Una
sera Andrea venne a trovarmi a casa. “Domani partiamo di nuovo. Questa volta
vieni anche tu” e si volse a guardare mio padre e mia madre per carpirne il
consenso. “Sta venendo molta gente, da tutta la Galilea, e anche da Tiro e
Sidone, dalla Decapoli, dalla Giudea… Non possiamo incontrarla qui. Lui
predilige i luoghi ampi, aperti e silenziosi. Potrai sentirlo parlare,
direttamente, senza bisogno che sia io a raccontarti”. Mentre usciva si volse,
mi strizzò l’occhio e aggiunse: “Mi raccomando, porta qualcosa con te, con la fame
che ti ritrovi mangeresti anche i sassi”.
Restammo
fuori tre giorni. E la gente arrivava, e arrivava, e arrivava… Non avevo mai
visto tanta gente. Uomini e donne, signori e poveri, sani e ammalati… Tutti volevano
vederlo, tutti volevano toccarlo, tutti volevano ascoltarlo.
Egli,
vedendo la molta folla, si commosse. Sentì compassione per quella gente che
veniva a Lui affamata e assetata di verità, in cerca di una speranza. Gli
pareva un gregge sbandato, lasciato a se stesso, senza più pastore. Avvertiva
in sé quello che passava nel cuore di quanti accorrevano a Lui. A me appariva
una folla anonima, senza volto, per Lui erano persone, persone singole, che
pareva conoscere ad una ad una. Provava i loro stessi sentimenti di dolore, di
disperazione, di angoscia, di insicurezza. Condivideva con ognuno la
sospensione, la ricerca, l’insoddisfazione, il dubbio, l’indifferenza. Sentiva
quello che essi sentivano. (…)
“Sono
in pena per loro”, disse infine il Maestro. Pastore buono e bello doveva nutrire
il suo gregge. Prese a insegnare e a guarire. E infine ristette: aveva sfamato
con le sue parabole, con le sue parole di vita, poiché sapeva bene che non
basta il pane per vivere: occorre nutrire il cuore di speranza.
Ma
dopo tre giorni la gente aveva fame anche di pane. Se ne erano bene accorti i
discepoli, che presero a dire: “Maestro, è tempo che tu congeda la folla, che
vadano nei villaggi a comprarsi da mangiare, altrimenti ci muoiono di fame”.
Gesù
si guardò attorno, ancora una volta: “No, non voglio mandarli via affamati,
temo che possano venire meno per strada. Pensate voi a sfamare il mio gregge”.
“Noi?”,
presero a dire e si guardarono increduli. Filippo fece presto i calcoli: “Non
ci basterebbero neppure duecento denari. E chi possiede una somma simile? E
dove andare a comprare il pane in questo luogo deserto?”.
Andrea
mi guardò interrogativo. “Io ho tutto con me”, e gli mostrai la sacca che la
mamma mi aveva preparato: rimanevano cinque pani e due pesci. “Che dici, li
diamo al Maestro? Così almeno Lui ha da mangiare”. E mi portò da Lui.
Ancora
il suo sguardo, ancora il cuore che prese a battere a mille. Gli mostrai la bisaccia.
-
Me lo doni il tuo cibo?
-
È poco. È un dono piccolo.
-
Ciò che è donato non è mai piccolo.
-
È tutto quello che ho. Non mi è rimasto altro.
-
Poco o tanto non conta. A me basta il tuo tutto. Perché è tutto, ce ne sarà per
tutti. Il tuo dono farà miracoli. Ho bisogno del tuo dono, ho bisogno di te.
Prese
i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione,
spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due
pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste
piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani
erano cinquemila uomini.
-
Come Mosè, esclamai ricordando i racconti della manna e del viaggio dei nostri
padri nel deserto.
-
No, ribatté Andrea, come lo stesso Signore, che ha nutrito il suo popolo con
fior di frumento, che ha dato il pane dal cielo. È Lui stesso, Gesù, il pane
vivo disceso dal cielo.
Tornai
a casa con la sacca piena di pani e di pesci e con il cuore sazio di luce e di
vita.
(F.
Ciardi, Parlaci di Lui. I racconti di Cafarnao)