lunedì 1 gennaio 2024

Il Presepe di Arnolfo di Cambio

Protetto da una teca di vetro brilla, luminosissimo. Il Presepe di Arnolfo da Cambio è tornato nella sua basilica di Santa Maria in Praesepium.

Al suo interno vi fu infatti dedicato un “Oratorio del Presepe” per accogliere le reliquie della mangiatoia nella quale era stato deposto Gesù e le fasce in cui era stato avvolto. Erano giunte a Roma nel 640, quando la Terra Santa cadde nelle mani degli Arabi. Un altro evento diede ulteriore importanza all’Oratorio del Presepe, la perdita dell’ultimo avamposto di difesa dei Crociati, la roccaforte di Acri, nel 1291. Non potendo più raggiungere la Terra Santa l’Oratorio del Presepe prese il posto del luogo della Natività e la basilica venne dichiarata “Seconda Betlemme”. Fu in quell’anno che Arnolfo da Cambio scolpì il suo presepe, commissionato dal primo papa francescano. Erano passati meno di settant’anni dal primo presepe “vivente” ideato da san Francesco d’Assisi a Greccio.

La collocazione delle statue originarie ha avuto una storia complessa, fino a quando furono murate in una nicchia che le ha custodite per secoli. Tante volte avrei voluto vedere quello che viene considerato il primo presepe dell’arte, ma mi è sempre risultato inaccessibile, fino a quando è scomparso per un lungo periodo di restauro.

Adesso è tornato in basilica. Mi fermo a lungo a contemplarlo.

Come tutte le statue di marmo dell’antichità anche queste erano colorate, se ne scorgono ancora i pochi pigmenti rimasti. Ma adesso il marmo di Carrara è bianchissimo, splendente, quasi a rispecchiare la purezza dell’evento. Chissà come erano collocate originariamente le diverse statue. Adesso Giuseppe, che appare mitissimo, appena incurvato dagli anni, ma con un volto ancora giovanile, guarda incantato la Madre e il Bambino. Le teste del bue e dell’asino esprimono la meraviglia per qualcosa che sorpassa la loro comprensione, testimoni di qualcosa di mai visto. Alle spalle due Magi, riccamente vestiti, stanno parlando tra di loro, forse si stanno scambiando le prime impressioni nel trovarsi davanti a un re bambino che va al di là delle aspettative. La statua più eloquente è quella del Magio inginocchiato, la testa sollevata in uno sguardo rivolto al centro della scena, in adorazione davanti al Re dei re e alla Regina.

Maria e Gesù bambino non sono quelli scolpiti da Arnolfo che forse aveva ritratto Maria sdraiata come una puerpera e Gesù davanti a lei. Ora, nella statua forse del tardo Cinquecento, più grande degli altri personaggi, la Madre è in trono, con il Bambino in braccio.

Guardo ognuno degli attori del grande evento e non so in quale di essi vorrei identificarmi. In Giuseppe, fermo sul bastone, fedele al suo posto, in gioiosa e semplice contemplazione? Nell’ammirazione dei due Magi? In quello che non toglie lo sguardo dal Bambino? Oppure semplicemente nel bue e nell’asino che, estranei, si sentono comunque protagonisti? Vorrei essere ognuno di loro.

Mi attrae comunque quel biancore, la scomparsa, lungo il tempo, della policromia, che ha lasciato il posto solo alla luce, quasi riflesso della neve che sull’Esquilino ha coperto di un manto di purezza le brutture del suolo. Icona di un Natale che ci regala un’immacolatezza che prelude alla divinizzazione che non potremmo mai raggiungere senza un evento altrettanto miracoloso.



 

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