sabato 24 luglio 2021

Cinque pani e due pesci

Una sera Andrea venne a trovarmi a casa. “Domani partiamo di nuovo. Questa volta vieni anche tu” e si volse a guardare mio padre e mia madre per carpirne il consenso. “Sta venendo molta gente, da tutta la Galilea, e anche da Tiro e Sidone, dalla Decapoli, dalla Giudea… Non possiamo incontrarla qui. Lui predilige i luoghi ampi, aperti e silenziosi. Potrai sentirlo parlare, direttamente, senza bisogno che sia io a raccontarti”. Mentre usciva si volse, mi strizzò l’occhio e aggiunse: “Mi raccomando, porta qualcosa con te, con la fame che ti ritrovi mangeresti anche i sassi”.

Restammo fuori tre giorni. E la gente arrivava, e arrivava, e arrivava… Non avevo mai visto tanta gente. Uomini e donne, signori e poveri, sani e ammalati… Tutti volevano vederlo, tutti volevano toccarlo, tutti volevano ascoltarlo.

Egli, vedendo la molta folla, si commosse. Sentì compassione per quella gente che veniva a Lui affamata e assetata di verità, in cerca di una speranza. Gli pareva un gregge sbandato, lasciato a se stesso, senza più pastore. Avvertiva in sé quello che passava nel cuore di quanti accorrevano a Lui. A me appariva una folla anonima, senza volto, per Lui erano persone, persone singole, che pareva conoscere ad una ad una. Provava i loro stessi sentimenti di dolore, di disperazione, di angoscia, di insicurezza. Condivideva con ognuno la sospensione, la ricerca, l’insoddisfazione, il dubbio, l’indifferenza. Sentiva quello che essi sentivano. (…)

“Sono in pena per loro”, disse infine il Maestro. Pastore buono e bello doveva nutrire il suo gregge. Prese a insegnare e a guarire. E infine ristette: aveva sfamato con le sue parabole, con le sue parole di vita, poiché sapeva bene che non basta il pane per vivere: occorre nutrire il cuore di speranza.

Ma dopo tre giorni la gente aveva fame anche di pane. Se ne erano bene accorti i discepoli, che presero a dire: “Maestro, è tempo che tu congeda la folla, che vadano nei villaggi a comprarsi da mangiare, altrimenti ci muoiono di fame”.

Gesù si guardò attorno, ancora una volta: “No, non voglio mandarli via affamati, temo che possano venire meno per strada. Pensate voi a sfamare il mio gregge”.

“Noi?”, presero a dire e si guardarono increduli. Filippo fece presto i calcoli: “Non ci basterebbero neppure duecento denari. E chi possiede una somma simile? E dove andare a comprare il pane in questo luogo deserto?”.

Andrea mi guardò interrogativo. “Io ho tutto con me”, e gli mostrai la sacca che la mamma mi aveva preparato: rimanevano cinque pani e due pesci. “Che dici, li diamo al Maestro? Così almeno Lui ha da mangiare”. E mi portò da Lui.

Ancora il suo sguardo, ancora il cuore che prese a battere a mille. Gli mostrai la bisaccia.

- Me lo doni il tuo cibo?

- È poco. È un dono piccolo.

- Ciò che è donato non è mai piccolo.

- È tutto quello che ho. Non mi è rimasto altro.

- Poco o tanto non conta. A me basta il tuo tutto. Perché è tutto, ce ne sarà per tutti. Il tuo dono farà miracoli. Ho bisogno del tuo dono, ho bisogno di te.

Prese i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

- Come Mosè, esclamai ricordando i racconti della manna e del viaggio dei nostri padri nel deserto.

- No, ribatté Andrea, come lo stesso Signore, che ha nutrito il suo popolo con fior di frumento, che ha dato il pane dal cielo. È Lui stesso, Gesù, il pane vivo disceso dal cielo.

Tornai a casa con la sacca piena di pani e di pesci e con il cuore sazio di luce e di vita.

(F. Ciardi, Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao) 

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