martedì 19 novembre 2024

Padre Tito: Anche in prigione posso amare

Tito Banchong, laotiano, dopo essere stato con noi in Italia, ordinato sacerdote, tornò nel suo Paese proprio nel momento in cui i comunisti salivano al potere a Vientiane. Pur senza mai usare parole critiche nei confronti dei governanti, padre Tito fu incarcerato tre volte, imparando a trovare anche nelle ristrettezze più crude la tenerezza dell’amore di Dio. Nominato "amministratore apostolico" di Luang Prabang, l’antica capitale, padre Tito continua ad essere un vero missionario. La sua storia è stata raccolta in un libro da Michele Zanzucchi: Anche in prigione posso amare.

Leggo anche pagine che mi riguardano personalmente, come questa che trascrivo:

Nel collegio di Propaganda Fide, dove avrebbe dovuto essere alloggiato, non c’erano posti disponibili, cosicché Tito dovette vivere dagli scolastici, a San Giorgio al Celio [non San Giorgio al Celio, ma San Giorgio Canavese… uno dei tanti errori che perdoniamo…]. Ma nel 1973 raggiunse di nuovo gli oblati, a Vermicino. Lì conobbe un giovane religioso, più o meno suo coetaneo, sempre sorridente, pacifico, sereno, felice. Ecco, questo lo colpi, era felice. Si chiamava Fabio, Fabio Ciardi, una figura che da quel momento ebbe molta importanza nella sua vita di uomo e poi di sacerdote. [Ci conoscevamo già da San Giorgio dove vivevamo insieme, dove gli insegnavo l'italiano, e da dove insieme ci siamo spostati a Roma] «Fu consigliandomi con lui continua padre Tito - che, dopo appena un anno di studi di filosofia, decisi di cominciare la teologia. Ero ancora incerto sulla mia vocazione, ma poco alla volta avvertii sorgere nel mio cuore il desiderio di seguire Gesù in modo radicale, di seguire cioè quel Signore che sembrava desiderare immensamente che io lo amassi. Era lui a interessarsi di me, non io di lui. Mi aveva preso poco alla volta, facendomi capire che in lui avrei sempre trovato il vero senso della mia vita». 

Padre Fabio Ciardi frequentava il Movimento dei Focolari. Non era tanto un’appartenenza, quanto un’adesione allo spirito del Vangelo dell’unita. «Non ricordo, in effetti, come giunsi anche io ad aderire allo spirito evangelico proposto da Chiara Lubich. Allora c’era tra gli amici del Movimento un clima così intenso di vita della Parola e una familiarità costante con gli altri religiosi di altri ordini e congregazioni vicini ai Focolari che ci si trovava coinvolti senza rendersene conto. Per Fabio avvenne la stessa cosa: partecipava ai loro incontri con sempre maggiore regolarità e fu “contagiato" da tale spirito. Certamente, vi fu un momento in cui fece sua la spiritualità in maniera consapevole e personale. Ma padre Fabio non si accorse né del come né del quando».

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