mercoledì 20 settembre 2023

San Nicola da Tolentino, Fiastra e l'amore di Dio di san Bernardo

Dolci e ondulate le colline delle Marche, prati verdi, campi arati che si stanno preparando per la prossima semina, e casali, torri, paesi disseminati tra ciuffi di boschi. Giungiamo a Tolentino, per conoscere san Nicola. Se la sua santità è pari all’arte che ha suscitato è davvero un gran santo. Il “cappellone”, la chiesa, il chiostro, sono tutto un canto alla sua santità.

In cosa consistesse poi la sua santità è più difficile a dirsi. Eppure sono quei santi dichiarati tali dalla gente perché disponibile e amabile verso tutti. Accogliente nel confessionale, dove è ricercato e amato, perché rasserena i cuori. Parla col cuore in mano, visita i bisognosi chiusi e nascosti nei tuguri, pacifica le fazioni, è sollecito verso ogni sorta di miserie e povertà, dà battaglia al diavolo… Risulta simpatico anche a noi…





Nel pomeriggio cambio di scena: l’abazia di Fiastra. È la prima volta che la visito, anche se mi è cara per colui che nel 1985 la rimise in vita, l’abate Giovanni Rosavini, un amico sulla cui tomba, custodita nel cimiterino attiguo alla chiesa, ho potuto finalmente pregare.

Nel 2006 pubblicò il racconto della sua esperienza: “Ut omnes unum sint. Comunione d’anima”, dove parlando con Dio testimonia: “Tutta la mia vita è una prova del tuo ostinato e invincibile amore per me”. Scrisse il libro “per fare con voi una vera Comunione d’anima, pensando che queste mie esperienze possono esservi utili… Sono state un dono di Dio e non devo tenerle per me: l’amore di Dio esige la Comunione”. “Questa è la verità – vi si legge –: Dio ha eseguito il suo disegno ed io non sono riuscito ad impedirlo e a rovinarlo completamente”.


Ha contribuito tantissimo a ridare vita all’ordine Cistercense, facendo rinascere il monastero di Poblet in Spagna, riaprendo l’Abbazia di Chiaravalle a Milano e poi questa di Fiastra. Ricordava che san Bernardo di Chiaravalle raccomandava ai suoi monaci “di essere vigilanti nel custodire l’unità, col farsi tutto a tutti, vivendo tra i fratelli non solo senza dare motivo di lamentele, ma rallegrandoli con la presenza, pregando per tutti, affinché anche di te si possa dire: ecco uno che ama veramente i fratelli e la Comunità”.

Da qualche anno i Cistercensi non sono più a Fiastra, ma lo spirito di san Bernardo vi alita ancora. I campi e i boschi d’intorno ricordano che i monaci di questa abbazia hanno bonificato le terre di mezze Marche. “Troverai più nei boschi che nei libri – diceva san Bernardo –. Gli alberi ti insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà”.

Quando ci sediamo nella sala capitolare ci ricordiamo che lì i monaci avevano “voce in capitolo”. Ma una scritta attribuita sempre a san Bernardo ammonisce: “Parla poco, odi assai et guarda al fine di ciò che fai”.

Ma soprattutto nella grande chiesa monastica, mi rileggo alcune tra le prime parole che ho imparato a conoscere di san Bernardo, pronunciate verso la fine del suo commento al Cantico dei Cantici (Sermone 83, 4-6): 

L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere.

L’amore è il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari.

Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all’amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l’Amore? Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all’Amore, ella che nel ricambiare l’amore mira a uguagliarlo.

Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell’Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell’amore.

È certo che non potranno mai essere equiparati l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all’assetato. Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l’ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l’agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l’Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.



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