giovedì 10 agosto 2023

Guimaraes, la culla del Portogallo

Un pomeriggio insieme con tutti i vescovi nella cittadina di Guimaraes, a pochi chilometri da Braga. Da qui, dopo la conquista dei musulmani nei secoli XVIII-IX, è cominciata la Riconquista, con la guida del primo re, riportando la terra Lusitana al cristianesimo. “Qui nacque il Portogallo” si legge sulle porte della città. Con la guida del vescovo emerito di Braga la visita è iniziata dal Santuario che domina la città, uno dei tanti costruiti sulle colline vicine. Da lassù siamo scesi in città con la funicolare e ci siamo trovati nel castello, con mille anni di storia, e nella residenza dei re. Poi in cammino per la città vecchia con le strade e le piazze caratteristiche. Anche qui tutto un giardino, con aiole, fiori, ordine, pulizia… Infine la visita al municipio, una volta monastero delle Clarisse, dove siamo ricevuti con tutti gli onori e ci parlano delle politiche sociali e culturali del comune.




Un pomeriggio di meritato riposo dopo i tre giorni intensi di incontro che si sono conclusi con una mattinata tutta incentrata su “Chiamare per nome le piaghe del nostro tempo”. Ho iniziato io introducendo un video nel quale Chiara spiega Gesù Abbandonato a Uppadyaya. Seguono una serie di testimonianze di vescovi su come vivono le loro sofferenze personali e quelle della loro gente. E appaiono i drammi e le immani tragedie dell’Etiopia, delle Filippine, del Medio Oriente… Dolori immani che solo Gesù Abbandonato può colmare.

L’incontro termina con il “patto dell’amore reciproco” tra tutti: “Eterno Padre, uniti nel nome di Gesù, noi ti promettiamo di amarci a vicenda come Gesù ci ha amati, fino a dare la vita, per vivere in pienezza la collegialità attorno a Papa Francesco. Fa sì che siamo un’anima sola e un corpo solo, che la gioia dell’uno sia la gioia dell’altro, che la croce dell’uno sia la croce dell’altro, affinché risplenda in noi e fra noi la continua presenza di Gesù risorto, fino a penetrare tutte le nostre attività e rinnovare le nostre diocesi, affinché tutti siano uno e il mondo creda”. E subito uno scambio si abbracci sincero e commovente che sembra non finire mai.

Domani inizierà una seconda parte dell'incontro...

Ed ecco la mia piccola introduzione al video di Chiara:

Quanti dolori, piccoli o grandi, attraversano la nostra giornata: una delusione, un contrasto, la stanchezza, la depressione, il senso di fallimento, il tradimento, la malattia, la morte di una persona cara, il peccato…

Quanto patire delle persone attorno a noi: quante confidenze di famiglie fallite, di situazione di povertà, di mancanza di lavoro…

Se poi il nostro sguardo si volge verso la Chiesa veniamo sommersi dagli scandali, dal dolore nel constatare il progressivo allontanamento della vita sacramentale, la perdita di interesse per le cose di Dio…

Che dire della nostra impotenza davanti ai drammi della guerra, del cambiamento climatico, dello scempio della nostra terra?

Gesù non sarà venuto sulla terra proprio per condividere con noi questo mare di dolore? Non ha pianto con noi e come noi davanti all’amico morto, alla città di Gerusalemme che non accoglie il suo messaggio e uccide i profeti? Non ha provato terrore e angoscia davanti alla propria morte?

Non è lui l’agnello di Dio che si è caricato dei nostri peccati?

Davanti alle tragedie del nostro tempo, ai dolori personali e a quelli dell’umanità, Chiara mi ha insegnato a guardare proprio a Lui.

Sulla croce Gesù si è fatto pienamente solidale con noi, ha assunto le nostre fragilità e finitezze, la sofferenza e la morte, fino al peccato nella realtà più sconcertante della perdita di Dio, fino a gridare: «“Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mt 27, 46; Mc 15, 34).

