Il 11 novembre 1965, alla vigilia
della chiusura del Concilio Vaticano II, Chiara Lubich scriveva: «Voglio
nutrire la mia anima e tutte quelle del Movimento di questi santi decreti... Sarà
un periodo formativo sui documenti conciliari... finché saranno sangue del
nostro sangue, anima della nostra anima. E tutto ciò continuando a formarci nel
nostro spirito e secondo la nostra Opera... Oh! Spirito Santo, facci diventare,
attraverso ciò che già hai suggerito in Concilio, Chiesa viva: questa è l’unica
nostra brama e tutto il resto serve a questo».
Oggi, a Firenze, alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale, è iniziato il Convegno “Il Concilio Vaticano II e il carisma dell’unità di Chiara Lubich 1 / Dei Verbum e Lumen Gentium”, che continuerà domani a Palazzo Vecchio nella Sala dei Cinquecento.
Se fosse oggi Chiara sarebbe
stata chiamata come uditrice o come perito. Lei è stata comunque presente al
Concilio attraverso il suo influsso esercitato su vescovi e periti, come è
stato bene messo in luce dalle relazioni del Convegno. Ma tanto altro si
potrebbe dire ancora. Proprio in questi giorni mi è stato consegnato il “testamento”
di p. Harrie Verhoeven, che è stato superiore generale dei Sacramentini. In
esso racconta della sua partecipazione al Concilio come perito e della sua
profonda amicizia con alcuni padri conciliari, soprattutto Mons. Vanni, che aveva
conosciuto proprio in un incontro del Movimento dei Focolari. “Come lui, ero
impressionato della vitalità e profondità di questo movimento, con una spiritualità
aperta al mondo e davvero in linea con la nostra Congregazione. L’incontro con
questo movimento e con la fondatrice, Chiara Lubich, ha avuto una profonda
influenza nella mia vita. Avevo compreso meglio che ciò che importa non è studiare
la Parola di Dio, ma viverla concretamente. Ho anche scoperto meglio l’unità
tra il corpo di Cristo nell’Eucaristia e
il corpo di Cristo che è la Chiesa. Questo favorisce anche l’unità tra la vita
spirituale e la vita profana. Quest’ultimo punto fu molto importante per me”.
Narra poi del profondo rapporto
vissuto con Mons. Vanni, un vescovo missionario che veniva dalla Cina, particolarmente
aperto sulla nuova teologia. Mons. Vanni lo aveva invitato come suo teologo consigliere
al Concilio. Verhoeven fu poi invitato come perito. Mons. Palazzini, nel marzo
1963, lo chiamò a partecipate a una commissione che doveva preparare un testo per
il Concilio sull’ateismo…
P. Harrie Verhoeven parla anche
dei suoi rapporti con altri padri conciliari, come Mons. Kandela, vescovo della
Chiesa Armeno Cattolica, e Mons. Paolo Hnilica, e del suo contributo al
Concilio anche grazie a questi rapporti.
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