 708 quando l’arcangelo Michele apparve in
sogno al vescovo Aubert, continuata, due secolo, con i benedettini. La
Rivoluzione francese spezza il filo della storia qui come altrove, trasformando
il santuario in prigione. Ma la storia non si ferma e la vocazione di preghiera
di Mont Sant-Michel è ripresa e torna ad essere quello che nel medioevo si
diceva essere: la Gerusalemme celeste sulla terra, l’immagine stessa del
Paradiso.
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