Egli prova quello che vive il peccatore, l’estrema lontananza da Dio. Il Padre conduce il Figlio nelle profondità dell’abbandono, lo fa penetrare nella solitudine dei peccatori fino a morire della loro morte.

Se egli è entrato negli angoli più bui della nostra vita è perché in ogni angoscia e dolore potessimo trovarlo presente, accanto a noi. Doveva prendere su di sé ogni negativo per lasciare, al suo posto, la sua divina presenza.

Così in ogni dolore egli si fa presente, e soffre con noi e in noi. Il mio dolore non è più mio soltanto, Gesù lo condivide con me, lo fa suo. Egli lo prende su di sé, lo porta via, e al suo posto rimane lui.

Ogni dolore, ogni tragedia, può diventare sacramento di Gesù, mi mette in comunione con lui ed egli si comunica con me.

Nella notte, nell’assurdo, nell’incomprensione, nel fallimento… in ogni forma di abbandono, crediamo che egli si fa presente, c’è, sia che lo sentiamo sia che non lo sentiamo. Ha provato la solitudine perché non fossimo più soli. Ha vissuto l’abbandono del Padre perché noi non fossimo più abbandonati. È morto perché noi non morissimo.

Chi sarà dunque contro di noi? Dio, «che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi?». «Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto… per noi?» (Rm 9, 32.34).

Chiara l’ha compreso in maniera quasi occasionale. Ce lo raccontiamo ancora una volta, anche se conosciamo bene quell’episodio, perché è bello ricordare come Dio interviene in un’anima e la illumina.

Era una ragazza di 23 anni. Un sacerdote le chiese: “In quale momento Gesù ha più sofferto?” Lei rispose che abitualmente si pensava che Gesù avrebbe sofferto di più nell’orto degli ulivi, tanto da sudare sangue.

Il sacerdote le disse che il momento nel quale Gesù aveva sofferto di più non era quello, ma quando, sulla croce, gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Chiara a aderì subito alle parole del sacerdote.

In quel momento c’era con lei una delle sue prime compagne. Chiara si rivolse a lei e le disse: “Se il momento nel quale Gesù ha più sofferto è quanto ha gridato Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? noi ci consacriamo a lui e lo scegliamo come nostro unico sposo”.

In un incontro di dialogo cristiani-indù il dottor Upadhyaya, un grande studioso e mistico indiano, chiese a Chiesa di spiegare il significato di quel grido di Gesù. Il professore era rimasto turbato nel sentire che il Padre aveva abbandonato suo figlio: com’è mai possibile che un Dio che è amore abbandoni suo figlio?

Chiara spiega che il massimo dolore di Gesù coincide con il suo massimo amore. Egli era venuto sulla terra per portarci la beatitudine e la pace. Egli doveva dunque togliere ogni peccato, ogni male. Come avrebbe fatto a togliere il male? Lo avrebbe preso su di sé, sulle sue spalle e lo avrebbe bruciato sulla croce con la sua morte. Così, con la sua resurrezione avrebbe aperto le porte del cielo e introdotto l’umanità nell’unione piena con Dio.

Gesù prese su di sé tutti i mali. Ma il male più grande è quello di chi si allontana da Dio, nega Dio, è senza Dio. Per liberare l’umanità da questo male Gesù lo prese su di sé. Egli non era abbandonato da Dio, ma volle provare la lontananza da Dio che provano tanti uomini, per portarli di nuovo all’unità con Dio.

Gesù provò la lontananza da Dio per amore nostro. Era l’espressione più grande dell’amore di Dio per noi. Per questo Chiara decise di contraccambiare questo amore infinito di Gesù per noi facendo come lui, prendendo su di sé tutto il negativo che avrebbe incontrato, i dolori suoi e del mondo intero, perché in tutti vedeva Gesù che era entrato in quel male. Chiara non amava il male, le sofferenze, amava Gesù. Sotto quel male e quella sofferenza, sapeva riconoscere Gesù e amarlo. Solo lui resta, Gesù.

Quella risposta rimane, tra l’altro, anche un esempio concreto di dialogo interreligioso e di annuncio evangelico.



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