lunedì 14 agosto 2023

Dio dà spettacolo ogni sera

«Purtroppo, abbiamo perso il gusto di sostare, di stare calmi, di fissare i colori di un’alba o di un tramonto, di contemplare e ammirare. Lo scrittore inglese Chesterton era lapidario: “Il mondo non perirà per mancanza di meraviglie ma per la perdita della meraviglia”».

Così scrive Ravasi nel “Breviario” che ha scritto ieri sul Sole 24 Ore. Ho avuto la smentita ieri sera. Seduti sulle gradinate del santuario di Sameiro decine e decine di persone aspettano il tramonto. Altre sono sedute lungo la scalinata che scenda per un centinaio di metri verso la città. Mi siedo accanto a loro per contemplare la luce del sole che colora i monumenti di totalità calde. Il cielo s’accende di mille tonalità. Appena il sole scompare esplode un applauso collettivo: Che artista il nostro Artista! Tutti presi dalla meraviglia della sua grande opera, che rinnova in maniera nuova ogni sera.



Ed ecco, ancora una volta, l’inizio della meditazione che ho dato oggi ai vescovi:

Il giorno di Pentecoste, lo Spirito, dopo aver fatto irruzione nel cenacolo infiammando gli apostoli con lingue di fuoco, li spinge fuori, in mezzo alla folla. Pietro con gli Undici si alza in piedi e a voce alta proclama: «Fate attenzione alle mie parole» (Atti 2, 14). Narra di Gesù di Nazaret, dei miracoli, prodigi e segni operati tra il popolo, della sua crocifissione e morte, della sua risurrezione. Dopo averlo ascoltato, «coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone» (2, 41). La Chiesa nasce dalla proclamazione della Parola; è davvero Ek-klesia, assemblea di popolo convocata tramite l’annuncio della Parola, come dice il termine greco.

Il Concilio ha raccolto le significative parole di sant’Agostino sull’attività missionaria dei Dodici: «Predicarono la parola di verità e generarono le Chiese».

È l’adempimento del “mandato missionario” trasmesso dal Vangelo di Matteo: «Andate dunque e fate miei discepoli tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (28, 19-20).

Il parlare presuppone il vivere. E questo ci porta verso il “mandato missionario” come è espresso nel Vangelo di Giovanni, individuato nelle parole dell’ultima cena: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (13, 35) e in quelle della grande preghiera al Padre: «Siano in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. (…) Siano perfetti nell’unità, affinché il mondo riconosca che tu mi hai mandato» (17, 21.23). Qui l’accento è posto sulla testimonianza.

Ne è rivelatrice, ancora una volta, la prima comunità cristiana di Gerusalemme, che, assieme alla libertà e al coraggio dell’annuncio, possedeva una grande forza d’attrazione e di testimonianza. Il vivere la Parola rendeva i primi credenti annunciatori autentici e credibili: la parola poggia sulla vita e la vita si esprime nella parola.

Ugualmente per la comunità di Giovanni. L’annuncio è condivisione dell’esperienza vissuta con il Signore: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1, 1-3).

Non un credo astratto, ma il frutto di un rapporto personale con Gesù. L’annuncio cristiano dovrebbe essere così, sempre frutto di esperienza. Come proclamare un Dio che è amore se non ci crediamo profondamente, se non l’abbiamo sentito presente nella nostra vita, se non ne abbiamo fatto l’esperienza? Non si può annunciare una fede imparata soltanto al catechismo o nello studio della teologia, senza che sia entrata nella vita: “Ciò che contempliamo… noi lo annunciamo”. Senza un rapporto personale con Gesù non si può parlare efficacemente di lui. O meglio, se ne può parlare, ma non avviene un’autentica testimonianza di fede. L’annuncio è la comunicazione di un’esperienza capace di coinvolgere e suscitare una medesima esperienza.

Non si può evangelizzare, se prima non si sperimenta il Vangelo, se non ci si lascia evangelizzare.





Nessun commento:

Posta un commento