Io credo che il Signore mi abbia creato per essere
missionario: mi ha dato in abbondanza il dono della spontaneità... proprio una delle cose che ci vuole in missione.
Andrzej Madej è uno dei due Oblati che vivono in
Turkmenistan e costituiscono tutta la presenza gerarchica della Chiesa. D’un
candore strepitoso racconta la sua esperienza in questo grande paese.
Quando siamo arrivati qui nel 1997 la gente ci ha
regalato solamente una foto della chiesa cattolica costruita all’inizio del XX
secolo ad Ashgabat… Nessuno si ricorda neppure dove era stata costruita. La
fede cattolica è sopravvissuta nei cuori delle poche anziane (babushki). Loro
pregavano il rosario, ci hanno mostrato qualche immaginetta e anche una vera
icona, un crocefisso. Qualche mese fa è morta la signora Regina. Aveva lasciato
la Polonia a 9 anni. Aveva dimenticato la sua lingua madre, in polacco sapeva
pregare solo il Padre Nostro. Ogni anno andava a Riga per confessarsi
prima di Pasqua.
Il mio sogno era costruire una chiesa a forma di Yurta.
La Yurta fa parte della cultura di questo paese e dei paesi dell’Asia Centrale.
Fino ad ora stiamo costruendo la chiesa delle “pietre vive”. Possiamo pregare e
convertirci. Non è poco, vero? Abbiamo bisogno della conversione quotidiana
cominciando da noi missionari stessi. Costruire una chiesa vuol dire rafforzare
la fede, le relazioni fra di noi, dare dei piccoli segni nell’ambito del servizio
caritativo… Fino ad ora non è
venuto ancora il tempo di porre la domanda sulla costruzione della chiesa di
pietre o di mattoni. Abbiamo già dovuto traslocare quattro volte. Siamo pellegrini…
Non abbiamo una chiesa in mattoni, non ci sono le
suore, siamo l’unica comunità cattolica nel paese, ci sono grandi distanze fra
noi e i nostri vicini cattolici.
Tutto ci dà la possibilità di condividere la fede
in Gesù con gli altri. Per esempio quando andiamo in macchina diamo un
passaggio a chi ne ha bisogno... e quei momenti durante il viaggio sono una bella
occasione per dare testimonianza cristiana. Dato che io sono in Turkmenistan già
da 25 anni, tanti mi chiamano: padre. Ogni giorno incontriamo la gente: al
bazar, negli uffici, nei negozi... ogni incontro, anche senza parole, può
essere significativo per la conversione... La gente è semplice, onesta, aperta
e accogliente verso gli stranieri. Anche se ti vedono per la prima volta ti
invitano a casa loro: “vieni, beviamo un çay”.
Per la gente i nostri volti sono le prime pagine del vangelo… la gente prima di tutto legge noi, la nostra vita, i nostri occhi, la nostra testimonianza. Che gioia e allo stesso tempo che responsabilità.
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