Padre Valerio mi ha introdotto nella tenda di pelli di
cammello, mi ha portato dagli amici musulmani a celebrare il rito del tè rivestendomi con l’abito sahariano, mi ha condotto sulle dune del deserto… Ci conosciamo da tanti anni, ma
nuovamente questi giorni mi ha raccontato la sua affascinante storia. Soprattutto un
particolare che non sapevo.
Primo e unico maschio
di una famiglia con nove femmine, il padre l’aveva mandato a studiare anche perché
diventasse il capo famiglia. Quando Valerio pensò di diventare Oblato ne parlò a casa
fino a tarda notte. Il giorno dopo fu convocato lo zio, la persona
più importante, per sottoporre a lui la questione. “Facciamogli provare”, disse
finalmente il padre, “se poi vede che non è la sua strada può tornare, questa è
sempre casa sua”. “Se lo lasci andare”, disse lo zio, “l’abbiamo perduto per
sempre”. Allora il padre di Valerio pronunciò la sua sentenza, piena di fede: “Abramo
fu pronto a sacrificare suo figlio Isacco perché Dio glielo chiedeva. Anch’io
sono pronto a sacrificare mio figlio se Dio me lo chiede”. E lo lasciò andare.
Valerio mi ha
raccontato questo episodio alla vigilia della seconda settimana di Avvento,
quando la liturgia ci propone, nella prima lettura, il sacrificio di Abramo. In
quanti modi a ognuno di noi Dio chiede il dono del proprio “figlio”. Qualcosa a
cui non pensiamo, e nei modi che non pensiamo. Soltanto allora ci accorgiamo quante cose e quante persone ci sono care. Lo sono perché Dio ce l’ha donate.
Ma non sono Dio… Il sacrificio di Abramo è l’appello alla scelta incondizionata
di Dio, a metterlo al primo posto, perché… perché è Dio!
In questo mondo
islamico nel quale ancora mi trovo, mi sembra di capire ancora meglio questo
racconto biblico. Per i musulmani la festa in ricordo del sacrificio di Abramo, Eid al-Adha, è una delle feste principali che giunge ogni anno alla fine del periodo di
pellegrinaggio alla Mecca. È vissuto come momento di condivisione con i parenti
e con i poveri. Poco importa se per loro ad essere immolato e risparmiamo non è
stato Isacco ma Ismaele. L’atto d’obbedienza di Abramo resta lo stesso.
Abramo è padre di
Ismaele e di Isacco, degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani. Fratelli
litigiosi, “fratelli coltelli” come dice il proverbio, ma sempre fratelli. In questo
periodo di odio, di lotta, di guerra, possa il nostro comune padre Abramo
intercedere per i suoi figli e non ci sia più spargimento di sangue, come non
ci fu al momento del sacrificio, quando il figlio fu risparmiato.
Il Figlio vero invece
è stato sacrificato per amore nostro, come ci ricorda la seconda lettura
della domenica: Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato
per tutti noi”. Ecco il vero intercessore: “Cristo Gesù è morto, anzi è
risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!”.
Di cosa temere allora?
“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che, non ci donerà forse ogni
cosa insieme a lui?”. Sì, diciamolo insieme: Dio è grande, se ci ha
amato fino al punto da sacrificare il suo Figlio per noi, al posto nostro, perché
noi diventassimo davvero suoi figli: su di lui il peccato perché noi avessimo la grazia, a lui la morte perché noi avessimo la vita.